Si avvicina il giorno delle elezioni, il giorno in cui siamo chiamati a decidere (ma sarà poi vero?) del futuro del nostro Paese e quindi anche nostro. Assistiamo al solito spettacolo del tutti contro tutti, a volte anche all’interno delle stesse coalizioni. I programmi sono stati presentati, le liste con i candidati sono ufficiali e si portano al seguito quella scontata ondata di malcontenti tra gli esclusi, ma anche nei territori che in alcuni casi si sono visti catapultare candidati non “autoctoni” che a stento conoscono la cartina geografica. Manca soltanto quel piccolo dettaglio che in democrazia si chiamo voto, diritto e dovere di manifestare la propria volontà affinché governi una parte piuttosto che un’altra. La scena è riempita soprattutto da dichiarazioni contro, contro quella coalizione, quell’ideologia, quel partito, quel leader, quel simbolo. Sembra quasi che ci si sia dimenticati che l’Italia ha bisogno di una politica a favore, una politica che voglia costruire, che abbia una visione ed una progettualità. Una politica che sappia quale è il suo ruolo, quali sono gli obiettivi da prefissarsi e come raggiungerli. Come stupirsi poi se sempre meno sono i cittadini che si recano alle urne, che capiscono che soltanto esercitando il loro diritto/dovere potranno sperare di cambiare qualcosa nella direzione che gli stessi ritengono giusta. Come spiegargli che se non lo fanno non hanno alibi, né giustificazioni, né autorizzazione un domani a lamentarsi. Si, a lamentarsi. Lo si potrà fare solo se ognuno avrà fatto la sua parte, abbia partecipato attivamente, magari anche vedendo sconfitti i propri candidati su cui si erano riposte le proprie aspettative. Assistiamo a duelli verbali in pubblico, con toni anche fin troppo accesi tra i vari politici che, poco prima o poco dopo, vediamo sorridere, o bere insieme, o magari anche andare insieme alla toilette come se fossero scesi dalle tavole del palcoscenico appena calcato per, dopo aver interpretato una parte, tornare se stessi. Come si può essere non spiazzati da tanta improvvisazione e pressappochismo? Come si può pretendere che tanti non si sentano demoralizzati e sconcertati fino al punto di ritenere che andare a votare sia soltanto una perdita di tempo, e che tanto “nulla cambia perché sono tutti d’accordo”? Come si possono con queste premesse avvicinare le nuove generazioni che sono già, e saranno sempre più, gli elettori del futuro? I leader dei principali partiti, già tutti presenti sui vari social, sono sbarcati anche su “Tik Tok”, il social più usato dai giovani appartenenti alla Generazione Z, quella generazione di ragazzi nati tra il 1997 e il 2012, che utilizzano questo social per realizzare e “postare” video creativi e di piccole dimensioni che hanno la loro forza nell’avere un potenziale di “viralità” e di coinvolgimento fortissimo. Attenzione però, tra voler essere giovani a tutti i costi, o giovanili, ed essere patetici il passo è molto breve. Forse non è questo di cui il Paese ha bisogno.
Massimo Maria Amorosini