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14 Gennaio 2025
Editoriale

Editoriale n°36 – Novembre 2023

Sabato 7 ottobre ci siamo svegliati tutti con delle immagini terribili, atroci, inumane. Un gruppo di terroristi appartenenti ad Hamas, poco dopo l’alba, ha sferrato un attacco mai visto prima per modalità ed atrocità. Un attacco senza precedenti e con migliaia di israeliani uccisi e circa duecentocinquanta persone prese come ostaggi e portate, anzi deportate, nella striscia di Gaza.

Da lì una escalation di violenza dall’una e dall’altra parte, perché la guerra è sempre una violenza. Anche quando si risponde giustamente al fuoco per difendersi e proteggere il proprio popolo.

Ma da quel sabato 7 ottobre, se ci avete fatto caso, non abbiamo più avuto, o quasi, alcuna notizia di un altro conflitto. Un conflitto che dal 24 febbraio 2022 ha monopolizzato palinsesti televisivi, e non sbaglio quando parlo di proposito di palinsesti, perché non soltanto nei telegiornali o nei programmi di approfondimento, ma anche in programmi di varietà, si è parlato sempre, ed in molti casi solo, dell’invasione dell’esercito russo in Ucraina.

Fermo restando il condannare ogni guerra, la riflessione su cui vorrei soffermarmi, e portare i lettori a riflettere, è di come i media raccontino solo le guerre che richiedono una certa narrazione.

Il conflitto in Ucraina continua, anche se si trova in una fase di stallo che forse porterà a breve le parti interessate a trovare un accordo per uscire da una guerra che ha disatteso le aspettative di ambo le parti.

Ma la riflessione è un’altra, e nasce dalla consapevolezza dell’importante numero di conflitti attualmente in essere nel mondo. Non c’è continente in cui non si combatta, dove non ci siano conflitti armati e violenze. Le guerre in corso sono oltre sessanta, e bisogna ritornare al 1945 per trovare un numero così alto di conflitti. Nel 2022 l’Onu ha stimato in circa 2 miliardi le persone che si trovavano a vivere in zone interessate da scontri armati.

E allora chiediamoci quale è il ruolo dei media nelle guerre, chiediamoci se assolvono al loro “naturale” ruolo di Informazione o se invece non si prestino anche ad essere strumento di potere.

I media hanno sempre svolto un ruolo significativo nella copertura e nell’analisi delle guerre in tutto il mondo. Ma le immagini e i racconti degli inviati di guerra hanno spesso un impatto che va ben oltre la semplice informazione. I mezzi di comunicazione sono diventati uno strumento di potere nelle guerre moderne, influenzando l’opinione pubblica, la politica internazionale e persino lo svolgimento stesso dei conflitti. L’obiettività spesso si scontra con la concorrenza e la necessità di attirare l’attenzione. Mentre in altre situazioni la copertura mediatica delle guerre può anche essere influenzata da interessi politici ed economici. E a noi non resta che interrogarci sulla veridicità e l’equità della narrazione. Le immagini di guerra possono avere un impatto emotivo profondo sul pubblico, e spesso suscitano indignazione o compassione. Sentimenti nobili e di cui non bisogna vergognarsi, ma queste immagini possono anche essere utilizzate come strumento di propaganda o manipolazione. La scelta di quale immagine mostrare e come presentarla può modellare l’opinione pubblica in modi significativi.

La stampa svolge un ruolo fondamentale e decisivo nell’informare il pubblico e nell’influenzare l’opinione pubblica, ma per non “tradire” se stessa deve evitare di prestarsi a diventare strumento di propaganda, manipolazione e potere.

Il pubblico televisivo, o il lettore dei giornali, deve essere consapevole di queste dinamiche ed avere la capacità di valutare criticamente le informazioni che riceve.

Riflettiamo su questo, e forse possiamo così sperare di ottenere una visione più chiara e oggettiva dei tanti, troppi, conflitti nel mondo.

Massimo Maria Amorosini

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