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Il nostro vivere è condizionato
Non c’è ambito in cui oramai il concetto di “politicamente corretto” stia condizionando il nostro vivere, tanto nel dibattito pubblico quanto in quello culturale. Come per ogni cosa, quando si esagera si rischia di ottenere un effetto contrario, e questo è proprio quello che sta succedendo.
Alle origini questo concetto nasce come un tentativo di promuovere il rispetto e l’inclusività nel modo di relazionarsi, e per evitare l’utilizzo di termini o assumere comportamenti che possano offendere o emarginare determinate categorie di persone. E fin qui nulla osta, anzi.
Un approccio esasperato
L’esasperazione di questo approccio però porta con sé una serie di rischi dei quali non possiamo non tenerne conto. È sufficiente ascoltare canzoni di qualche decennio fa, o vedere film, programmi televisivi o attori e cabarettisti durante le loro performance, per capire come uno dei rischi più evidenti è rappresentato dal potenziale soffocamento della libertà di espressione. L’arrivare a censurare opinioni o idee soltanto perché possono essere percepite come offensive, porta alla immediata conseguenza, da scongiurare, di limitare il dibattito e la diversità di pensiero. E se viene meno, o anche se solo viene limitata, la libertà di espressione, crolla uno dei pilastri portanti delle società democratiche.
Costretti ad “autocensurarci”
A chi di noi non è mai capitato addirittura di “autocensurarci” per paura che esprimere le nostre reali opinioni possa esporci a ripercussioni sociali o professionali? Ed ecco allora che preferiamo essere superficiali e conformarci al pensiero richiesto. Proprio così, perché le persone possono adottare un linguaggio inclusivo e rispettoso solo per evitare critiche, senza un vero impegno verso i valori di uguaglianza e rispetto. Si arriva al paradosso, alimentato anche dalla imponente forza dei social, della cultura dell’apparenza, dove le parole contano più delle azioni e delle intenzioni sincere.
Le differenze di opinione diventano barriere insormontabili
A questo effetto dobbiamo anche aggiungere il rischio che chi percepisca che le proprie opinioni non possono essere espresse liberamente, finisca con il sentirsi “altro” rispetto la società in cui vive e finisca con l’estraniarsi da questa. È il famoso clima da tifoserie, quello dei “noi contro loro”, quello che a cui abbiamo assistito anche durante il periodo pandemico tra pro e no vax. In tutti questi casi le differenze di opinione diventano barriere insormontabili e non come dovrebbe essere, in una società matura e democratica, una opportunità di dialogo e crescita.
Un’attenzione esagerata
Se nel nostro quotidiano siamo attenti in maniera esagerata a evitare qualsiasi offesa, o meglio quelle che per il nuovo sentimento sono ritenute tali, rischiamo di perdere di vista quelle che sono le reali ingiustizie e disuguaglianze. Essere concentrati su questioni minori, come concentrarsi su termini linguisticamente neutri, rischia di distrarci dai problemi più gravi e strutturali che affliggono la nostra società, come l’integrazione, il sessismo o la povertà, cui dovremmo prestare più attenzione.
Il pericolo del fanatismo
C’è chi del politicamente corretto ne ha fatto una propria bandiera, e solo Dio sa quanto è pericoloso il fanatismo. Ma anche noi a livello un po’ più basso possiamo comprendere come l’adesione estrema al politicamente corretto può generare intolleranza verso chi esprime opinioni diverse. Una intolleranza che vediamo manifestarsi anche attraverso la “cancel culture”, dove vengono distrutte statue e simboli del passato e dove individui o gruppi vengono ostracizzati o demonizzati per aver espresso opinioni considerate inaccettabili. Esattamente il contrario di quanto dovrebbe essere alla base di una società sana e democratica che è basata sul principio del dialogo aperto e del confronto civile. Garantiamo sempre la libertà di espressione, il pensiero critico e il dialogo aperto. Evitiamo il fanatismo in ogni sua espressione.
Massimo Maria Amorosini