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17 Gennaio 2025
Economia

Il mercato dell’uva da tavola tra costi elevati e prezzi della Gdo che puntano al ribasso: una crisi superabile?

Crisi di mercato annunciato in Puglia: il prezzo dell’uva alla pianta varia da soli 0,50 centesimi ad un massimo di 0,60 – 0,70 centesimi al chilo a seconda della varietà mentre l’offerta al pubblico nel canale GDO (Grande Distribuzione Organizzata) è salita da 1,50 ai 5 euro al chilo, un valore decuplicato, considerabile esorbitante rispetto al prezzo del frutto pagato ai produttori che rivela una campagna complicata quindi sia per i prezzi al produttore che per i costi di produzione aumentati che non vengono loro riconosciuti. Un mercato difficile ma di elevato valore quello dell’uva, in cui l’Italia si è registrata sul podio dei leader mondiali di mercato al quarto posto come esportatore di uva da tavola nel mondo, con spedizioni pari a 720 milioni di euro (dati Ismea 2021) e primo produttore europeo. Un settore che vale quasi un miliardo di euro (Fonte dati Ismea). I volumi del mercato italiano sono abbondanti, se pensiamo che sono destinati all’estero circa il 40% della produzione del valore di oltre 1 milione di tonnellate (Fonte dati: Ismea): circa 460.000 tonnellate che provengono da un’area concentrata di 46.829 ettari (dai Istat) distribuiti prettamente in Puglia e in Sicilia, un territorio vocato alla precocità e dove si è registrata una stagione impegnativa minacciata dalla crisi energetica e da fenomeni atmosferici sempre più violenti tanto da richiedere la proroga del credito d’imposta sul gasolio agricolo. Il settore in Puglia attualmente ha un punto debole in ambito infrastrutturale in quanto tutt’oggi non ha un’indipendenza logistica, con piattaforme e strade che facilitino il percorso dell’export. L’aumento dei costi di produzione ha travolto ogni aspetto della produzione dell’uva, non solo il gasolio ma anche i materiali di imballaggio e i concimi che hanno fortemente risentito sia della Pandemia che del conflitto tra Russia e Ucraina. Questa guerra ha provocato un aumento dei prezzi e un crollo di forniture. Un duro colpo per i produttori italiani che rappresentano un’offerta polverizzata rispetto ad una domanda concentrata rappresentata dal 70% di domanda da parte della Gdo italiana e estera. A questo si aggiunge la difficoltà di reperire mano d’opera, in Puglia il 50% delle squadre è fatto da mano d’opera locale, il resto da operatori che provengono dall’estero inoltre sono scarseggiati nel biennio pandemico. Secondo la CUT (Commissione Italiana Uva da Tavola) la difficoltà di trovare operai per la raccolta delle uve è tale da rendere difficile la turnazione e a coprire il territorio con la giusta quantità di mano d’opera per ettaro. Nelle regioni in cui la raccolta dell’uva rappresenta la colonna portante dell’economia locale, sempre secondo la Commissione Italiana d’Uva da Tavola, il problema è imputabile al Reddito di Cittadinanza (pari a 800 euro) nelle zone in provincia di Bari, Taranto o Siracusa, hanno consentito a molte persone di preferire rimanere a casa piuttosto che tornare al lavoro. Bisogna considerare, d’altro canto, che la retribuzione attribuita ai lavoratori stagionali adibiti alla raccolta e coltivazione dei piccoli frutti ammonta a 7,771 euro l’ora lordi, davvero pochi se pensiamo alle dure condizioni di lavoro sotto i tendoni dove le temperature diventano molto calde, pur evitando le ore di picco dalle 12,30 alle 16,00 grazie ad un’ordinanza del 2021 di Michele Emiliano, Governatore della Puglia. Decisione presa a distanza di un anno, nel 2022, in Sicilia dall’Organismo provinciale di coordinamento in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro con l’approvazione delle indicazioni operative per la prevenzione dell’esposizione dei lavoratori al caldo. Ma non è questa l’unica difficoltà. Gli eventi meteo di forte intensità hanno messo a dura prova i capannoni, come le grandinate e “le bombe d’acqua” che si sono verificate nell’Estate 2022 che hanno provocato danni malgrado la protezione antigrandine, scalfita dalla grandine fitta e di piccole dimensioni. Un punto di debolezza della filiera da considerare se si vuole aumentare la forza contrattuale dei produttori di uva da tavola nei confronti della Gdo e nelle relazioni di mercato in generale è la loro scarsa aggregazione in OP (Organizzazione di Produttori) e la polverizzazione delle strutture commerciali: le OP ortofrutticole specializzate in uva da tavola si contano sulle dita di una sola mano. L’esigua adesione da parte dei produttori alle Organizzazioni ha per conseguenza poca programmazione della produzione e scarsa forza contrattuale con i buyer del canale retail. L’aggregazione dei produttori in organizzazioni da loro stessi controllati, si rifletterebbe strategicamente nell’ottimizzare la gestione dello stoccaggio, nella commercializzazione dell’uva da tavola consentendo di gestire in modo più efficace i tempi incerti dovuti alla lunga crisi Post Covid e post-Guerra Russo-Ucraina che sta avendo effetti sul settore dell’uva da tavola in tutto il mondo. Lo stesso Cile, competitor forte nella produzione di uva da tavola nel mercato europeo, nel 2010 era uno dei maggiori esportatori di uva da tavola, Kiwi e altra frutta per l’Ucraina, che importava fino a 7/8.000 tonnellate di frutta dal Cile, ha visto con il conflitto venir meno un cliente importante. Il Cile nella stagione 2021-2022 sta aumentando del 15,2% la produzione di uva da tavola, per un totale di 760.000 tonnellate, malgrado la siccità abbia provocato un calo di produzione di uva da tavola. Si prevede che le esportazioni aumenteranno del 14,2% per un volume pari a 600.000 tonnellate. Bisogna chiedersi a favore di quali Paesi nel mondo: l’export dell’uva da tavola cilena ha avuto un incremento del 12% (2022 vs 2021) come riportato da “Annuario 2022: Mercato Internazionale dell’Uva da Tavola”, elaborato dalla società di consulenza iQonsulting, sponsorizzata da Asoex, Fedefruta e UvaNova (Fonte: Agenzia ICE, Italian Trade & Investiment Agency), “rimanendo il principale fornitore dell’Emisfero Australe” con 602.000 tonnellate esportate pari a 74 milioni di scatole da 8,2 chili, malgrado le complicazioni logistiche e le avversità del clima. Perù e Sud- Africa e Cile si contendono il mercato dell’uva da tavola dell’Emisfero Australe, anche se la principale destinazione delle uve cilena rimanga gli Stati Uniti con una quota del 50% del volume spedito, un miracolo se pensiamo alle difficoltà incontrate a causa della congestione dei porti e dei container e dei conseguenti ritardi di consegna. Al secondo posto nel panorama internazionale si classifica l’Estremo Oriente (che vede la Cina protagonista) con una quota del 22% sul totale esportato. L’Australia ha registrato la prima parte della stagione con dati di successo nel Vietnam con i migliori dati di esportazione mai registrati fino ad oggi. Ma il Cile può rappresentare una minaccia di mercato per gli esportatori di uva da tavola italiana? Un dato che fa riflettere è che l’Europa rappresenta il terzo mercato di destinazione dell’esportazione dell’uva da tavola cilena e che una volta risolti i problemi logistici diventerà un competitor ancora più forte. Occorre elaborare delle strategie politiche che contengano i quantitativi di uva da tavola e l’accesso agevolato di competitors nel mercato europeo. L’Egitto, per esempio, che aveva iniziato molto bene quest’anno la stagione dell’uva da tavola, come ha spiegato May Salem, direttore generale della ditta Fin bi (azienda d’esportazione di uva da tavola e melagrane) ha avuto una battuta d’arresto con l’aumento dei costi di spedizione e dalla domanda di alta qualità e di prezzi non ancora sufficientemente alti da coprire tutte le spese. Questo ha sicuramente rappresentato un ostacolo all’esportazione dell’uva da tavola in Europa. Strategicamente è importante difendere le quote di mercato italiane nel mercato europeo che oltretutto è un mercato saturo, in cui i consumi non crescono e di conseguenza il potenziale di produzione dei produttori di uva da tavola supera la capacità di assorbimento del mercato europeo. Nel mercato olandese le uve indiane hanno avuto difficoltà, la campagna è andata avanti grazie alle uve egiziane ed italiane. Per le uve siciliane la stagione è iniziata per prima sui mercati, seppur con dieci giorni di ritardo rispetto al consueto calendario maturando un vantaggio competitivo sull’uva da tavola pugliese, spagnola ed egiziana. Si rende indispensabile tenere sotto controllo il rafforzamento di altri competitors stranieri, non sottovalutando la leva di mercato che il “made in Italy” può rappresentare in altri mercati potenziali come quello orientale ed asiatico. L’analisi dei trend di mercato, l’indagine sulle preferenze, sui gusti, sulle abitudini di consumo dei consumatori che appartengono ai possibili mercati obiettivo, integrate ad ulteriori strategie per difendere il proprio posizionamento di mercato in Europa, possono rappresentare una soluzione alla crisi di settore dell’uva da tavola che continua ad essere un prodotto popolare e amato in tutto il mondo.

Teresa Sisto

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