In Italia esistono, purtroppo, due pesi e due misure nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione.
Un disequilibrio evidente che mina la fiducia nelle istituzioni e rallenta qualsiasi tentativo di modernizzazione del sistema.
Quando è il cittadino a essere chiamato in causa – per presentare documenti, effettuare pagamenti o rispondere a comunicazioni ufficiali – le tempistiche sono sempre rigide, tassative.
Ogni giorno di ritardo può tradursi in sanzioni, decadenze di diritti o esclusioni da benefici.
L’obbligo di rispetto delle scadenze è assoluto, e l’errore, anche se minimo, viene raramente tollerato.
Ma quando la situazione si inverte e tocca alla Pubblica Amministrazione rispettare i tempi previsti dalla legge – per rilasciare autorizzazioni, rispondere a istanze o concludere un procedimento amministrativo – il quadro cambia radicalmente.
Le scadenze diventano flessibili, spesso ignorate del tutto. Le risposte tardano ad arrivare, e il cittadino si trova in balìa di un silenzio che può durare settimane, mesi, perfino anni.
Non solo: i reiterati solleciti da parte dell’interessato, che chiede semplicemente il rispetto di termini stabiliti dalla normativa, spesso sembrano infastidire chi è dall’altra parte.
Il timore – non infondato – è che l’insistenza possa portare a ulteriori ritardi, o peggio, a una sorta di “ritorsione burocratica”, non dichiarata ma tangibile nei fatti.
Questo squilibrio è inaccettabile in uno Stato che si definisce moderno ed efficiente.
Una Pubblica Amministrazione che pretende rigore dai cittadini ma non lo applica a sé stessa perde autorevolezza e diventa un ostacolo allo sviluppo.
Fino a quando non si riequilibrerà questo rapporto, l’Italia continuerà a rincorrere una visione di efficienza che resta, purtroppo, lontana dalla realtà.
Leonardo Maiolica