Tira e tira che la corda alla fine si spezza. Quante volte da bambini nell’essere sgridati dai nostri genitori ci siamo sentiti dire questa frase? E quante volte abbiamo imperterriti continuato nei nostri comportamenti perché certi che sarebbero state soltanto delle minacce inevase? Proviamo ora a riflettere su quello che si è palesato ai nostri occhi, in un momento estremamente delicato per l’economia del nostro Paese, il 20 e 21 luglio al Senato e alla Camera dei Deputati. Ed allo stesso tempo cerchiamo similitudini con questi nostri ricordi d’infanzia, basta poco ed il risultato è scontato. Ora facciamo un passo indietro e ricostruiamo tutto dall’inizio, rimettiamo in fila fatti e avvenimenti per capire meglio come si sia arrivati a ciò. L’uomo forte di cui aveva bisogno il Paese, l’ex (?) banchiere Mario Draghi con un curriculum di primo piano ed una credibilità personale riconosciuta unanimemente a livello internazionale, è stato chiamato dal Presidente della Repubblica il 13 febbraio 2021 per essere presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana alla guida di un governo di unità nazionale sostenuto da quasi tutti i principali partiti presenti in Parlamento. L’avvicinarsi della naturale scadenza della legislatura, forse anche condizionata dall’avvenuta riforma che dal prossimo “giro di giostra” vedrà drasticamente diminuire il numero dei parlamentari, ha man mano creato agitazioni e fermenti nei vari partiti, perché al loro interno già ci si preoccupava di cosa sarebbe successo dopo. Non tanto per il Paese, in molti casi, ma per il loro individuale futuro di “privilegiati”. Ed è qui che anche per una inesorabile crisi di consensi anticipata dai tanti sondaggi, ma anche certificata dalle ultime amministrative, assistiamo ad una scissione che ha coinvolto, anzi sconvolto, la principale di queste forze che avevano dato pieno sostegno al progetto, il Movimento 5 Stelle, portando il suo leader, l’ex premier Giuseppe Conte, a mettere completamente in discussione quella adesione al percorso di unità nazionale per un fine superiore, e cercare nuove vie per recuperare un po’ di consenso che potesse garantire di recuperare quei valori, e soprattutto voti, del passato. A questo uniamo, come era normale attendersi, i ripetuti tentativi, un po’ da parte di tutti i partiti della maggioranza, di far passare qualche proprio provvedimento “cavallo di battaglia”, visto l’avvicinarsi dell’appuntamento elettorale, e dimostrare quindi ai propri rispettivi elettorati di essere ancora quelli di sempre e di non essersi uniformati ed appiattiti nel pensiero e nelle idee. Un po’ tutti hanno fatto il conto senza l’oste, quel Presidente del Consiglio atipico, distaccato, quasi a sembrare alle volte altezzoso, che non è un parlamentare né tantomeno espressione diretta di questo o quel partito o di una coalizione. Risultato? Mario Draghi ha deciso di dimettersi. Si, ha deciso di dimettersi. Perché non c’è stata alcuna sfiducia parlamentare, né la prima né la seconda volta in cui negli ultimi giorni è stata posta la fiducia ad un provvedimento del Governo. Non ci sono stati i numeri attesi, questo sì, ma non c’è stata la sfiducia. E’ stato, o almeno così è sembrato, il non voler avere nulla più a che fare con quel mondo e quei giochi politici da parte di chi fin dall’inizio si sentiva distaccato, non interessato, finanche infastidito. Della serie o fate come dico io o a me non interessa la partita, non voglio né mi interessa o affascina giocarla. Non fa per me e soprattutto io sono altro rispetto a voi. Adesso è un piagnisteo continuo, generalizzato e diffuso tra le forze politiche, perché si è rimasti “orfani”, ma soprattutto forse perché non ci sarà più chi si assumerà le responsabilità al posto loro. Quello che temo è che questo teatrino, e nell’ultimo periodo non è stato l’unico, rischia di trasmettere agli elettori alcuni segnali tutt’altro che positivi. Ovvero che il miglior premier sia quello non eletto e non espressione della politica e dei partiti, ed anche che il voto, la sublimazione della democrazia rappresentativa, tutto sommato sia un qualcosa di superfluo, perché la storia recente ci ha dimostrato che una scelta di emergenza sia di gran lunga preferibile.
Massimo Maria Amorosini