Da qualche tempo, dopo un periodo di relativo silenzio, l’attenzione dei giornali, della politica e dei cittadini sembra essersi rivolta alla pessima qualità dell’aria che respiriamo, specialmente nelle grandi città italiane.
Infatti, un’analisi svolta da un ente svizzero (IQAir) e resa nota intorno alla metà di febbraio 2024 ha decretato Milano come terza città più inquinata al mondo. A ben vedere il problema riguarda buona parte della Pianura Padana dove sono stati superati i livelli limite per la sicurezza della salute dei cittadini.
A suscitare interesse e scalpore sono stati soprattutto i dati riferiti a domenica 18 febbraio relativi a un indice sintetico di qualità dell’aria (il cosiddetto “Air Quality Index”, che mette considera la concentrazione di uno spettro di inquinanti), peggiori a Milano rispetto a megalopoli note per essere le più inquinate al mondo (Dacca in Bangladesh, Lahore in Pakistan o Nuova Delhi in India). Qualche giorno dopo Milano è scesa al nono posto, perdendo così gli onori delle cronache.
ARPA Lombardia, l’ente che monitora costantemente la qualità dell’aria in tutta la regione, ha tuttavia specificato che i metodi di calcolo usati per stilare la classifica delle città con la più bassa qualità dell’aria al mondo sono inaffidabili per la pluralità di fonti utilizzate e per la frequenza troppo elevata di rilevazione dei dati (su base oraria).
Le ragioni del problema
Gli esperti concordano nel ricordare che l’origine del problema risiede nella coincidenza di due condizioni peculiari di quest’area: la conformazione fisico-orografica del bacino padano, circondato da montagne, con scarsa circolazione ventosa, privo di accesso al mare; e la sua centralità economica, che si traduce in una concentrazione elevata di attività produttive industriali e agricole e in un livello di densità abitativa responsabili di ingenti emissioni in atmosfera difficili da “diluire” in quest’ambito.
A ciò si aggiunge il fenomeno stagionale delle inversioni termiche invernali favorite dalla stabilità atmosferica padana, per cui l’aria fredda carica di inquinanti rimane a valle e non riesce a risalire in atmosfera. Inoltre, i cambiamenti climatici portano anticicloni che impediscono la circolazione in Europa e specialmente nel Mediterraneo e rafforzano ulteriormente la stabilità atmosferica.
In ogni caso, il vero problema è che questa situazione non è affatto una novità: la Pianura Padana è da anni una delle aree più inquinate d’Europa, con valori spesso ben oltre le soglie di sicurezza, come rilevato regolarmente dall’Agenzia Europea dell’ambiente e dalle centraline di controllo della qualità dell’aria regolarmente gestite dalle agenzie ambientali delle regioni padane.
Gli indici di concentrazione
Per capire di più, vale la pena di entrare in qualche tecnicismo, utile a spiegare che cosa misurino gli indici sui cui valori si basano gli allarmismi di febbraio 2024.
Secondo le Direttive UE, ogni concentrazione in atmosfera di polveri sottili superiore ai 50 microgrammi per metro cubo d’aria (PM10) e ai 25 (PM2,5) sono pericolose per la salute umana, pertanto nell’arco di un anno questa soglia non deve essere superata per un certo numero di giorni (di solito 35). Per sintetizzare con un unico indice lo stato dell’aria, le Agenzie regionali per l’Ambiente in Italia utilizzano l’Indice della Qualità dell’Aria (IQA) che considera i livelli di PM10 (media giornaliera), biossido di azoto (valore massimo orario) e di ozono (valore massimo delle medie su 8 ore). E si tratta di un metodo di calcolo diverso da quello usato per stilare la classifica delle peggiori città al mondo dall’ente svizzero, quindi difficilmente confrontabile, quanto meno a colpo d’occhio. Per i dettagli, suggeriamo di visitare il sito web dell’ARPA Emilia Romagna che spiega chiaramente come funziona questo indice.
Sul web e sui giornali sono comparse mappe colorate come quella mostrata nella Figura 2, basata sull’indice IQA, i cui valori sono divisi in cinque classi con un’ampiezza uniforme degli intervalli, pari a 50 punti (Tabella 1): quando vediamo il colore arancione, rosso o viola l’IQA ha un valore superiore a 100 e almeno uno degli inquinanti supera il limite di legge.
Figura 2. Mappa dell’indice di qualità dell’aria (IQA) in Lombardia (18/02/2024) (Arpa Lombardia)
Tabella 1. Intervalli e colorazione per indicare il valore dell’indice di qualità dell’aria (IQA) nelle mappe (Arpa Emilia Romagna)
In Figura 3 si vede chiaramente che la situazione è grave e merita di essere affrontata con urgenza, ma l’andamento del livello di inquinamento a Milano indica anche che si tratta di una condizione estrema non riscontrabile con continuità.
Figura 3. Andamento dei livelli degli inquinanti atmosferici misurati a Milano nel periodo 16-25 febbraio 2024: i livelli critici si sono concentrati nei giorni 18 e 19 febbraio, in cui è stato registrato il superamento delle soglie di sicurezza sia per PM10 sia per PM2,5 (Arpa Lombardia)
Gli impatti dell’inquinamento atmosferico sulla salute e sulla crescita economica in Europa
Cerchiamo ora di capire perché dovremmo preoccuparci quando gli indici superano questi valori-soglia.
Le polveri sottili sono particolarmente pericolose per la salute umana perché, essendo molto piccole, riescono più facilmente a penetrare nell’apparato respiratorio. Tuttavia non è semplice stimare il rischio sanitario complessivo generato da un certo livello di IQA perché esso fa riferimento a una combinazione di inquinanti variabile, pertanto per associare un rischio a un valore di IQA occorrerebbe conoscere “il rischio sanitario associato ad ogni possibile combinazione dei livelli degli inquinanti” e quindi tanto l’effetto sulla salute umana del singolo inquinante, quanto l’effetto congiunto del cocktail di inquinanti misurati a un certo livello (ARPA Emilia Romagna). Allo stato attuale non si dispone di metodo certi e standardizzati per tentare questo tipo di valutazioni e la stessa ampiezza degli intervalli dei valori dell’indice (Tabella 1) non si correla a specifici effetti sanitari.
Ma non basta, infatti la lettura di alcuni studi condotti a livello europeo può aiutarci a spiegare che l’inquinamento atmosferico fa male alla nostra salute, ma anche al nostro PIL.
Secondo l’OCSE, solo il 10% della popolazione mondiale vive in aree caratterizzate da livelli di inquinamento atmosferico inferiori ai livelli raccomandati dall’OMS e sono circa 7 milioni i morti ogni anno per cause legate all’inquinamento atmosferico che si conferma una delle principali cause di morte in assoluto, come ben si vede in Figura 4. E i principali benefici delle politiche di riduzione delle emissioni, secondo gli studi condotti in merito (per esempio dall’Agenzia per la protezione dell’Ambiente americana), riguardano proprio la riduzione della mortalità.
Figura 4. Principali cause di morte secondo l’OMS (Fonte: The Lancet)
Ma è interessante notare come un’ampia letteratura ormai riconosca che l’inquinamento generi danni indiretti anche alla produttività economica in agricoltura e nel settore manifatturiero e per lavoratori con elevate competenze. Uno studio dell’OCSE nel 2019 ha cercato di individuare anche gli impatti economici complessivi dell’inquinamento atmosferico in Europa e ha evidenziato una correlazione inversa tra aumento della concentrazione di PM2,5 in atmosfera e riduzione del PIL reale che registrerebbe una flessione dello 0,8% per un aumento della concentrazione di PM2,5 di un microgrammo in atmosfera (a causa della riduzione della produttività del lavoro). Per contrasto, le politiche ambientali per il miglioramento della qualità dell’aria sarebbero responsabili del 15% della crescita del PIL reale in Europa nel periodo considerato dallo studio (2000-2015), secondo una relazione che si osserva nella Figura 5.
Figura 5. Correlazione tra variazione dell’inquinamento atmosferico (concentrazione di PM in atmosfera) e crescita del PIL reale in Europa (OCSE).
Un altro studio europeo sui costi dell’inquinamento atmosferico legato alle emissioni dei principali impianti produttivi, pubblicato nel 2017 dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, ha considerato – tra gli altri – alcuni degli inquinanti incriminati dai recenti dati registrati per Milano e precisamente il particolato (PM2,5, PM10), l’anidride solforosa (SO2), l’ammoniaca (NH3), gli ossidi di azoto (NOX) e i composti organici volatili non metanici (COVNM) e ha stimato per l’Europa un danno sociale compreso tra 277 e 433 miliardi di euro.
Altra domanda a cui vorremmo rispondere riguarda la convenienza economica della riduzione delle emissioni. Per farlo è possibile confrontare i costi di abbattimento delle emissioni inquinanti (sulla base delle modifiche ai processi produttivi, al rinnovamento delle flotte automobilistiche, ecc.) con i benefici derivanti dalla riduzione delle concentrazioni di inquinanti in atmosfera.
La risposta sembra positiva: l’allineamento con gli standard europei di qualità dell’aria comporterebbe un aumento del PIL reale in Europa dell’1,25% a fronte di un costo compreso tra lo 0,03 e lo 0,06%, senza considerare i benefici in termini di salute e di riduzione del tasso di mortalità (OCSE, 2019).
E allora, che fare?
Ma nel caso italiano assurto agli onori delle cronache all’inizio di quest’anno, quali dovrebbero essere gli obiettivi principali delle politiche di miglioramento della qualità dell’aria? Lo studio europeo citato sopra ha evidenziato che gli impianti termoelettrici sono i principali responsabili dei costi stimati, ma esso ignorava il contributo del traffico, evidente nel caso di Milano e di altre grandi città.
Proprio a Milano i dati dell’inventario delle emissioni regionali (INEMAR) per il 2021 indicano che oltre il 67% del biossido di azoto, il 38% del PM2.5 e il 44.1% del PM10 dipendono dal traffico stradale, seguito a distanza dagli impianti di riscaldamento commerciali e residenziali (inclusi camini, stufe, ecc.) denominati “combustibili non industriali”, come mostra nel caso del PM10 la Figura 6.
Figura 6. Principali fonti di emissione di PM10 nella città di Milano nel 2021 (INEMAR)
In ambito urbano quindi, le politiche necessarie per una migliore qualità dell’aria, della salute e della vita dei cittadini riguardano questi settori.
Ma questa sfida, già non facile per nessuno in Europa e altrove, per Milano e la pianura padana in generale è decisamente complicata – come abbiamo visto – da condizioni morfologiche e climatiche che sembrerebbero richiedere una riduzione drastica degli inquinanti per poter vedere qualche risultato di conforto.
Luca Cetara