La transizione ecologica entra a far parte del linguaggio istituzionale italiano a febbraio 2021: con l’insediamento del governo Draghi si istituiscono il Ministero della Transizione Ecologica (MITE) e il Comitato interministeriale per la transizione ecologica (CITE) presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il primo assorbe, oltre a tutte le competenze dell’ex Ministero dell’Ambiente, anche alcune delle competenze chiave nel processo della transizione ecologica, inerenti principalmente il settore dell’energia e originariamente di competenza del Ministero dello sviluppo economico, il secondo assume il compito di assicurare il coordinamento delle politiche nazionali per la transizione ecologica e la relativa programmazione.
Da allora – e quanto meno fino all’insediamento del successivo e attuale governo – diventa inevitabile anche in Italia provvedere a fornire un’interpretazione adeguata del concetto di transizione ecologica.
La storia del termine è interessante. Siamo indotti a pensare che la transizione ecologica sia un concetto elaborato di recente e strettamente connesso a discipline scientifiche e tecniche esatte (come la fisica, l’energetica o l’ingegneria) o di tipo naturalistico (come l’ecologia o le scienze ambientali).
Eppure, il termine vede la sua compiuta comparsa nel titolo e nelle pagine di un saggio di antropologia di John Bennet del 1976 dove definisce le relazioni tra uomo e ambiente e valuta alcuni approcci convergenti in antropologia culturale come l’ecologia culturale, l’antropologia economica, lo scambio sociale e l’adattamento comportamentale. Partendo dal concetto ecologico di “ecotono”, cioè di un ambiente marginale, di transizione tra due ecosistemi diversi (ad esempio una foresta e una prateria) che ne costituisce l’area di massima biodiversità, Bennet ne sfrutta l’implicito riferimento a un movimento, a un passaggio da un sistema all’altro e introduce il concetto di “transizione ecologica” orientata alla sostenibilità nel rapporto uomo-ambiente.
Più operativamente, la transizione ecologica è stata definita in modo piuttosto disomogeneo, a seconda del punto di vista che di volta in volta prevalente.
Quello tecnologico ne sottolinea l’aspetto di innovazione tecnica finalizzata a conseguire un cambiamento sociale allineato a principi di sostenibilità ambientale e la declina in una serie di dimensioni, come ad esempio hanno proposto di recente Rotondo et al. (2022) che individuano sette elementi chiave per realizzare la transizione ecologica: fonti di energia rinnovabili, mobilità elettrica, energia digitale, accumulo di energia, edilizia intelligente, economia circolare e modello agro-ecologico.
Quello metodologico si sofferma sulla governance della transizione indicandola come obiettivo e metodo in grado di generare una società più equa ed equilibrata nell’affrontare il necessario cambiamento attraverso un modello economico alternativo a quello prevalente finora. Talora questo approccio si fonda sugli effetti attesi del cambiamento globale e ambientale e propone un metodo per gestirli, introducendo proposte e soluzioni operative (Frémeaux et al. 2013), talora svolge un’analisi eticamente orientata alla gestione di un cambiamento inevitabile, proponendo soluzioni complesse che coinvolgono un ampio numero di istituzioni pubbliche e private, ritenute necessarie di fronte a una crisi conclamata e dimostrata da una minuziosa elencazione di fatti economici e sociali (Giraud, 2023).
Esistono almeno tre categorie di cambiamenti di tipo economico proposti da un processo di transizione ecologica possono essere raggruppati in tre categorie: investimenti, nuove politiche fiscali e regolamentari e cambiamenti dei modelli di consumo e di produzione.
Gli investimenti pubblici e privati dovrebbero vertere su tecnologie e infrastrutture verdi, come le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile e un approccio circolare all’economia.
Nuove politiche fiscali dovrebbero riorientare la tassazione verso le emissioni di gas serra e sui prodotti e servizi che hanno un impatto negativo sull’ambiente più che sul lavoro e sul reddito, mentre incentivi e sussidi potrebbero essere riconosciuti alle imprese e ai cittadini che investono in tecnologie e comportamenti sostenibili, allo scopo di modificare le scelte di produzione industriale e la domanda di mercato.
Inoltre, un cambiamento dei modelli di consumo e produzione che riducesse l’utilizzo delle risorse naturali e l’impatto ambientale potrebbe promuovere la riduzione degli sprechi, il riutilizzo e il riciclo dei materiali e incoraggiare il consumo di prodotti e servizi locali e sostenibili, in base ad analisi accurate del ciclo di vita dei prodotti che evitino di compiere scelte.
Fin qui peró abbiamo descritto un obiettivo ideale, su cui è obiettivamente difficile non trovare un ampio consenso nella compagine sociale dei Paesi in cui viviamo. Occorre ricordare un vecchio adagio degli economisti, secondo cui purtroppo in questo mondo “non esistono pasti gratis” e nemmeno la transizione ecologica é esente da generare impatti indesiderati.
La trasformazione dei mercati del lavoro probabilmente produrrà significativi cambiamenti occupazionali: si porranno problemi di riqualificazione, sviluppo di nuove competenze per i mercati green oggetto degli investimenti richiamati sopra. È importante garantire che i lavoratori dei settori non compatibli con un modello di transizione possano trovare nuove opportunità nei settori green.
Nuovi modelli di consumo a basso impatto ambientale potrebbero comportare un aumento dei prezzi di alcuni prodotti di prima necessità (in primis l’energia) con effetti negativi sui redditi delle famiglie deprivate. È importante prevedere una quota di spesa pubblica da dedicare a compensare almeno in parte tali impatti sociali, poco compatibili con una solida idea di giustizia.
Stili di vita sostenibili comportano inoltre la disponibilità di servizi pubblici di qualità anche in aree relativamente remote: basti pensare al trasporto ferroviario o ai trasporti pubblici locali a basse emissioni non ancora disponibili in ampie aree dei nostri Paesi. Garantire questi servizi è condizione necessaria per poter aspirare a un cambiamento significativo dei comportamenti individuali.
A tali questioni si può pensare di porre parziale rimedio mediante misure focalizzate alla formazione e riqualificazione professionale per i nuovi occupati nei settori “green”, interventi di sostegno al reddito che possano mitigare l’impatto dell’aumento dei prezzi di prodotti e servizi “green” e investimenti in mobilità locale sostenibile e veicoli a basse emissioni.
Dobbiamo ritenere questo genere di preoccupazioni eccessive o ostative a realizzare una transizione ecologica?
Probabilmente no, ma non possiamo sottostimare gli impatti che abbiamo brevemente elencato sopra – alcuni dei quali si sono già osservati negli scorsi anni e sono stati analizzati da diversi ricercatori da alcuni anni.
Per esempio, l’annuncio di inclusione di nuovi settori economici tra quelli tenuti a partecipare al sistema di scambio europeo delle emissioni di gas serra (ETS) aveva generato un significativo aumento dei prezzi di scambio dei crediti di CO2 relativi a tali nuovi settori, con probabili effetti sui prezzi al consumo dei prodotti connessi a tali settori.
Lo scorso febbraio 2023, il Financial Times ha registrato il superamento del valore psicologicamente critico dei 100 euro a tonnellata delle emissioni di CO2 nel sistema ETS, continuando in un trend in aumento costante negli ultimi tre anni. L’uso di carbone durante la crisi energetica ha aumentato la domanda di crediti di CO2 perché il carbone produce circa il doppio delle emissioni del gas naturale, inoltre è stato annunciato un nel numero complessivo dei diritti di emissione sul mercato europeo. Questi fenomeni aumentano il prezzo delle emissioni con effetti probabili sui prezzi al consumo.
Figura 1. L’andamento dei prezzi delle emissioni di CO2 sul mercato europeo dal 2018 al 2023: il prezzo ha superato la soglia critica dei 100 euro a tonnellata a febbraio 2023 (Fonte: Financial Times)
E ancora, uno studio americano (Brookings) ha mostrato che gli impatti negativi più marcati dei cambiamenti climatici rischiano di ripercuotersi sulle aree meno economicamente e tecnologicamente avanzate del Paese, in funzione di una minore capacità di reagire associata con livelli di benessere e competenze relativamente bassi.
Figura 2. Danni diretti derivanti dai cambiamenti climatici nelle province americane sulla base di un indice di innovazione economica: quelle più avanzate subiscono meno danni nel periodo stimato (2080-2099). Fonte: Brookings institution.
Diventa pertanto necessario iniziare a pensare a misure in grado di rendere la transizione ecologica a cui tutta l’Europa tende sostenibile non solo sul piano ambientale – come ben noto già oggi – ma anche a livello sociale, per evitare che si concretizzino posizioni e gruppi di interesse avversi a un cambiamento nel complesso altamente desiderabile.
Luca Cetara