Per questo numero (Gennaio 2024) mi è stato chiesto un articolo sulle pensioni del 2024 e di consegnarlo, all’incirca, entro il 18 del mese di dicembre 2023.
Dovrei avere la famosa palla di vetro.
Una considerazione preliminare. Non è forse questo il sintomo più eclatante di come viene gestito il sistema pensionistico in Italia? Ho scritto sintomo consapevolmente perché di malattia si tratta.
Comunque ci provo.
Come sapete i requisiti di accesso alle pensioni legate all’età anagrafica sono collegati alla speranza di vita: fino al 2026 per queste pensioni non cambierà l’età pensionabile. Non lo dico io, a stabilirlo è il decreto del Ministero dell’Economia, pubblicato il 17 ottobre 2023, sulla Gazzetta Ufficiale n. 243.
Il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia resterà fermo a 67 anni, per la pensione anticipata contributiva a 64 anni (se con importo superiore a 2,8 volte l’assegno sociale) e a 71 anni per la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo (a prescindere dall’importo della pensione). Potrebbero, comunque, operare sull’importo soglia di 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale per la pensione di vecchiaia contributiva e 2,8 volte l’assegno sociale per la pensione anticipata contributiva. Resteranno invariati anche i requisiti anagrafici ridotti per i non vedenti e gli invalidi civili in misura non inferiore all’80%.
Resta fermo anche il requisito anagrafico di 66 anni e 7 mesi per la pensione di vecchiaia dei lavoratori addetti ai c.d. “lavori gravosi” (L. n. 205/2017).
Anche i lavoratori addetti ad attività usuranti dovrebbero avere i requisiti invariati essendo le quote legate al requisito anagrafico che rimane invariato e anche i lavoratori precoci perché il requisito contributivo è legato all’aspettativa di vita.
Dovrebbero restare invariati anche i requisiti per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini; 41 anni e 10 mesi per le donne).
Abbiamo messo un punto fermo per queste pensioni? Lo spero.
I dolori cominciano con l’Anticipo Pensionistico (Ape) sociale. Ci sarà ancora? La proroga scade il 31/12/2023. Se sì, con quali requisiti?
Stesso discorso per l’Opzione donna. Ci sarà ancora? La proroga scade il 31/12/2023. Se sì, con quali requisiti?
E quota 103? Ci sarà ancora? La proroga scade il 31/12/2023. Se sì, con quali requisiti?
Si parla (e si scrive), in ogni caso, di inasprimento dei requisiti per tutte queste uscite anticipate.
Posso ripetermi?
Manca la visione complessiva! Quanta frammentarietà d’interventi sulle regole di accesso e di calcolo delle prestazioni che genera discriminazione e iniquità! Cento e più modi (iperbole) di favorire l’anticipo della pensione alla ricerca del consenso istantaneo (aggettivo che era già un insulto quando era associato al caffè, figuriamoci all’azione politica) e si esauriscono, appunto, in interventi distorsivi e iniqui sulle regole di accesso e di calcolo delle prestazioni. Perché non pensare, invece, alla sostenibilità del sistema (sul totale delle prestazioni previdenziali liquidate nel 2022, le pensioni di vecchiaia sono state il 29%, le pensioni ai superstiti il 30% e le pensioni anticipate e di anzianità il 34%) e a una flessibilità in uscita strutturale che sia equa dal punto di vista attuariale (perché è vero che non si possono più fare certi lavori ad una certa età)? Uscita anticipata finanziata strutturalmente (tradotto: aliquota di finanziamento, che può anche comprendere una quota a carico dello Stato) e non può essere posta totalmente a carico della fiscalità generale con due numerini nella legge di bilancio annuale (si chiama debito pubblico).
A proposito della fiscalità generale, mancano totalmente nel dibattito (e nelle opere) l’evasione fiscale e l’evasione contributiva che assumono grande rilievo soprattutto per l’equità del sistema. L’indagine annuale condotta dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali conferma un trend noto: quasi la metà degli italiani (47%) non dichiara redditi, tra i versanti è il 13,94% dei contribuenti con redditi dai 35mila euro in su a corrispondere da solo il 62,52% dell’imposta. Per restare nel campo previdenziale ed essere chiari, il farsi pagare in nero (dipendenti e autonomi) per poi prendersi l’assegno sociale, l’integrazione al trattamento minimo, le varie maggiorazioni sociali, ecc., è un comportamento che va a carico della fiscalità generale.
Antonio Chiaraluce