28 Aprile 2025
Editoriale

Editoriale n°31 – Giugno 2023

L’alluvione avvenuta a maggio 2023 in Emilia Romagna, con il suo tragico bilancio di 13 persone morte, 42 Comuni letteralmente sott’acqua, circa trecento tra smottamenti e frane, e l’assenza di elettricità per 34mila utenze, è l’ennesimo episodio che testimonia la distrazione e superficialità che spesso le amministrazioni locali dimostrano nei confronti dei ripetuti “allert” che avvisano dei potenziali rischi. Partiamo proprio dall’ultima catastrofe in Emilia Romagna per provare a ragionare su come nascono le alluvioni e quali pericoli portino con loro.  Abbiamo tutti visto le immagini dei fiumi esondati, delle strade che si “sbriciolavano” sotto la forza impetuosa dell’acqua, abitazioni distrutte e danneggiate, moto e auto trascinate via dall’acqua, persone che imploravano aiuto chiedendo ai citofoni di aprire le porte per poter trovare riparo dalla furia impietosa dei fiumi straripati. Immagini che si ripetono non di rado in varie località italiane, anche se con bilancio di morti e danni economici differenti. Se andiamo a sbirciare i dati riportati sul sito internet Polaris (Popolazione a rischio da frana e da inondazione in Italia), gestito dall’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), vediamo come in Italia dal 1950 ad oggi si siano succeduti vari eventi catastrofici di questo genere, tra cui nel 1951 Calabria con 68 morti e Polesine con 101 morti, nel 1953 Reggio Calabria con  101 morti, l’anno successivo, il 1954, Salerno con 325 vittime e per finire nel 1998 a Sarno ci furono 160 morti. Questi eventi devono però farci ragionare sul fatto che è troppo riduttivo e semplicistico dare la colpa solo al cambiamento climatico. Questo significherebbe non volerci assumere le nostre responsabilità e inseguire una moda banalizzando un problema ben più serio e complesso che ci vede, come società, coinvolti e responsabili. Il cambiamento climatico, se vogliamo trovargli una colpa, non fa che amplificare le conseguenze dei dissesti di un territorio ormai troppo fragile e vittima di una non attenta sua gestione a partire da una insufficiente manutenzione dei corsi d’acqua e da un eccessivo consumo di suolo per edificare. Nella terza edizione del rapporto ISPRA “Dissesto idrogeologico in Italia: Pericolosità ed indicatori di rischio”, pubblicato a maggio 2021, leggiamo che in Italia sono 7.423 i Comuni (93,9% del totale) esposti a frane, alluvioni o erosione costiera, e che sono oltre 1,3 milioni gli abitanti a rischio frane, mentre 6,8 milioni quelli a rischio alluvioni. Quello di cui abbiamo bisogno è una strategia nazionale per la gestione delle emergenze, che intervenga fattivamente prima che si verifichino tali catastrofi, e non solo quando l’evento si è ormai palesato. I disastri idrogeologici non si devono più considerare come degli eventi imprevedibili, e di fronte ai quali non abbiamo armi, ma come delle evidenze di anni di malgoverno del territorio. La cementificazione in Italia distrugge ogni anno oltre 60 chilometri quadrati di campagne, boschi, sponde dei fiumi e coste dei mari, favorendo il dissesto idrogeologico. Continua imperterrita in tutta Italia, dove si continua a costruire finanche su terreni censiti ufficialmente come pericolosi. Complici troppi Enti locali che, per ignoranza, autorizzano nuove opere che aggravano il dissesto. Poi, dopo i disastri, si contano le vittime. Prendiamo come una ennesima lezione la tragedia appena consumatasi in Emilia Romagna e speriamo di non doverci nuovamente trovare a scrivere di una nuova tragedia annunciata.

Massimo Maria Amorosini

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