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10 Ottobre 2024
Economia

Trasformare il mondo in 15 anni: le premesse dell’Agenda ONU per lo Sviluppo Sostenibile

Quando fu approvata nel 2015, l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sembrava fornire un programma ambizioso per trasformare il mondo in cui viviamo, ma anche un arco di tempo sufficientemente esteso per realizzarlo almeno in parte.

Siamo arrivati a metà strada secondo il calendario. Nel frattempo abbiamo sperimentato una pandemia globale, una crisi economica, una inedita crisi energetica e il ritorno della guerra in Europa. Una riflessione riguardo agli obiettivi dell’Agenda, ai suoi risultati e alle possibilità di muovere qualche passo in avanti è quanto meno opportuna.

Questa rubrica si propone di discutere alcune questioni-chiave per le imprese, i Governi e naturalmente i cittadini coinvolti in una transizione intesa a rendere migliori le nostre società, favorire una crescita sostenibile e aperta a tutti, salvaguardare e possibilmente migliorare l’ambiente in cui viviamo e in ultima analisi la qualità delle nostre vite.

Prof. Luca Cetara – Ricercatore, Eurac Research e docente di Economia Ambientale e Sostenibilità presso European School of Economics

In una giornata d’autunno del 2015, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Risoluzione A/RES/70/1.

Si trattava di un documento particolarmente visionario, almeno a giudicare dal titolo, che recitava: “trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile”. Una simile urgenza di trasformare il mondo sembrerebbe indicativa di una situazione clinica grave, che merita di essere esaminata prima di passare alle soluzioni proposte.

Il punto di partenza

La globalizzazione e il regolare ricorso al multilateralismo nelle relazioni internazionali hanno accelerato lo sviluppo economico negli ultimi 40 anni, riportando risultati di rilievo, specialmente in termini di riduzione di povertà estrema (circa il 50%) (la cui soglia è recentemente aumentata dalla Banca Mondiale da 1.90 a 2.15 dollari al giorno ai prezzi del 2017) di speranza di vita alla nascita, di istruzione e di salute.

Lo sviluppo economico ha permesso di migliorare radicalmente la vita di milioni di persone in tutto il mondo, nonostante abbia generato impatti significativi in termini di disuguaglianze, danni ambientali ed economici.

Di fatto tuttavia sono ancora in molti a vivere in situazioni di pericolo, le disuguaglianze non possono considerarsi un problema risolto e gli impatti climatici vanno intensificandosi e mettono a rischio molti dei benefici sociali ed economici conseguiti finora grazie al conseguimento della prosperità economica.

Le interconnessioni tra queste tendenze regolarmente registrate dalle statistiche sono particolarmente complesse da interpretare e altrettanto arduo sembra essere mettere a punto linee di azione ragionevolmente efficaci.

Per questo si è cercato di elaborare una categoria interpretativa per alcuni fenomeni di lungo periodo osservabili già oggi ma che possono essere considerati plausibilmente in grado di generare impatti futuri di portata globale.

I megatrend

Per comprendere almeno i fondamenti di quanto abbiamo brevemente osservato, si è diffusa la consuetudine di affidarsi ad alcune tendenze globali ricorrenti per stimare l’evoluzione delle nostre società, confortati dalla portata particolarmente ampia di molti dei cambiamenti a cui assistiamo, che si svolgono su scala mondiale o macroregionale. Non a caso molti rapporti di organismi internazionali li chiamano “megatrend” proprio per indicare come essi descrivano processi in grado di produrre cambiamenti a livello globale nel lungo periodo, spesso legati a fattori strutturali della società come la demografia, l’ambiente, l’energia, l’innovazione scientifica e tecnologica, il lavoro.

Per portare un esempio di livello regionale, ricordiamo che per l’Unione Europea sono 14 i megatrend più rilevanti per il proprio territorio: le diseguaglianze, i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, le migrazioni, i consumi, la crisi delle risorse, lo squilibrio demografico, l’influenza dell’Est e del Sud del mondo sulle dinamiche globali, la tecnologia e l’iperconnettività, il lavoro, l’istruzione, la salute, l’urbanizzazione, i nuovi sistemi di governo, e la nuova visione della sicurezza.

Invece, le Nazioni Unite, in vista della stesura dell’Agenda 2030 ne hanno considerati sei, che descriviamo brevemente di seguito:

  1. La povertà e le disuguaglianze di reddito – una condizione di povertà o povertà estrema interessa ancora tra i 600 e i 684 milioni di persone secondo le stime ONU. La disuguaglianza di reddito negli scorsi decenni si è ridotta tra Paesi ma non all’interno di ciascun Paese. In questo periodo l’1% della popolazione mondiale, la porzione con i redditi più elevati, ha catturato il 27% del reddito prodotto dalla crescita registrata, mentre il 50% degli individui con i livelli di reddito più bassi ha catturato solo il 12% del reddito derivante dalla crescita complessiva. La concentrazione della ricchezza è sbilanciata a favore dei più ricchi.
  2. I cambiamenti demografici e sociali – specialmente la crescita delle quote di giovani e anziani nella popolazione globale, le accentuate migrazioni e la concentrazione dei residenti nelle aree urbane, che tendono a generare pressioni sociali ed ecologiche importanti. Nel 2030 la popolazione potrebbe raggiungere gli 8.6 e nel 2050 i 9.8 miliardi di persone. Questo potrebbe significare maggior accesso a una manodopera in età lavorativa, ad esempio in Africa, ma richiederebbe anche un deciso miglioramento della diffusione e della qualità dei servizi sociali oltre che delle condizioni di lavoro.
  3. La tecnologia e la quarta rivoluzione industriale – un’espressione con cui si indica la crescente compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico, che si è concretizzata in una somma dei progressi in campi come intelligenza artificiale (IA), robotica, Internet delle Cose (IoT), stampa 3D, ingegneria genetica, computer quantistici e altre tecnologie. Potenzialmente queste tecnologie sono in grado di modificare il mondo in cui viviamo e di influire sul nostro benessere, ma potrebbero anche influenzare il mondo del lavoro (è stato stimato che l’adozione di sistemi di intelligenza artificiale potrebbe mettere a rischio fino al 30% dei posti di lavoro a reddito medio).
  4. I cambiamenti climatici – che stanno generando un’emergenza climatica continua. Infatti aumentano le emissioni di gas a effetto serra e con esse le temperature, le conseguenze per la biodiversità, gli ecosistemi, l’acqua, l’agricoltura e più in generale la produzione di cibo. Spesso le aree del mondo meno responsabili per le emissioni di gas serra sono le più fragili, esposte ai maggiori rischi, colpite da fenomeni estremi e per una combinazione di ragioni economiche, sociali e istituzionali non in grado di reagire adeguatamente alla crisi climatica. Sono le stesse aree con maggiori problemi demografici e di reddito, con un grave deficit di equità e distribuzione della ricchezza.
  5. I modelli di produzione e consumo non sostenibili – che hanno generato l’impressionante aumento di ricchezza legato al commercio internazionale responsabile di una crescita del PIL globale del 50% tra 2000 e 2016, ma anche consumi eccessivi di risorse naturali limitate e un rilascio di emissioni e rifiuti non sostenibile nel lungo periodo. I danni generati da questi modelli produttivi sull’ambiente e sulla società non sono qualificati come costi dai sistemi contabili pubblici e privati. Di conseguenza, non esistono disincentivi al consumo delle risorse che si rivela regolarmente superiore alla capacità del pianeta di rigenerarle, determinando una situazione di “overshooting”, misurata con indici come l’impronta ecologica: il 28 luglio scorso è stato l’Earth Overshoot Day per il 2022 cioè il giorno in cui abbiamo consumato tutte le risorse che il pianeta sarà in grado di rigenerare nel corso del 2022. Siamo in debito di circa 4 mesi.
  6. L’incertezza in aumento, gli shock e le crisi – costituiscono una categoria sui generis che pone l’accento sull’esistenza di eventi difficilmente prevedibili se non per il fatto che potrebbero avere effetti almeno congiunturali rilevanti sull’andamento dell’economia e dell’evoluzione sociale. D’altra parte, le crisi finanziarie, sanitarie, geopolitiche negli ultimi anni si sono intensificate drammaticamente in tutte le aree del mondo. Improvvise, inattese e protratte imprevedibilmente nel tempo, crisi di questo tipo possono danneggiare soprattutto le fasce di popolazione già relativamente deprivate, che vivono in condizioni di disuguaglianza e povertà, mettendo a rischio la prospettiva di sperimentare uno sviluppo sostenibile per milioni di persone nel mondo.

Modalità di intervento

Spesso le risposte ai cambiamenti indotti dai megatrend sono incoerenti rispetto alla loro portata: per comprensibili ragioni amministrative sono disomogenee e frammentarie. Infatti, ogni Paese, regione o impresa risponde in modo autonomo alle manifestazioni locali di queste tendenze universali, con un considerevole ma inefficace dispendio di energie.

Infatti questi fattori sono difficilmente controllabili su scala nazionale e ancor meno locale o individuale: riconoscere o favorire relazioni tra Paesi, cittadini e organizzazioni permette di affrontare le sfide dei megatrend con maggiore consapevolezza, maggiori mezzi e maggiore efficienza.

Per questo, la Risoluzione A/RES/70/1, che istituisce l’Agenda 2030, auspica per il conseguimento dei 17 Obiettivi di cui si compone (che avremo modo di discutere meglio in futuro), il consolidamento della cooperazione internazionale e la messa a punto di una visione globale che comprende una strategia per la mitigazione degli effetti indesiderati dei megatrend, ma anche una serie di strategie puntuali, nazionali e locali, coerenti ma diversificate sulla base degli effetti locali da gestire.

Il documento nato nell’autunno newyorkese del 2015, per quanto visionario, sembra dotato di premesse piuttosto convincenti.

Luca Cetara

 

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