… di leggere distrattamente un titolo di giornale. In un primo momento passi oltre, poi una mattina ti svegli col pensiero all’articolo e finisce che vai su internet e cerchi di recuperare l’informazione, trovi quello che cerchi e ti viene voglia di scrivere alcune riflessioni.
Il titolo era: “Pochi pensionati tornati al sud: se la flat tax non basta”, il giornale era “Il Sole 24 ore”).
Di che argomento si tratta?
Si tratta di un’agevolazione fiscale. A fronte del trasferimento di residenza in Italia, nel Sud, il legislatore ammette una tassazione agevolata al 7% per dieci anni per favorire il rientro in Italia dei pensionati espatriati alla ricerca di un migliore tenore di vita in Paesi che offrono una tassazione agevolata (Portogallo) o un costo della vita molto inferiore (Tunisia). Per beneficiare dell’aliquota agevolata è sufficiente aver vissuto fuori dal Paese durante gli ultimi 5 anni e scegliere un Comune del Mezzogiorno con non più di 20 mila abitanti. La legge non dice che il cittadino debba essere per forza italiano, può beneficiare dell’agevolazione fiscale anche un pensionato straniero che decida di trasferirsi a vivere nel Sud Italia.
All’epoca la presi come una mossa in risposta a politiche fiscali che nell’Unione Europea non dovrebbe essere possibile, nemmeno lontanamente, immaginare perché ci vorrebbe un’uniformità di legislazione all’interno dell’UE. La realtà, purtroppo ci insegna altro (e non solo sulle pensioni).
Di questi pensionati ne conosco personalmente alcuni, che sono espatriati, appunto, in Portogallo, in Spagna e in Tunisia.
Mi sono sempre domandato se, dall’Algarve, da Djerba o da Tenerife sarebbero mai tornati in Italia per andare ad abitare in alcuni Comuni delle regioni Sicilia, Calabria, Sardegna, Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia con meno di 20.000 abitanti o in uno dei Comuni con popolazione pari o inferiore a 3 mila abitanti, che rientrano nelle zone colpite dai terremoti del 2016 e 2017, posti nei quali non avevano mai abitato (non essendo originari di quei posti, almeno quelli che conosco io) e, essendo persone non più giovanissime, di quali infrastrutture, sociali e sanitarie, si aspettassero di poter usufruire.
Perché sei una persona non più giovanissima (devi essere stato fuori dall’Italia per più di 5 anni dopo il pensionamento) e vai a risiedere in posti che non è detto che siano tuoi, anzi molto probabilmente sono a centinaia di chilometri di distanza dal luogo di nascita o dai luoghi nei quali hai vissuto la propria vita (della serie è meglio non sradicare le persone anziane dai luoghi in cui abitano).
La risposta alla domanda è nei numeri indicati nell’articolo del giornale: 61 nel 2019, 159 nel 2020 e 286 nel 2021, per un totale di 506 (cinquecentosei).
Come dire: sono al Governo, mi sono alzato bene al mattino, ho aperto la finestra e, ispirato da una bella giornata di sole, partorisco un’idea ….
Il mio pensiero, distorto come sempre, è balzato subito all’oggi e mi è venuto in mente che un’altra mattina ci si è alzati, si è aperta la finestra e, ispirati da una bella giornata di sole, si è deciso di tirare fuori dall’armadio un vecchio provvedimento (il bonus Maroni, in vigore dal 2004 al 2007). Credo di ricordare, e spero di non sbagliare, che nel triennio 2004-2007 furono 80.000 persone ad usufruirne e che secondo il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale non produsse alcun beneficio in termini di risparmi.
Ti danno la quota di contribuzione pensionistica a tuo carico (indicativamente 9,19% della retribuzione) se, maturati i requisiti minimi previsti per l’accesso al trattamento di pensione anticipata flessibile (quota 103, per intenderci), continui a lavorare. Questa opzione non è ancora fruibile perché i Ministeri hanno tardato nell’emanare il decreto attuativo previsto nella legge e l’Inps non ha ancora potuto pubblicare le istruzioni operative.
Dopo il mio pensiero, distorto, mi sono chiesto (un’altra volta!): resto, comunque, al lavoro e prenderò qualcosa in più in busta paga, mi conviene?
Qualcosa in più in busta paga significa che pagherò l’IRPEF su quell’importo? Mi sono risposto di sì.
La mancata contribuzione inciderà negativamente sulla mia pensione futura? Mi sono risposto ancora di sì.
Allora mi sono chiesto perché devo restare al lavoro?
Sarà un altro flop?
E, comunque, siamo ancora agli interventi elettorali. Le regole si possono modificare (lungi da me pensare che i requisiti siano fissi nel tempo) in relazione all’andamento socio economico del Paese e del pianeta ma non si possono inventare (a debito) e spenderle nella cronaca elettorale. Le pensioni sono una cosa seria, necessitano di concretezza, numeri, prospettive future (leggi durabilità nel tempo).
Antonio Chiaraluce