In Italia, il tessuto produttivo è formato per oltre il 95% da piccole e micro imprese, un vero e proprio esercito di imprenditori e lavoratori che sorreggono l’economia nazionale.
Eppure, queste stesse realtà imprenditoriali sono oggi le più penalizzate nell’accesso al credito bancario.
Le difficoltà a ottenere finanziamenti stanno compromettendo investimenti, liquidità operativa e, in molti casi, la stessa sopravvivenza delle imprese.
Ma cosa sta succedendo nel rapporto tra banche e piccole imprese? Perché, nonostante la fine ufficiale della crisi pandemica, il credito continua a essere un miraggio per tanti imprenditori?
L’analisi del fenomeno: tassi in aumento e criteri più rigidi
Secondo i recenti dati della Banca d’Italia, il credito alle piccole imprese è calato del 7% nel primo trimestre del 2025 rispetto all’anno precedente. A pesare sono soprattutto:
- L’aumento dei tassi d’interesse, che hanno superato in media il 6%, rendendo più oneroso l’indebitamento.
- Regole più severe di valutazione del merito creditizio, imposte dagli accordi di Basilea e dai nuovi criteri ESG.
- La riduzione delle garanzie pubbliche post-pandemia, che aveva temporaneamente favorito l’accesso ai prestiti.
Le banche preferiscono impiegare capitali in operazioni più sicure e redditizie, penalizzando proprio quei piccoli imprenditori che più avrebbero bisogno di risorse per innovare, crescere o semplicemente mantenere la propria attività.
Microimprese: le più colpite dalla crisi del credito
Se le PMI (Piccole e Medie Imprese) riescono ancora a mantenere qualche canale di accesso grazie a strutture finanziarie più solide, la situazione si fa drammatica per le microimprese:
- Commercianti, artigiani, piccoli imprenditori agricoli e start-up innovative faticano persino ad aprire linee di credito ordinarie.
- I business plan spesso non reggono agli standard richiesti dagli istituti bancari, che impongono parametri difficilmente raggiungibili per chi lavora su scala locale o in settori a bassa marginalità.
Secondo Confartigianato, oltre il 60% delle microimprese italiane ha visto respingere almeno una richiesta di finanziamento nel 2024.
Le conseguenze sul tessuto produttivo e occupazionale
La carenza di credito si traduce in:
- Mancati investimenti in innovazione e digitalizzazione, cruciali per restare competitivi.
- Tagli alla forza lavoro o impossibilità di nuove assunzioni.
- Aumento delle chiusure aziendali, soprattutto tra le attività a conduzione familiare.
- Frenata della crescita economica territoriale, in particolare nel Mezzogiorno e nelle aree interne.
Il rischio è quello di una desertificazione imprenditoriale, con interi comparti che si avviano verso la marginalizzazione.
Proposte per invertire la rotta: più strumenti e meno burocrazia
Se si vuole davvero sostenere il tessuto produttivo italiano, servono interventi strutturali e immediati:
- Rafforzamento del Fondo di Garanzia per le PMI, per facilitare l’erogazione di credito anche a imprese senza solide garanzie.
- Semplificazione dei bandi di finanza agevolata e maggiore accessibilità alle risorse europee del PNRR per le micro e piccole imprese.
- Incentivi fiscali per le banche che investono nel credito alle imprese locali.
- Promozione delle reti di microcredito e delle cooperative di garanzia fidi, strumenti più vicini alle reali esigenze degli imprenditori.
Senza credito, il futuro delle imprese è a rischio
Sostenere le piccole e micro imprese significa garantire occupazione, coesione sociale e crescita economica sostenibile.
È necessario che la politica economica del Paese rimetta al centro il ruolo delle imprese reali, facilitando l’accesso al credito e riducendo le barriere che oggi impediscono a tanti imprenditori di guardare con fiducia al futuro.
L’Italia, patria del “piccolo è bello”, non può permettersi di a