La circolare l’INPS n. 19/2022 recepisce il costante orientamento della giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione: “il coniuge separato – anche se con addebito o per colpa senza diritto agli alimenti – è equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite, in favore del quale opera la presunzione della vivenza a carico del dante causa al momento della morte di quest’ultimo, e pertanto ha diritto alla pensione ai superstiti.”
Partiamo da lontano.
In caso di morte di un lavoratore (dipendente o autonomo) o pensionato, iscritto presso una Cassa o Ente gestore di previdenza sorge il diritto alla pensione ai superstiti: pensione indiretta se il deceduto era in attività e pensione di reversibilità se il deceduto era pensionato. Nel primo caso occorre che il deceduto abbia i requisiti amministrativi stabiliti dall’Ente previdenziale. Ad esempio, per l’INPS, occorrono 15 anni di assicurazione e di contribuzione o 5 anni di assicurazione e contribuzione di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la data del decesso.
La pensione ai superstiti non nasce con la “previdenza”. È stata istituita nel lontano 1939 (artt. 1 e 13, del R.D.L. n. 636/1939) con effetto dal 1° gennaio 1945. Successivamente la legge n. 55/1958, estese il diritto, con effetto retroattivo, ai superstiti di lavoratori deceduti dopo il 31 dicembre 1939. Per i lavoratori autonomi dell’agricoltura bisognerà attendere addirittura l’anno 1969 (legge n. 153/1969, art. 25). Chi può chiedere oggi, anche alla luce della circolare la pensione ai superstiti? Il coniuge (o l’unito civilmente) superstite anche separato o divorziato, i figli ed equiparati (legittimi, legittimati, adottivi, affiliati, naturali, legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, postumi nati entro il trecentesimo giorno dalla data di decesso del padre, nati da precedente matrimonio dell’altro coniuge) minorenni, inabili, figli maggiorenni studenti. In assenza del coniuge e dei figli o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, i genitori dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo abbiano compiuto il 65° anno di età, non siano titolari di pensione e risultino a carico del lavoratore deceduto. In assenza del coniuge, dei figli o del genitore o se, pur esistendo essi non abbiano diritto alla pensione ai superstiti, i fratelli celibi e sorelle nubili dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo siano inabili al lavoro, non siano titolari di pensione, siano a carico del lavoratore deceduto.
Perché questa introduzione e tanta pedanteria nell’elencare i beneficiari? Perché in essi c’è la storia dell’evoluzione della famiglia italiana e dei mutamenti sociali del Paese. Una modulazione della platea a suon di sentenze della Corte costituzionale. “L’intrinseca irrazionalità di norme che, facendo derivare effetti giuridici negativi dall’età del coniuge pensionato e dalla breve durata del vincolo matrimoniale, incidevano indirettamente sulla libertà matrimoniale, cui si collegano valori di rilevanza costituzionali (artt. 3, 29, 31 e 38 della Costituzione)”. Come riempire di contenuti la frase “la previdenza è parte integrante della società”.
Dal matrimonio indissolubile alla separazione, al divorzio, all’unito civilmente (le parole “coniuge”, “coniugi”, “marito” e “moglie”, ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, trovano applicazione anche alla parte delle unioni civili tra persone dello stesso sesso), la punizione (separazione con addebito), durata della convivenza, età di matrimonio (oltre 72 anni), durata del matrimonio (meno di due anni), penalizzazioni (età superiore ai 70 anni, e differenza di età tra i coniugi superiore a 20 anni penalizzazione sull’importo della pensione di reversibilità pari al 10% per ogni anno di matrimonio mancante rispetto ai 10 anni stabiliti, contrasto ai sempre più numerosi matrimoni d’interesse tra anziani e le loro badanti). Non lo dico io lo ha detto la Corte costituzionale.
Oggi, il conseguimento del diritto al trattamento pensionistico ai superstiti da parte del coniuge e dell’unito civilmente dell’assicurato o del pensionato deceduto non è subordinato a nessuna condizione soggettiva. Il coniuge separato, anche se con addebito o per colpa senza diritto agli alimenti, è equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite, in favore del quale opera la presunzione della vivenza a carico del dante causa al momento della morte di quest’ultimo, e pertanto ha diritto alla pensione ai superstiti.
Il coniuge divorziato ha diritto al trattamento pensionistico a condizione che sia titolare dell’assegno divorzile, non risulti passato a nuove nozze, e la data di inizio del rapporto assicurativo del de cuius sia anteriore alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Attenzione! Il convivente more uxorio non è incluso fra i soggetti beneficiari.
Antonio Chiaraluce