Con l’art 23 del Decreto legislativo 150/15, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali propone l’assegno di ricollocazione come uno strumento volto a promuovere il re-inserimento al lavoro dei soggetti espulsi dal mercato del lavoro.
In quest’articolo tenteremo di comprenderne la logica ed il funzionamento in virtù della sua potenziale utilità nell’era Covid.
L’assegno di ricollocazione, conosciuto anche come “voucher di disoccupazione” o “bonus disoccupati” é una misura rivolta a chi é rimasto senza lavoro.
Il bonus, che fa parte delle misure volte alla lotta della povertà, é stato introdotto dal governo Renzi con il D.Lgs. 150 del 14 settembre 2015 all’interno del Jobs Act.
Dedicato inizialmente a chi usufruiva della Naspi da almeno quattro mesi ma non aveva ancora trovato lavoro, oggi il voucher si rivolge anche e soprattutto ai percettori di Reddito di Cittadinanza.
Lo spostamento da una platea di riferimento ad un’altra è frutto di una volontà di carattere politico.
Ad ogni modo l’obiettivo di Anpal è quello di aumentare quanto piu possibile la platea di destinatari al fine di supportare tutte le fasce deboli di popolazione.
L’ADR è uno strumento non realmente convertibile in denaro e da un punto di vista pratico esso rappresenta una buona strategia in termini di politiche attive: non c’è trasferimento di denaro liquido ai disoccupati (che ha più il sapore di sostegno al reddito che di politiche attive al lavoro), ma offre degli strumenti per riqualificarsi e reinserirsi nel mercato del lavoro.
Si tratta piuttosto di un voucher che può essere speso o presso i centri per l’impiego pubblici o presso soggetti privati accreditati come le agenzie per il lavoro con lo scopo di trovare lavoro appunto.
L’importo erogato varia dai 250 a 5 mila euro: più difficile é trovare lavoro più alto é il bonus a cui si ha diritto (profilo di occupabilità). Le difficoltà aumentano in base al profilo del lavoratore definito attraverso un sistema di profiling sostanzialmente uguale a quello del programma Garanzia Giovani e sulla base della Regione di residenza. Tale voucher verrà incassato dalle agenzie soltanto se queste ultime produrranno un reale risultato occupazionale (contratto a tempo determinato, indeterminato o di apprendistato).
Chi può farne effettivamente richiesta?
Possono fare richiesta di ADR tutti i percettori del reddito di cittadinanza che abbiano sottoscritto un patto per il lavoro al cui interno l’operatore del CPI assegna al beneficiario “l’AdRdC” in presenza delle seguenti condizioni:
1. presenza nella scheda anagrafica e professionale della politica RC;
2. assenza di politiche attive del lavoro in corso di svolgimento nella sezione 6 della SAP;
3. stato di disoccupazione.
ANPAL attribuisce e comunica, entro 5 giorni dall’assegnazione da parte dell’operatore del CPI, l’AdRdC al beneficiario sulla base dei dati contenuti nella scheda anagrafico-professionale.
Qualora il soggetto beneficiario abbia misure di politiche attive del lavoro in corso di svolgimento, l’operatore del CPI dovrà assegnare l’AdRdC entro 30 giorni dal termine della politica attiva, sempre che il beneficiario mantenga i requisiti di cui sopra.
In cosa consiste praticamente?
Il disoccupato che sceglie di essere seguito o da un centro per l’impiego o da un’agenzia privata accreditata ed iscritta al programma ADR RDC ha diritto a:
1. Un servizio di assistenza intensivo, strutturato e strategico alla ricerca del lavoro;
2. L’affiancamento di un tutor esperto nella ricerca di lavoro.
3. La possibilità di scegliere dei corsi di qualificazione e riqualificazione.
Il soggetto erogatore del servizio ha quindi l’onere di presentare offerte di lavoro “congrue” alle tue qualifiche, aspirazioni e alle condizioni del mercato del lavoro dell’area di riferimento.
E’ fondamentale però ricordare che l’ADR nasce con lo scopo di ridurre l’investimento nella spesa pubblica assistenzialistica, che di per se è estremamente elevata nel nostro Paese rispetto agli altri Stati membri della comunità europea, e garantire un re-inserimento al lavoro dei disoccupati prima che il loro periodo di permanenza al di fuori del mercato diventi superiore ai 12 mesi.
E’ dimostrato infatti che dopo i 12 mesi i jobseekers hanno più difficoltà a reintegrarsi nel mercato del lavoro, diventando cosi un problema anche di carattere sociale.
Per tale motivo l’ADR è stato pensato con un meccanismo sanzionatorio (finora mai reso operativo ma si spera le cose cambino) che prevede la decurtazione delle mensilità di RDC fino alla sua completa estinzione, nel caso si presentino le seguenti condizioni:
1. Rifiuto di sottoscrizione del patto per il lavoro;
2. Mancata partecipazione ai programmi di politica attiva;
3. Mancata presentazione alle iniziative di orientamento al lavoro;
4. Rifiuto di accettazione di offerte congrue ai fini del RDC;
5. Rifiuto di accettazione di offerte congrue in caso di rinnovo del RDC.
Insomma pare che ci siano tutti gli elementi affinché la misura questa volta possa garantire un adeguato funzionamento; nella prima versione l’ADR è fallito a causa di svariate motivazioni: poche risorse a disposizione; strutture non in grado di offrire un servizio adeguato; cittadini poco informati e di conseguenza poco interessati ad attivare il servizio.
Resta un ultimo nodo da sciogliere: la sua obbligatorietà.
A mio avviso la sua attivazione non deve rappresentare una scelta bensì un obbligo, un dovere da parte del cittadino che, per il tramite delle misure di sostegno al reddito (NASPI, RDC) deve garantirsi sostentamento e, tramite programmi personalizzati di politiche attive, deve partecipare alla vita produttiva del Paese che, a sua volta, deve offrire proattivamente un supporto strutturato a coloro che hanno perso il lavoro e ne stanno cercando uno nuovo.
Virgilio Pagliaro