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14 Gennaio 2025
Editoriale

La microplastica è servita, diamole il benservito

La plastica fa parte del nostro vivere quotidiano da più di un secolo. E’ diventato uno strumento insostituibile e ha contribuito ad uno stile di vita moderno, agevolando i consumi delle masse. Ma, di contro, ha generato anche degli inconvenienti.

A cosa ci riferiamo?
Alla microplastica, materiale costituito da particelle generalmente di grandezza inferiore al millimetro. Le sue dimensioni sono talmente ridotte che per essere rilevata si utilizzano unità di misura come micrometri, più semplicemente micron (millesima parte di millimetro) e nanometri (milionesima parte di millimetro).
Gli esperti l’hanno suddivisa in due tipologie: primaria e secondaria. La primaria è quella prodotta direttamente dall’uomo: ad es. polistirene, naylon (poliammide), polipropilene, PET (polietilene tereftalato), PVC (polivinil cloruro) etc. La secondaria deriva dalla degradazione di oggetti più grandi esposti ad agenti atmosferici o chimici: ad es. reti da pesca, bottiglie, buste, mozziconi di sigaretta, pneumatici, materiali tessili, pitture etc.
L’uso massiccio e indiscriminato della plastica nella società moderna, il suo perdurare nel tempo e la sua relativa indistruttibilità, hanno fatto nascere negli studiosi numerosi dubbi in merito all’impatto ambientale e agli effetti che avrebbe sulla salute umana. I risultati delle ricerche hanno evidenziato quanto il rilascio di questa sostanza nell’ambiente sia dannoso, per l’ecosistema e per le persone.

Da cosa è generata e da dove proviene?
È estremamente difficile identificare in maniera precisa l’origine di provenienza della microplastica. Diversi e molteplici i processi che possono generarla. Ad esempio può scaturire da lavorazioni industriali, dal lavaggio di capi di abbigliamento sintetici o dalla usura degli pneumatici durante la guida di un’autovettura.
Dagli anni ’90 poi l’industria della cosmesi ha cominciato ad inserire microsfere plastiche in molti articoli come scrub (prodotti per l’esfoliazione della pelle), creme da barba e dentifrici e solo recentemente si è scoperto quanto questi siano nocivi per l’ambiente. Le particelle abrasive contenute all’interno di tali prodotti, sono talmente piccole che dagli scarichi domestici finiscono direttamente in mare. Gli impianti di trattamento e depurazione delle acque, con i loro sistemi di filtraggio, nonostante riescano a intrappolare una grossa quantità di plastiche, non riescono a trattenerle tutte. Una loro percentuale dai fiumi sfocia nei mari e negli oceani, dove i pesci le ingeriscono inconsapevolmente scambiandole per cibo.
Ma anche la percentuale (solitamente la maggiore) trattenuta dagli impianti di trattamento delle acque danneggia l’ambiente. Questo perché concentrandosi nei fanghi di depurazione va ad accumularsi nell’ambiente terrestre in cui questi fanghi sono spesso utilizzati come fertilizzanti. E’ quanto rilevato dall’ECHA (Agenzia Europea per le Sostanze Chimiche) sul grado di dannosità delle microplastiche aggiunte intenzionalmente, che avverte quanto la persistenza nell’ambiente e la potenzialità di reazioni avverse siano motivo di preoccupazione. In Italia, per fortuna, dal 1 gennaio 2020 l’impiego delle microplastiche in alcuni cosmetici è vietato, non è lo stesso per il resto dell’Europa. Bisognerà lavorare ancora molto per bandirle da tutti gli altri prodotti!

Una carta di credito direttamente nel piatto
Ma come può, la microplastica, arrivare a finire direttamente nel nostro piatto? Il percorso inizierebbe dall’ingestione di un piccolo frammento di plastica da parte di un organismo marino, il plancton, che essendo il nutrimento base di pesci più grandi, dopo una serie di passaggi, risalirebbe tutta la catena alimentare fino ad arrivare sulla nostra tavola!
Gli esseri umani, ingerendo le sostanze plastiche ne assumerebbero anche gli inquinanti rilasciati, i quali possono interferire con il sistema endocrino e arrivare a produrre alterazioni genetiche.
L’ingestione involontaria potrebbe avvenire oltre che attraverso i cibi, soprattutto pesce, molluschi e crostacei, anche attraverso il consumo di bevande in bottiglia, principalmente acqua minerale.
Un recente studio commissionato dal WWF, ha stabilito che gli esseri umani ingerirebbero una media di micropezzi di plastica pari a 21 grammi al mese, 250 gr c.ca all’anno. Quantità che sarebbe pari ad una carta di credito. Tutto causato dalla enorme diffusione di tale sostanza nell’ambiente.

Ora si cerca di porre riparo
Gli ultimi 20 anni hanno visto un incremento esponenziale nella produzione della plastica e, conseguentemente, nel suo consumo. Dagli anni 2000 ad oggi si è prodotta in quantità pari a quella immessa sul mercato dalla sua invenzione, risalente addirittura alla fine del 1800. Si deve inoltre considerare che, in aggiunta all’enorme produzione, il 30% di quella usata viene disperso nell’ambiente.
Anche se non è ancora del tutto chiaro quali siano gli effetti sulla salute dell’introduzione nell’organismo di questi frammenti, le Autorità mondiali stanno cercando di frenare l’inquinamento dovuto alla plastica.
Sono state messe in campo diverse iniziative. La Commissione europea si è attivata già dal 2015 votando una restrizione per l’utilizzo dei sacchetti di plastica. Successivamente, nel 2019, è stata approvata la legge che mette al bando, dal 2021, molti prodotti usa e getta. L’Europa sta cercando di cambiare strategia ponendo le basi per una nuova economia della plastica. Progettazione e produzione dovranno rispettare appieno le necessità del riutilizzo, della riparazione e del riciclaggio. La speranza è di raggiungere un duplice obiettivo: tutela dell’economia ma, soprattutto, tutela dell’ambiente.
Per combattere l’inquinamento da plastica, liberarne gli oceani e, visti gli studi recenti anche i nostri organismi, si è attivato anche il WWF il quale ha lanciato una petizione per l’adozione, entro il 2030, di un regolamento sottoscritto da ogni Paese del mondo.

Monica Cinti

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