La violenza economica si riferisce ad atti di controllo posti in essere per monitorare il comportamento di una donna circa l’utilizzo e distribuzione del danaro con la costante minaccia di negare risorse economiche, esponendola a debiti, o ancora impedendole di avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale nonché utilizzare le risorse senza rispettare la sua volontà.
Riguarda essenzialmente la sfera familiare, e quindi anche gli equilibri di coppia, e consiste in una serie di comportamenti volti ad impedire che la compagna, convivente, coniuge, sia o possa diventare economicamente indipendente, per poter esercitare sulla stessa un controllo indiretto, ma incisivo. Ogni aspetto legato alla gestione finanziaria viene monopolizzato in posizione di “superiorità economica”, mentre la donna, posta in uno stato di subordinazione, è costretta a chiedere le risorse necessarie per le spese quotidiane ed a giustificarne l’utilizzo. Tuttavia la violenza economica si manifesta anche con l’indurre la donna ad aprire società di persone e/o di capitali, fungendo da “testa di paglia”, e/o a contrarre debiti in nome e per conto dell’altro. E’ evidente che questa declinazione della violenza è poco conosciuta e studiata; essa rappresenta ancora oggi un grande sommerso e non incontra riprovazione sociale. Tuttavia il controllo economico è molto diffuso indipendentemente dalla capacità reddituale e/o dalla fascia di reddito. Le disparità e le ineguaglianze, infatti, permangono in maniera evidente nella struttura economica e politica della nostra società, come ci restituiscono i dati sul “gender economic gap” a livello nazionale, locale e mondiale. Peraltro con l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Corona virus la quota delle famiglie che dichiarano di arrivare con difficoltà a fine mese è sensibilmente aumentata attestandosi all’incirca intorno al 58%, aggravando la situazione non solo del nucleo familiare nell’insieme ma soprattutto delle donne che si sentono sempre più incapaci ad emanciparsi anche per via, molto spesso, delle situazioni debitorie contratte per le ragioni suindicate e che devono affrontare. La violenza economica rimane quindi una forma di compressione della libertà personale delle donne poco riconosciuta nella sua gravità e più diffusa di quanto ufficialmente rilevato.
E’ chiaro, quindi, che bisogna lavorare con le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza per far emergere anche la violenza economica in tutta la sua gravità, per aiutarle nel percorso di fuoriuscita dal sovra indebitamento causato da terzi (marito, compagno, convivente, fidanzato, ecc).
Uno degli antidoti per contrastare questa declinazione di violenza potrebbe consistere nell’aumentare la conoscenza finanziaria delle cittadine, tramite una educazione alla gestione del bilancio familiare e delle società per rendere le donne consapevoli dei rischi ai quali potrebbero andare incontro e per far conoscere gli strumenti da attivare e come gestirli. Tuttavia, oltre ad educare le donne nella gestione del bilancio familiare, (c.d. educazione finanziaria), è necessario dar loro l’opportunità di lavorare sul bilancio delle proprie competenze per far emergere le risorse che posseggono, promuovere l’empowerment e colmare il divario tra diritti formali e l’esperienza vissuta delle donne, per raggiungere l’uguaglianza sostanziale. È necessario un quadro di azione che focalizzi l’attenzione su alcuni punti: l’elaborazione dei traumi, per integrare le esperienze fino a quel momento rimaste “intrappolate” e ridurre la sofferenza legata agli eventi vissuti; il rispetto (affrontare stereotipi, stigma e violenza); la voce (rafforzare la voce e la partecipazione delle donne in tutti i settori della vita pubblica e privata); l’educazione dei bilanci familiari; le risorse (ristabilire lo svantaggio socio economico delle donne) con bilanci delle proprie competenze che spesso sono sopite a causa della scarsa autostima anche in ragione della situazione di sovra indebitamento nel quale vengono a trovarsi. Per quest’ultimo sarebbe indispensabile anche una formazione sulla legge sul Sovraindebitamento per comprendere come liberarsi da situazioni economiche non realizzate con consapevolezza ed anche per prevenire ed agire contro gli eventuali fenomeni di usura e crisi da sovra indebitamento. Le procedure di composizione delle crisi di sovraindebitamento, disciplinate dalla Legge 3 del 2012, sono state recentemente modificate dalla Legge di conversione del c.d. Decreto Ristori (d.l. 137/2020). Inoltre, le procedure previste dalla citata Legge 3/2012 consentono ai soggetti che non riescono a far fronte ai propri debiti di risolvere la propria situazione attraverso un accordo con i creditori (c.d. accordo di composizione della crisi) tramite la presentazione di un dettagliato piano di rientro (c.d. piano del consumatore). L’accesso a tali procedure è subordinato al soddisfacimento di determinati requisiti. Ad esempio, il consumatore deve dimostrare che l’attuale situazione di sovraindebitamento è dovuta per cause a lei non imputabili e che aveva assunto le proprie obbligazioni con la dovuta diligenza, tipica fattispecie della violenza economica. Innanzitutto va sottolineato l’ampliamento della nozione di consumatore rispetto la legge del 2012, considerando consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socio di una società in nome collettivo o in accomandita, per i debiti estranei a quelli sociali. Una delle novità di maggior rilievo è rappresentata dall’introduzione delle procedure familiari. Grazie a questa nuova modalità, i membri (la membra?) della stessa famiglia possono oggi presentare un’unica procedura di composizione della crisi, quando siano conviventi oppure quando il sovraindebitamento abbia un’origine comune. Infine, molto rilevante è l’introduzione della procedura prevista dal nuovo art. 14-quaterdecies della Legge 3/12, riguardante la esdebitazione del debitore incapiente. Si tratta di una soluzione molto favorevole per il debitore incapiente, cioè quella persona fisica che non sia in grado di offrire ai propri creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura. In tal caso, quando risulta che il debitore e, nel nostro caso, la debitrice sia meritevole (cioè, se si trovi incautamente e senza colpa in situazione di sovraindebitamento), egli (ella) può accedere all’esdebitazione (e cioè alla liberazione dai debiti non soddisfatti), con ricorso al giudice competente. L’esdebitazione è concessa a condizione che la debitrice si impegni a pagare i propri debiti entro quattro anni dal decreto, se sopravvengono utilità rilevanti per il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10 per cento. La domanda di esdebitazione deve essere presentata mediante l’organismo di composizione della crisi, che deve anche allegare una dettagliata relazione, per consentire al Giudice di valutare in modo idoneo l’assenza di atti in frode ai creditori e la mancanza di dolo o colpa grave della debitrice. In questo caso sarebbe possibile prevedere la dichiarazione di presa in carico, da parte dei centri antiviolenza, della donna, finalizzata a certificare la situazione debitoria in cui trovasi e la sua estraneità ovvero la mancanza di colpa nella situazione di sovra indebitamento. In definitiva gli Enti locali e Nazionali, potrebbero prevedere nei prossimi bandi delle risorse finanziarie, da affidare ai centri antiviolenza ovvero agli ambiti territoriali, i quali sono tenuti a presentare un progetto personalizzato per la donna sovra indebitata e liberarla da questo “cappio” di natura economica che, inevitabilmente, come detto, agisce sulla propria autostima, impedendole di proiettarsi nel futuro prossimo anche dal punto di vista lavorativo, ostacolando quanto previsto nel PNNR che si occupa e preoccupa di sviluppare con le sue missioni le priorità della strategia nazionale per il raggiungimento della parità di genere negli anni 2021- 2026, articolandole in un ampio programma volto a garantire (favorire) la partecipazione femminile al mercato del lavoro direttamente o indirettamente per correggere le asimmetrie che ostacolano le pari opportunità.
Maria Pia Vigilante
Presidente Associazione Giraffa
e del centro antiviolenza Labriola di Bari