Economia di guerra: questo “termine” relegato per anni nei libri di storia è tornato alla ribalta dopo le parole del Presidente del Consiglio Draghi che lo ha citato a margine del Consiglio europeo tenutosi a Versailles per discutere della posizione comune Ue sulla guerra in Ucraina. In realtà, il Presidente, pensando al presente e al futuro dell’Unione, ha chiarito che non siamo ancora “all’interno di un’economia di guerra” ma “dobbiamo prepararci”. Riportando fedelmente le Sue parole, ha detto, “ho visto degli allarmi esagerati. Prepararsi non vuol dire che ciò debba avvenire, altrimenti saremmo già in una fase di razionamento”. E questa frase ha comunque destato moltissimo stupore, e preoccupazione. Ora la domanda lecita a questo punto è: cos’è e cosa succede in un sistema economico di questo tipo? L’economia di guerra è l’insieme delle azioni intraprese da uno Stato per gestire e sviluppare la sua economia durante il periodo bellico. L’economia di guerra si riferisce all’economia di un Paese formalmente in guerra e si caratterizza per la priorità data alla produzione di beni e servizi che supportano lo sforzo bellico, cercando anche di rafforzare l’economia nel suo insieme. Lo Stato vara una regolamentazione molto invasiva riguardo l’economia di mercato, attuando una sorta di statalismo, senza però annullare del tutto né il liberismo né la proprietà privata dei mezzi di produzione e la libera circolazione della manodopera, cioè dei lavoratori. L’approvvigionamento della popolazione, dell’apparato produttivo e dell’esercito viene garantito dalla creazione di un sistema burocratico-amministrativo di allocazione e distribuzione delle risorse. Di fatto, viene sospesa, o comunque limitata pesantemente, l’economia di mercato, che viene sostituita, in parte o in tutto, da un’economia pianificata in cui a livello centrale si decide cosa si deve produrre e cosa no. È evidente come in situazioni di guerra possono venire adottate misure per dare priorità alle spese per la difesa e la sicurezza nazionale, anche con il termine citato, in maniera sussurrata, dal Presidente del Consiglio di razionamento, dove il Governo controlla la distribuzione di beni e servizi e l’allocazione delle risorse. Praticamente tutto, dalle materie prime, all’energia, al lavoro, tutto viene definito a livello centrale e smette di vigere il libero mercato. Ogni Stato si autodetermina nella politica economica, ma in Europa, con il ruolo dell’UE, le politiche potrebbero essere decise centralmente e poi declinate in ogni Paese, con una centralizzazione del potere decisorio a Bruxelles. Le tasse in una situazione di economia di guerra vengono utilizzate principalmente per la difesa. Anche i prestiti, sempre più ingenti, vengono presi per sostenere le spese legate all’emergenza bellica un po’ come accaduto per la recente emergenza sanitaria. Si assiste una riconversione della produzione industriale per quello che serve per combattere e per la difesa, come avvenuto nella riconversione delle aziende a inizio pandemia, con riconversione per produrre sistemi di protezione individuale come camici e mascherine. Inoltre scatta il razionamento delle materie prime, delle risorse alimentari, dell’energia, per fare in modo che ogni risorsa resti a sostegno della guerra. Di contro spesso i grandi progressi tecnologici, poi applicati anche alla normale economia, si sono avuti in periodi bellici. Utilizzo di tecnologie come intelligenza artificiale, sistemi satellitari, studio di mezzi di trasporto sempre più performanti, sono tutte tecnologie che poi avranno applicazioni in un’economa post bellica.
Quali rischi per le Imprese e l’Economia in Italia
Il Presidente di Confimi Industria Paolo Agnelli lancia un allarme concreto “Se le sanzioni dovessero portare ad un taglio del 50% del metano le nostre imprese praticamente sarebbero costrette alla chiusura”. Fiducia sotto zero, ordini e produzione a picco e costi di materie prime ed energia alle stelle. Le Pmi torinesi vivono già un’economia di guerra. Riporta il Presidente di Api Torino Corrado Alberto. Davide Tabarelli, chairman di Nomisma, uno dei maggiori esperti in Europa di energia ha dichiarato: “Questa è un’emergenza senza precedenti e destinata a durare a lungo, la stiamo affrontando con un ottimismo immotivato. Gli obiettivi di cui parlano Draghi e Cingolani non sono raggiungibili”. Insomma le imprese, ed in particolare il tessuto delle PMI italiane, corrono seri rischi di un lungo periodo di difficoltà, con evidenti ripercussioni su occupazione e crescita economica. Serve capire davvero se l’UE sarà in grado di dare risposte concrete e veloci, oppure prevarranno, come spesso è accaduto, gli interessi dei singoli Stati che andranno in contrasto velocizzando un processo di cambio di equilibri politici ed economici a livello europeo e mondiale. Inoltre la questione dell’economia etica e della coerenza nei rapporti politici, sembra sempre più vacillare quando per sostituire le fonti energetiche russe si cercano partnership con regimi del medio oriente che certo non brillano per democrazia e tolleranza. È tempo di scelte difficili e importanti, per chi avrà il coraggio e la capacità di prenderle.
Franco Colombo
Presidente IRSEU