4 Ottobre 2024
Editoriale

Editoriale n°19 – Giugno 2022

Il conflitto in Ucraina ha portato prepotentemente in primo piano la questione Europa, con le sue tante positività ma anche con le non poche debolezze e criticità. Lo scorso 9 maggio si è conclusa a Strasburgo la Conferenza sul futuro dell’Europa, dopo un percorso senza precedenti di un intero anno ricco di discussione, dibattito e collaborazione tra cittadini e politici. Alla cerimonia finale la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, il presidente Emmanuel Macron a nome della presidenza del Consiglio e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen si sono visti consegnare dai copresidenti del comitato esecutivo della Conferenza il corposo rapporto finale sui risultati della Conferenza, ovvero 49 proposte con al loro interno obiettivi concreti e indicazioni per oltre 320 misure da seguire da parte delle istituzioni europee.
Alcune di queste proposte implicano delle modifiche radicali delle regole di funzionamento dell’Unione Europea, basti pensare ad esempio al superamento dell’unanimità per le decisione del Consiglio, che rappresenta tutti i 27 Stati membri, o anche alla ipotesi di creazione di una difesa comune oppure all’istituzione di liste transnazionali. Se ci fermiamo a leggere e riflettere su quanto contenuto nel Rapporto verrebbe da dire che sta iniziando un percorso per cambiare i trattati fondanti dell’Unione Europea, ma sarà davvero così? È veramente così facile realizzare questo cambiamento? Se solo guardiamo quali reazioni sono scaturite da questo Rapporto tra i rappresentati della politica europea capiamo come la risposta è sicuramente che non è facile, anzi. Alcuni sono per un immobilismo, altri si dicono favorevoli alle riforme ma c’è da chiedersi se poi è realmente così quando si scopre che potrebbero danneggiare il proprio Paese. Ma allora avremo mai davvero un’Europa più vicina ai suoi cittadini? Questa è la domanda principale a cui bisogna cercare di avere risposta. Gli strumenti per cambiare ci sono, se solo ci fosse però anche la volontà a farlo, perché dal 2009 l’articolo 48 del trattato sull’Unione europea (TUE) stabilisce due procedure per la revisione dei trattati, o la revisione ordinaria o quella semplificata. Si sente spesso parlare di sussidiarietà europea, un principio previsto dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea e che definisce le condizioni in cui l’Unione ha una priorità di azione rispetto agli Stati membri. Facciamo degli esempi concreti per meglio comprenderne il significato. Il principio di sussidiarietà esiste già dal trattato di Lisbona del 2004, e vuol dire lasciare ai livelli istituzionali più vicini ai cittadini, per intenderci i nostri Enti locali, la possibilità di sviluppare delle azioni di natura politica amministrativa per le proprie comunità, evitando di cedere competenze ai livelli superiori. Lo stesso vale, e deve valere, anche per gli Stati membri nei confronti dell’Unione Europea, si deve delegare solo quello che non si è in grado di fare a livello di Stato membro. Purtroppo questo è un principio che spesso rimane solo sulla carta perché l’Unione Europea tende, soprattutto negli ambiti fiscali e commerciali, a regolamentare tutto ma questa è ben altra cosa rispetto al principio di sussidiarietà. Il conflitto in Ucraina ha molto fatto discutere anche sul bisogno per l’Europa di un progetto di difesa europea, un progetto assai difficile da realizzare se solo pensiamo ad un aspetto fondamentale, ovvero la mancanza di una politica estera comune. Ma serve davvero questo progetto? Non rischiamo di creare soltanto un doppione rispetto alla Nato? Le tante e diverse regole di ingaggio delle forze armate dei singoli Stati membri non impediscono a monte questo percorso? Lasciamoci con queste domande, con questi spunti di riflessione e cerchiamo di trovare in noi le risposte. Viva l’Italia e viva l’Europa.

Massimo Maria Amorosini

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