Fast Fashion: una filiera produttiva che impatta più o meno direttamente sulla vita, la salute e i diritti di moltissime persone del mondo, nonché sull’ambiente e sulle risorse mondiali di vitale importanza, come acqua e terra.
Il settore moda low cost ha un tasso di ricambio velocissimo con un conseguente spreco di enormi quantità di abiti: decidere di acquistare un capo di abbigliamento di seconda mano rispetto ad un capo della fast fashion ha notevoli benefici ambientali.
Secondo i dati del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), la fashion industry consuma ogni anno 93 miliardi di metri cubi d’acqua (pari al fabbisogno idrico di cinque milioni di persone) ed è responsabile del 20% dello spreco d’acqua su scala globale (a causa dei processi di tintura e trattamento delle stoffe).
Non solo: l’87% delle fibre usate per l’abbigliamento viene smaltito in discarica o incenerito, ogni anno mezzo milione di tonnellate di microfibre plastiche vengono scaricate negli oceani (pari a 50 miliardi di bottiglie di plastica) e l’industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali annuali di anidride carbonica: più di tutti i voli internazionali e le tratte marittime messe insieme.
Se si aggiungono l’impatto ambientale per la produzione intensiva di cotone e le conseguenze in termini di diritti umani in termini di sfruttamento dei lavoratori del settore moda, mancanza di tutele e inquinamento dell’ambiente circostante in paesi poveri o emergenti, diventa chiaro come il prezzo apparentemente ‘molto vantaggioso’ dei prodotti di fast fashion sia in realtà già stato pagato a monte e nei peggiori dei modi.
Dal 2012 la Cnmi-Camera nazionale della moda italiana è impegnata con il Manifesto per la sostenibilità, organizzando tavoli di lavoro e attività di formazione per le aziende per concepire la produzione non più come un processo lineare bensì come uno circolare, nel quale non si considera solo il momento in cui un capo viene venduto ma anche i materiali utilizzati e l’intero processo produttivo che lo coinvolge, smaltimento incluso.
Ripensare, in altri termini, all’intera filiera produttiva come prodotto dell’unione della questione etica a quella ecologica, in cui l’estetica non può prescindere dalla ‘responsabilità eco friendly’.
Secondo i dati della Fondazione Ellen MacArthur, nata nel 2010 a Chicago con l’intento principale di accelerare la transizione verso un’economia circolare, solo l’1% dei vestiti usati nel mondo è oggi riciclato e ogni anno si perde all’incirca un valore di 55 miliardi di dollari in abiti che, pur essendo stati usati poco, non vengono né donati né riciclati e finiscono quindi in discarica.
Nel 2019 l’organizzazione Oxfam, una confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo, ha inaugurato l’iniziativa Second hand September, per sensibilizzare sulle problematiche di spreco, inquinamento e sfruttamento ambientale e umano insite nel mondo della moda in generale e della cosiddetta fast fashion in particolare. Solo l’1% dei vestiti usati nel mondo è oggi riciclato e ogni anno si perde all’incirca un valore di 55 miliardi di dollari in abiti che, pur essendo stati usati poco, non vengono né donati né riciclati e finiscono quindi in discarica. Combattere il fast fashion, ridurre gli sprechi e favorire il riciclo.
In questo mese si incoraggia l’acquisto di capi vintage per proteggere l’ambiente, “per aumentare la consapevolezza sugli effetti dannosi del fast fashion sul nostro Pianeta e sulle persone che fanno i nostri vestiti. Oxfam vuole incoraggiare le persone a pensarci due volte sulle loro abitudini di acquisto, quindi chiediamo al pubblico di acquistare solo di seconda mano per il mese di settembre e di donare i loro articoli (di cui vogliono sbarazzarsi) a Oxfam. (…) Lo scopo della campagna é quello di sensibilizzare il grande pubblico sui temi dello spreco, inquinamento ambientale e sfruttamento dei lavoratori nell’industria della moda istituendo una vera e propria challenge che dura tutto il mese. Il cambiamento che Oxfam spera di ottenere nei consumatori è un cambio di prospettiva permanente e un cambio delle abitudini, soprattutto durante lo shopping” (v. https://dressthechange.org/second-hand-september/).
In sintesi, “incoraggiare le persone a pensarci due volte sulle loro abitudini di acquisto”: ridurre l’impatto ambientale della moda acquistando abiti di seconda mano.
Ed ancora, il movimento internazionale 1 Milion Women riunisce donne di tutto il mondo attive nelle politiche ambientali, nell’individuare fattori abilitanti il miglioramento della qualità della vita e nel combattere i cambiamenti climatici. In particolare, sono stati pubblicati dati molto interessanti relativi all’acquisto di abiti usati ed alle conseguenze che ne deriverebbero per l’ambiente: se un milione di persone comprasse abiti di seconda mano, al posto di abiti nuovi, verrebbero prodotti sei milioni di Kg di anidride carbonica in meno.
Gli obiettivi dell’iniziativa globale di 1 Million Women sono di sprecare meno, consumare meno, ottimizzare le risorse, imparare a valorizzare l’ambiente da un punto di vista culturale ed economico, utilizzare alcune materie prime al posto di altre, ridurre il nostro impatto sull’ecosistema naturale.
Oggi la tendenza è quella del no-waste, del plastic-free, del vivere sostenibile evitando l’accumulo di materiale e produzioni inquinanti eccessive.
Ristabilire le priorità eliminando il superfluo, pensare con coscienza e lucidità a quello di cui si ha davvero bisogno e fare acquisti mirati e sostenibili: comprare ciò che è già stato prodotto può limitare di mettere a rischio le risorse esauribili, accentuando i cicli di produzione di capi ed accessori che il fashion system sforna ad ogni cambio di stagione. Un’occasione per puntare al risparmio facendo una scelta anche sostenibile di prodotti di seconda mano quindi già usati, del settore fashion, accessori, abiti, oggetti.
Terminata una moda e l’utilizzo che ne abbiamo fatto, si decide si riciclarlo ad un’altra persona che ne è in cerca.
L’economia dell’usato si conferma tra i comportamenti sostenibili più diffusi degli italiani in grado di fare bene all’ambiente, di sostenere un’economia circolare in modo intelligente e di poter dare una seconda vita agli oggetti che non si usano più.
Nel 2021 la second hand economy è entrata tra le abitudini di consumo degli italiani, rappresentando un cambiamento rilevante dei paradigmi consumeristici. Un trend trainato soprattutto dall’on line, con gli acquisti e la gestione del processo tramite chat in app.
E’ una forma di economia circolare che sta assumendo un ruolo sempre più rilevante nel nostro mercato quale inevitabile conseguenza dell’influenza del riciclo e della sostenibilità ambientale ad impatto zero nel fashion market globale. Tra il 2020 e il 2021 i retailer di abiti usati sono passati da 8 a 30, con una crescita esponenziale e continua: un incremento del 275% sintomatico di un cambio di prospettiva e di abitudini di consumo della popolazione. Non solo è aumentata la sensibilità sulla scelta di consumi di seconda mano che offre a beni non deperibili e ancora in buono stato una seconda vita, ma si moltiplicano le possibilità per comprare e scambiarsi vestiti ed accessori che non si usano più o per donarli a chi potrebbe usarli più volentieri, così permettendo di tagliare alla base i costi produttivi di altri beni non solo del mercato del fashion.
Dai dati dall’ottava edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy 2021, condotto da Bva Doxa per Subito emerge, in particolare, che “la second hand in Italia nel 2021 ha generato un valore economico di 24 miliardi di euro, pari all’1,4% del Pil nazionale. La spinta più significativa deriva dal volume degli affari online che costituisce quasi il 50% del totale (49%) ed è passato da 5,4 miliardi di euro nel 2014 a 11,8 nel 2021, con una crescita netta di 1 miliardo di euro anno su anno. È quindi proprio grazie all’online che il valore totale della second hand nel 2021 è tornato a livelli pre-pandemia (24 miliardi nel 2019, 23 nel 2020). La second hand mantiene il terzo posto tra i comportamenti sostenibili più messi in atto dagli italiani (52%), con picchi ancora più alti di adozione nel 2021 per laureati (68%), Gen Z (66%), 35-44 anni (70%) e famiglie con bambini (68%)”.
Il consolidamento di un trend e una nuova abitudine di consumo degli articoli di moda di seconda mano.
Tra coloro che hanno accolto con favore questa tendenza e che fanno da motore per il cambiamento culturale, in nome della sostenibilità, le nuove generazioni, in particolare la Gen Z. A spingere la crescita di questa economia di mercato circolare la sostenibilità e i social media. Le fasce più giovani della popolazione si contraddistinguono per essere particolarmente attente alle scelte responsabili e agli acquisti consapevoli, sostenibili ed etici, intenzionate come sono a risolvere lo spreco della moda nel lungo periodo.
Scegliendo l’economia dell’usato e regalando una seconda vita alle cose si evita la loro dismissione in discarica, le conseguenti emissioni di CO2 e i costi ambientali della produzione di un bene nuovo, contribuendo a un effettivo abbattimento del loro impatto ambientale. Rappresenta, quindi, un’alternativa economica e sostenibile per fare compravendite di qualità e cercare, al contempo, di limitare l’eccessiva produzione di prodotti.
Le principali motivazioni che spingono i consumatori all’acquisto di usato sono di ordine pratico, legate al risparmio/guadagno oltre che all’esigenza di “fare spazio, con benefici in termini di guadagno, leggerezza e proiezione verso il futuro, anche se si mantiene salda l’associazione della second hand alla sostenibilità e alla volontà di ridurre gli sprechi. Le persone sembrano associare sempre più a questo comportamento valori legati al rispetto per l’ambiente e alla consapevolezza del proprio impatto ridotto grazie all’economia circolare”.
Un ruolo propulsivo alla second hand è arrivato dalla tecnologia e dai marketplace online smartphone (entro il 2024 si stima che la metà degli acquisti proverranno da siti di e-commerce), che hanno consentito una diffusione capillare e diffusa sul territorio, con servizi sempre più integrati per la gestione delle compravendite totalmente da. “(…) Offre un’esperienza d’acquisto sempre più simile a quella dell’e-commerce, rispondendo alle mutate esigenze dei consumatori. La second hand non è una scelta occasionale o esperienza isolata. La frequenza della compravendita di usato continua a crescere insieme al numero di oggetti comprati e venduti. Dall’Osservatorio emerge che Il 72% di chi ha acquistato e il 69% di chi ha venduto lo fa almeno una volta ogni 6 mesi. Inoltre, il 72% di acquirenti e il 76% di venditori dichiara di avere comprato almeno lo stesso numero di oggetti dell’anno precedente. In pratica una volta scoperto questo mercato e sperimentata l’immediatezza e la facilità di utilizzo, fare second hand diventa una sana abitudine che attrae ogni anno nuove persone (15% nel 2021)” (fonte: Adnkronos).
Le indagini di settore confermano che la second hand economy ha avuto un fortissimo impatto nel mondo del retail e ha visto negli ultimi anni una crescita esponenziale attraverso il recupero e la compravendita dell’usato che rende il consumatore più responsabile e consapevole dell’impatto ambientale che l’industria tessile comporta.
Anche per i colossi della distribuzione il mercato della moda di seconda mano è diventato allettante tanto da sviluppare progetti di collaborazione con i marchi di abbigliamento, per creare reparti second-hand.
Ed è destinata ancora a crescere in futuro, non solo per l’attuale periodo di congiuntura economica del Paese ma perché diventerà sempre più una scelta consapevole e green, uno strumento per risparmiare e rendere i consumi accessibili a più persone.
Second hand, quindi, si declina al passato ma si legge al futuro.
Ed allora nel periodo dell’anno in cui il consumismo raggiunge i suoi massimi vertici, nella ricerca dei ‘doni’ natalizi non dimentichiamo che i capi ‘second life’ (scarpe, abiti, accessori) sono una scelta consapevole e green, che rispecchia uno spirito ecologico che si traduce nell’offrire una seconda vita al bene riducendone l’impatto ambientale. Regalare un gift pre-loved, specie tra le nuove generazioni, è considerato un plus.
Paola Francesca Cavallero