18 Aprile 2025
Economia Primo Piano

L’aumento dei prezzi di energia, trasporti e materie prime: minaccia la ripresa?

Man mano che la pandemia da Covid-19 ha cominciato a rallentare i suoi nefasti effetti, anche in virtù della diffusione della campagna vaccinale, abbiamo assistito ad una robusta ripresa della domanda dell’industria in tante economie del mondo e questo aspetto si è portato in scomoda dote un aumento record dei prezzi delle materie prime. Dall’autunno scorso, queste ultime, hanno mostrato un trend di crescita, con una dinamica molto aggressiva nella prima metà del 2021, fino a raggiungere livelli che non si toccavano da diversi anni e più precisamente dal 2008. Tra gli aumenti più significativi troviamo quelli delle materie prime energetiche che colpiscono sia Industrie che Famiglie. A fronte di questa situazione molti operatori economici, istituzioni finanziarie e governative si stanno interrogando sulla domanda se ci si trovi di fronte ad un nuovo “superciclo” delle materie prime oppure in una semplice situazione di manovre speculative? C’è il rischio di inflazione? Il timore di un rialzo significativo dei prezzi è ormai un fatto che toglie il sonno a moltissimi osservatori. Autorevole stampa economica come il Wall Strett Journal ha recentemente sottolineato la minaccia dell’inflazione sulla possibile ripresa economica globale ponendo in evidenza che: “l’impennata dei prezzi delle materie prime sta gettando una nuvola sulla ripresa economica globale, colpendo le imprese e le famiglie vulnerabili e aumentando i timori che l’inflazione possa diventare più persistente”. Il dipartimento del Lavoro Americano ha evidenziato che per il mese di maggio si è verificato un aumento dell’indice core dei prezzi al consumo (quello che esclude i prezzi dell’energia e degli alimenti, la componente più volatile) del 3,8% su base annua, il massimo da 28 anni. Rivedendo, allo stesso tempo, le aspettative di aumento annuale dei prezzi.
Va notato come in una prima fase a affreddare i timori che gli straordinari stimoli monetari e fiscali attivati dalle maggiori economie potessero ostacolare la ripresa è stata la Federal Reserve Americana. Il Direttore della banca centrale USA, Jerome Powell, ha qualificato come transitoria la tendenza inflazionistica. Nell’opinione iniziale della FED, i prezzi che stavano guidando l’aumento dell’inflazione provengono da categorie di beni che sono direttamente legati alla riapertura dopo la crisi Covid e alla ripresa della domanda dell’industria. Allo stesso modo, anche gli operatori finanziari davano come largamente prevalente la valutazione per cui l’aumento dei prezzi attuale avesse carattere temporaneo pensando a fluttuazioni transitorie. Sono altresì i dati più recenti a confermare la visone degli operatori finanziari e della FED contro le previsioni di una crescita consistente dell’inflazione. I prezzi a cui vengono scambiati metalli e materie prime agricole (dal palladio al platino, dal grano al legname) nell’ultimo mese hanno conosciuto un calo. Le quotazioni del rame, uno dei metalli indicatori, ha subito un deciso calo dai picchi di Maggio 2021 (ma comunque rimangono su un livello più che doppio rispetto a un anno fa). Sono diverse le motivazioni dei ribassi, una delle più importanti è legata al rafforzamento del dollaro. E le materie prime spesso si muovono inversamente rispetto al dollaro perché sono generalmente così denominate a livello globale. Ma hanno anche inciso le azioni cinesi. Il gigante asiatico ha annunciato un piano per liberare le riserve dei cosiddetti metalli chiave, tra cui rame e alluminio, per mettersi in guardia contro manovre speculative sui mercati finanziari. Continua a crescere, invece, il barile di petrolio. Il Brent che con rialzi record del 40% da inizio anno ha superato la soglia psicologica dei 75 dollari, i massimi da due anni a questa parte, e la domanda sta rapidamente tornando sui livelli pre-Covid, con la possibilità anche di superarli. Segnale che il declino del petrolio rappresenta un fenomeno tutt’altro che scontato. Per quello che concerne l’acciaio, che per un Paese di trasformazione come l’Italia è vitale, a partire da settembre 2020 la quotazione dei coils laminati a caldo al Chicago Mercantile Exchange (CME), riferimento finanziario dei metalli ferrosi in Occidente, ha iniziato a registrare dei forti rialzi. Queste tensioni tuttora perdurano e rispetto a giugno 2021 il valore è aumentato del +10%, mentre rispetto a luglio 2020 del +250%. Attualmente i coils sono trattati a 1500 euro alla tonnellata, il massimo storico. La dinamica fortemente rialzista dei coils laminati a caldo sul mercato americano ha anticipato di uno/due periodi gli intensi aumenti del quarto trimestre 2020 sul mercato europeo. Ad oggi i prezzi europei dei coils continuano a registrare incrementi, battendo i massimi di ottobre 2008. Va osservato che il rallentamento dei prezzi dell’acciaio cinese potrebbe essere spiegato dall’annuncio delle tariffe che il governo intende imporre all’export di acciaio domestico, una misura volta alla salvaguardia del sistema produttivo. Un dazio alle esportazioni di acciaio implica un aumento dell’offerta locale e quindi una riduzione del prezzo. Una politica diametralmente opposta alla linea europea, che invece ha rinnovato le misure che mirano a ridurre l’import dell’acciaio extra-europeo. Questa misura ha l’effetto di esacerbare la scarsità di offerta sul mercato comunitario. Questa politica potrebbe, però, rientrare nell’obiettivo dell’Unione Europea di una prossima transizione verde: la concentrazione dell’offerta in mano a pochi produttori potrebbe garantire delle marginalità più elevate, dovute a logiche di cartello, quindi prezzi più elevati, per la riconversione verde degli impianti. Tutto questo visto con gli occhi dell’economia italiana, da sempre debole sul settore Materie prime ed Energia, mette dei seri dubbi sulla capacità di intercettare la ripresa economica in maniera adeguata. Le entusiastiche dichiarazioni sulla crescita del PIL sono spesso riferite al PIL Nominale e non quello REALE, cioè non al netto degli aumenti dei prezzi. La difficoltà poi di reperire materie prime, per il combinato disposto di aumento improvviso della domanda e chiusura di alcune realtà strategiche durante la pandemia, sta provocando più di una preoccupazione alle imprese italiane. L’allarme lanciato dal Ministro Giorgetti riguardo l’aumento dei costi dell’energia è riferibile anche al discorso dell’acciaio “… ma sarà un problema del domani, perché penso che la transizione ambientale ed energetica avrà un costo. Vogliamo un mondo più pulito, ed è giusto che sia così, poi però qualcuno dovrà pagarne i costi”. E questi costi, senza una vera programmazione di strategia economica e ambientale da parte del Governo, rischiano di pagarli le Imprese e i cittadini italiani.

Franco Colombo
Presidente FILASC e IRSEU

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