I Piani Individuali di Risparmio, meglio noti come PIR nascono nel 2017 ed hanno molteplici funzioni:
• educare il cittadino italiano a una nuova forma di risparmio;
• avvicinare il risparmiatore italiano a forme di investimento con volatilità maggiore ma con ritorni interessanti;
• aumentare gli investimenti nelle aziende made in Italy mediante allocazione del risparmio delle persone fisiche italiane.
Il contenitore, o meglio la veste giuridica pensata dal legislatore, può essere di varia natura:
• depositi amministrati;
• gestioni individuali di portafogli di investimento;
• polizze assicurative a contenuto finanziario;
• OICR.
Per il risparmiatore i vantaggi sono significativi:
• esenzione dalle imposte su capital gain e dall’imposta di successione, il tutto sottostando a terminati vicoli;
• detenzione per anni 5;
• raccolta annua non superiore a 30mila euro, per un complessivo su singola persona fisica non superiore a 150mila.
Gli strumenti sono stati concepiti stabilendo una condizione di efficienza nella costruzione dell’impianto, la quota qualificata prevede che almeno il 70% del Piano sia investito in strumenti finanziari emessi da società italiane, o estere UE con stabile organizzazione in Italia, ed almeno il 30% sia investito in società non quotate sul FTSE MIB o indici equivalenti.
Dopo un anno della istituzione del neonato strumento finanziario, con non poco stupore e nonostante un’anno avverso sui mercati azionari del globo, gli Asset Under Managment (AUM) totali raggiunsero quota 18 miliardi. Nei fatti il Pir è entrato nel cuore del popolo del Bel Paese.
Troppo bello per essere vero. Anno 2019, nuovo Governo in Italia e nuova Legge di Bilancio!!! Quest’ultima introduce importanti novità che prevedono introduzioni di importanti vincoli d’investimento aggiuntivi, cosi come descritto all’interno del decreto datato 30 aprile e pubblicato in Gazzetta ufficiale il 7 maggio del 2019. La raccolta dei nuovi PIR deve essere dedicata almeno per il 3,5% a PMI quotate su AIM e per almeno il 3,5% nel venture capital.
Ma le regole non finiscono qui:
• fatturato delle PMI che non vada oltre ai 50 milioni di euro;
• dipendenti non superiori 250;
• non siano attive sul mercato da oltre 7 anni;
• non siano quotate su mercati regolamentati;
• non abbiamo attinto da soggetti terzi di risorse finanziare superiore ai 15 milioni di euro.;
I nuovi parametri però vengono ritenuti dai money manager, nazionali e internazionali, troppo stringenti. Sul banco dell’accusa condizioni illiquide che nei fatti rendono lo strumento poco efficiente.
Risultato? Anno 2019 raccolta negativa e deflussi superiori al miliardo, necessario quindi un correttivo! Nascono quindi i PIR alternativi e il Covid-19 velocizza il restyling. Nel decreto Rilancio 2020 post Covid, si prevede, all’articolo 136 della legge di conversione del DL, che gli investitori possano costituire un secondo PIR, con vincoli di investimento più specifici, strizzando l’occhio alle società non quotate esposte alla crisi dovuta al Coronavirus.
In base al decreto Rilancio, mantenendo i requisiti previsti nella prima versione ufficiale, ossia che ciascuna persona fisica deve essere titolare di un solo Piano di risparmio a lungo termine e che ogni PIR può avere un solo titolare, all’interno di un portafoglio singolo,i contribuenti potranno sottoscrivere due Piani di risparmio, uno ordinario e uno alternativo!!! La funzione primaria dei Pir Alternativi non cambia, ossia convogliare gli investitori verso l’economia reale. L’impianto finanziario, mitosi di quello precedente, non ha tasse su capital gain per chi lo detiene oltre i cinque anni. E’ visibile la particolare attenzione verso le piccole e medie aziende non quotate, per dei diversi vincoli di concentrazione del portafoglio e per le soglie d’investimento. I PIR alternativi allocano il 70% del proprio patrimonio in strumenti di imprese diverse da quella quotate sul Ftse Mib e sul Ftse Mid Cap o su indici equivalenti, in pratica aziende piccole e non quotate. Concentrano gli investimenti per strumenti emessi dalla stessa impresa o dallo stesso gruppo: fino al 20%, facendo salire il rischio. Le soglie d’investimento premiate dalla defiscalizzazione passa dai 30mila euro l’anno (totale di 150mila euro in cinque anni dei PIR tradizionali) ai 150mila euro in un anno e fino a 1,5 milioni di euro in totale per gli alternativi. Viene introdotto un credito di imposta fino al 20%, legge di bilancio 2020, del valore investito nel 2021 in caso di perdite, disponibile in 10 tranche annuali di pari importo nelle dichiarazioni dei redditi, a partire da quella relativa al periodo d’imposta, purché venga detenuto per 5 anni. Insomma, i PIR alternativi come evidente sono un’altra cosa. Se lo strumento nella prima versione lanciata nel 2017 ha lo scopo primario di avvicinare il risparmiatore a strumenti finanziari evoluti, la nuova versione alza l’asticella del rischio. I dati del 2021 relativi a flussi ci raccontano flussi positivi sui PIR tradizionali, raggiugendo quota vicino ai 20 miliardi, dati meno entusiasmanti sui PIR ALTERNATIVI. Forse dopo quattro anni di letteratura qualche considerazione andrebbe fatta, magari ritornando, senza cercare forzature esotiche, sulla prima versione.
Michele Menditto