I dazi sono causa di gravi crisi economiche le quali procurano, inevitabilmente, pesanti ripercussioni sul mondo del lavoro
Dazi di importazione, quali conseguenze
I dazi sono le imposte che vengono applicate sulle importazioni dei beni, allo scopo di rendere i prodotti meno vantaggiosi, rispetto a quelli che vengono realizzati sul territorio nazionale dello Stato che li applica.
Sono quindi delle tasse che, applicate sui prodotti in entrata, causano l’aumento dei relativi prezzi, con il risultato di renderli meno convenienti rispetto agli stessi beni prodotti in loco.
Per fare un esempio, se un bene costa 1.000,00, applicando un dazio del 25%, l’importatore pagherà 1.000,00 più il 25% ossia, 1.250,00. Un aumento che, inevitabilmente, finirà con l’essere pagato dal consumatore finale.
Gli aumenti dei prezzi avranno come conseguenza la riduzione degli acquisti e genereranno una crisi commerciale con ripercussioni sull’attività dei produttori e sul lavoro.
Ovviamente, questo accadrà se il rapporto tra le valute rimarrà stabile.
Al contrario, se la moneta del Paese che importa ed applica i dazi si rivaluta rispetto a quella del Paese di produzione dei beni, in proporzione diminuirà l’effetto negativo dei dazi di importazione.
Chi beneficia dei dazi
Le ragioni per cui queste imposte vengono introdotte, sono essenzialmente finalizzate a promuovere la produzione locale, ridurre le importazioni ed aumentare le tasse a favore dello Stato.
Questo perché, non ci dimentichiamo mai che, a beneficiare dei dazi, in ultima analisi, è proprio lo Stato stesso.
Esaminando questi principi, possiamo dire che, visto che il consumatore quando effettua una operazione di compravendita lo fa anche in base al prezzo, apparentemente, essendo più conveniente, la produzione locale aumenta.
Ma, attenzione, perché se l’azienda produce anche per il Paese che applica i dazi, si avrà un effetto boomerang. Ossia quello che le imprese esportatrici avranno difficoltà ad esportare, con la conseguenza che la loro attività subirà delle variazioni negative in termini di risultato, il quale varia in base al quantitativo di prodotto esportato.
In merito, gli Stati Uniti d’America importano in totale beni per 584 miliardi di euro l’anno e, come è noto, intendono applicare dei dazi sui prodotti importati dal resto del mondo, ad iniziare dai beni europei.
I principali Paesi esportatori verso gli USA
L’Italia, la Germania e l’Irlanda, sono i principali esportatori verso gli USA. In particolare, il nostro Paese, secondo solo alla Germania, nel 2023 ha esportato beni per 67.266 milioni di euro.
Applicando su questi prodotti il dazio del 25%, come dichiarato dal presidente Donald Trump, il costo complessivo aumenterebbe di 16.816 milioni di euro, per un totale di 84.082 milioni di euro.
Un importo complessivo che, prima di effettuare gli acquisti di beni provenienti dalla nostra penisola, indurrebbe i cittadini americani a cercare prodotti compatibili realizzati a livello nazionale, con il risultato che diminuirebbero le nostre produzioni, il nostro Pil e la nostra occupazione.
Recessione economica
Ci sono dei settori, ad esempio quello alimentare, dove la nostra esportazione è molto alta. Citiamo una eccellenza italiana, il Parmigiano Reggiano che viene esportato negli Stati Uniti per il 50% della sua produzione.
Così come sono molto alte anche le percentuali di esportazione dei vini. Solo nel 2021, l’Italia ha esportato vino in America per 1,72 miliardi di euro.
Introdurre questi dazi, a meno che non si cerchino e si trovino dei mercati alternativi, non può non causare conseguenze negative.
Ciò senza dimenticare che, i Paesi che subiscono i dazi, per ritorsione a loro volta, possono applicarli contro coloro che li hanno introdotti.
In quest’ultimo caso, le conseguenze possono essere molto gravi, fino al punto da creare i presupposti di una vera e propria recessione economica, dalle dimensioni imprevedibili.
Delocalizzazione
Inoltre, soprattutto le multinazionali, per non subire le conseguenze negative dei dazi, possono anche decidere di delocalizzare le aziende e trasferirle nei Paesi che hanno adottato quelle misure, con ripercussioni negative sulle produzioni, quindi sul PIL degli Stati che hanno subito le imposte e, in ultima analisi, sul lavoro.
Ad onore del vero, nella sopracitata recente iniziativa del presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, lo stesso ha invitato le proprie aziende a trasferire tutta la produzione all’interno degli U.S.A. ed ha proposto, alle altre imprese che producono beni esportati in America, di trasferire la propria attività presso di loro.
Una proposta che, se fosse preso in seria considerazione, sarebbe oltre che demenziale, a dir poco drammatica.
Personalmente siamo convinti che questi annunci post-elettorali, con il tempo rientreranno.
Per il momento, dopo il caos iniziale, che ha comunque causato, nelle varie borse, americane, europee ed asiatiche, la perdita di migliaia di miliardi, lo stesso Trump ha chiesto una pausa di 90 giorni, lasciando intravedere la possibilità di avviare delle trattative di carattere individuale tra i singoli Stati.
L’Ue deve agire per salvaguardare i propri interessi economici
In questo, purtroppo, dobbiamo prendere atto che la tanto decantata Europa, ha ancora una volta perso l’occasione per dimostrarsi unita.
Quindi, nella realtà, quello che era il sogno dei padri fondatori, fin dal 1957, data del trattato di Roma, ossia l’unione di Stati, in realtà non esiste.
Restando in tema, dobbiamo registrare che la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von Der Leyen ha dichiarato di “rammaricarsi profondamente” per la decisione di Trump, ed ha aggiunto che: “L’Ue agirà per salvaguardare i propri interessi economici. Proteggeremo i nostri lavoratori, le nostre imprese e i nostri consumatori”.
Un muro contro muro
Ciò non di meno, quello che si registra è che i singoli Stati, ad iniziare dall’Italia, per risolvere singolarmente il problema, intendono avviare dei dialoghi individuali con il Governo degli Stati Uniti. Come dire che, neanche di fronte ad un problema di così enorme rilevanza, si riesce ad essere uniti.
Al di là dell’Unione Europea, in qualità di osservatori, possiamo dire che in realtà è molto preoccupante l’atteggiamento adottato dagli americani nei confronti della Cina, la quale in risposta ai loro annunci, ha aumentato i propri dazi prima dal 34% all’84%, poi fino al 125%, provocando una reazione del Governo di Trump che, a sua volta ha alzato le imposte doganali fino al 145%.
Un muro contro muro che genera solo effetti dannosi, in quanto causa una crisi finanziaria, con le ricordate ripercussioni, sul PIL e sul lavoro, ed è fonte di un malessere diplomatico che non lascia intravedere alcuna prospettiva positiva.
Lo stesso Presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, nell’invitare l’unione europea ad unirsi a loro “Contro le intimidazioni di Trump” ha precisato che: “Non ci sono vincitori nella guerra dei dazi, opporsi al mondo alla fine porta all’autoisolamento.
Le tariffe anormalmente elevate imposte dalla Casa Bianca violano gravemente le norme commerciali internazionali ed economiche, le leggi economiche fondamentali e il buon senso e costituiscono una forma di intimidazione e coercizione del tutto unilaterale”.
Il problema è che questo atteggiamento può generare un’altra grave conseguenza. Ossia quella dell’invasione dei prodotti cinesi nei mercati diversi da quello americano, ad iniziare dall’Europa, con una prevedibile ripercussione negativa, dai confini imprevedibili, sul “made in Italy” che, al contrario, la nostra classe politica deve salvaguardare.
Sabrina Greci
Presidente Foro Nazionale Consumatori