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16 Gennaio 2025
Lavoro e Previdenza Primo Piano

Attività professionale e Vita Familiare

L’attuazione di misure a favore dell’equilibrio tra attività professionale e vita familiare non è solo una necessità per salvaguardare i diritti delle donne, bensì anche degli uomini e la parità di genere nel suo complesso. Sono di fondamentale importanza per l’economia, anche per combattere gli effetti negativi dell’invecchiamento della popolazione e della carenza di manodopera.

È indispensabile contemperare le esigenze della genitorialità con quelle dell’ingresso e/o della permanenza nel mondo del lavoro. “Diventare genitori negli ultimi 20 anni e in particolare oggi, in Italia, è una delle scelte più difficili e più impegnative che ci possano essere, perché le famiglie e le madri lavoratrici, in particolare, devono cavarsela da sole: mancano politiche, strutture e risorse di sostegno alla famiglia e alle donne nella conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, sottolinea Fabio Mosca Presidente di della Società Italiana di Neonatologia. “L’Italia è tra i paesi che fanno meno figli al mondo. L’indice di fecondità (numero di figli per donna in età fertile) è 1,34, siamo con la Spagna il fanalino di coda in Europa. Secondo le ultime previsioni Eurostat, sulla base dei trend attuali, nel 2050 nasceranno appena 375 mila bambini, il rischio è che la famiglia italiana sarà completamente ridefinita: tre quinti dei nostri bambini non avrà fratelli, cugini, zie e zii; solo genitori, nonni e bisnonni. Stiamo diventando un Paese con prevalenza della popolazione anziana. Di questo passo il welfare diventerà insostenibile”. Negli ultimi anni è andato aumentando un senso di disagio che contribuisce a lasciare le culle vuote: “Bisogna invertire questa tendenza, incentivando innanzitutto la natalità e per farlo occorre ricostruire un tessuto sociale e delle facilitazioni per le famiglie, che oggi in Italia non sono sufficienti. La questione non è solo economica ma anche culturale. Il problema vero è che l’Italia non è neonato (e bambino) – centrica, il figlio è visto come un vincolo, un limite alla libertà, all’autonomia e all’affermazione personale, il nuovo stile di vita è individuale, “child free”. Ma una società senza figli è una società senza futuro. Non basta ridare autonomia ai giovani e renderli indipendenti prima, togliendo incertezza e precarietà, creando prima le condizioni per favorire decisioni familiari riproduttive. Non basta migliorare le politiche per la conciliazione tra casa e lavoro, rendendo l’organizzazione più adatta alle madri lavoratrici e offrendo asili e servizi numericamente ed economicamente adeguati. … Occorre mettere in campo tutte le risorse disponibili, affinché gli italiani tornino a fare figli e le coppie decidano di formare una famiglia, sentendosi sostenute e fiere di essere genitori per mettere davvero il neonato al centro del futuro” aggiunge Mosca. Il miglioramento delle condizioni per conciliare impegni di lavoro e privati, ma anche della disparità di trattamento e di opportunità nel mercato del lavoro è la leva per il rafforzamento del ruolo degli uomini come prestatori di assistenza in ambito familiare, a vantaggio dei bambini. È ormai accertato che l’uso di meccanismi per conciliare attività professionale e vita familiare da parte dei padri ha dimostrato di incidere positivamente sulla riduzione della percentuale di lavoro domestico non retribuito svolto dalle donne e di lasciare a queste ultime più tempo per il lavoro retribuito. La disponibilità di infrastrutture di qualità, accessibili e a prezzi contenuti per la custodia dei bambini è un aspetto cruciale delle politiche a favore dell’equilibrio tra attività professionale e vita familiare e agevola la rapida ripresa dell’attività lavorativa da parte delle donne e una loro maggiore partecipazione al mercato del lavoro.

Tra privato e professionale le lavoratrici madri diventano ‘equilibriste’.
Secondo i dati del Rapporto “Le Equilibriste. La maternità in Italia 2022” di Save the Children in Italia il 42,6% delle madri tra i 25 e i 54 anni non è occupata e il 39,2% con 2 o più figli minori è in contratto part-time. Il lavoro femminile è sinonimo di precarietà.
Da quanto emerge dal nel 7° Rapporto di Save the Children ‘Le Equilibriste: la maternità in Italia 2022’, le stime provvisorie Istat segnando un nuovo record negativo delle nascite, che calano al di sotto della soglia delle 400 mila (399.431), in diminuzione dell’1,3% sul 2020 e di quasi il 31% rispetto al 2008, anno di massimo relativo più recente delle nascite (576.659). I dati diffusi da Save the Children confermano questo quadro critico: le donne italiane scelgono la maternità sempre più tardi (in Italia l’età media al parto delle donne raggiunge i 32,4 anni) e fanno sempre meno figli (1,25 il numero medio di figli per donna). Spesso devono rinunciare a lavorare a causa degli impegni familiari (il 42,6% delle donne con figli tra i 25 e i 54 anni, risulta non occupata), con un divario rispetto ai loro compagni di oltre 30 punti percentuali, oppure laddove il lavoro sia stato conservato, molte volte si tratta di un contratto part-time (per il 39,2% delle donne con 2 o più figli minorenni). Solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10 tra quelli attivati nel primo semestre 2021, è a favore delle donne. Nel solo 2020 sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari anche perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi, come gli asili nido. Lo studio delinea uno scenario in cui alle soglie dei 30 anni, gli uomini mostrano una traiettoria salariale ancora in crescita; quella femminile, per contro, si appiattisce. Essendo il più basso ben si comprende come il reddito della donna all’interno di una famiglia sia più facilmente sacrificabile, generando un circolo vizioso che favorisce l’esclusione femminile dal mercato del lavoro. “Una denatalità ormai inaccettabile e insostenibile per il nostro Paese, ulteriormente aggravata dalla pandemia”, come ha affermato la Ministra Elena Bonetti in un’audizione alla Camera dei Deputati del 9 marzo 2022. Secondo il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, l’occupazione femminile in Italia è penalizzata dalla difficile conciliazione tra i tempi di vita e quelli di lavoro e dall’elevato divario di genere in termini di lavoro domestico-familiare non retribuito. Gli effetti negativi della pandemia hanno reso ancor più estrema una situazione già poco equilibrata in partenza. Le donne sono “le ultime ad entrare, le prime ad uscire”; così il CNEL ha sintetizzato la condizione occupazionale delle donne nel mercato del lavoro italiano.
Le cause della child penalty gap sono da ricercarsi in una serie di fattori sociali che vanno dalla preferenza delle madri di dedicare più tempo alla famiglia che al lavoro, a stereotipi di genere che vedono le madri principali responsabili della cura della famiglia, a possibili discriminazioni sul lavoro legate alla maternità. Per sostenere la natalità occorre una presa di coscienza collettiva e il coinvolgimento sinergico di tutti i soggetti interessati: è improcrastinabile l’adozione di politiche che previlegino le donne, garantendo lavoro e stabilità, partendo dalla consapevolezza che le donne che oggi lavorano fanno più figli.
Il nostro Paese deve fare ancora molta strada sul fronte delle politiche a sostegno del lavoro femminile, in particolare delle donne con figli rilevato che il 42,6% delle mamme tra i 25 e i 54 anni risulta non occupata, con uno divario rispetto agli uomini di più di 30 punti percentuali. Il dato muta a seconda delle aree geografiche, arrivando a sfiorare il picco del 62,6% nel Mezzogiorno, seguito dal 35,8% al Centro e da un 29,8% al Nord. Inoltre, mentre il tasso di occupazione dei padri tende a crescere all’aumentare del numero di figli minorenni presenti nel nucleo, per contro, quello delle madri tende a diminuire. A fronte del 61% di madri con un figlio minorenne occupate (tre donne su 5), gli uomini nella stessa condizione che hanno un lavoro sono l’88,6%. Il divario aumenta quando, entrambi i generi hanno due o più figli minorenni (donne occupate 54,5% a fronte dell’89,1% degli uomini), con una differenza di 34,6 punti. Anche i dati sulle convalide delle dimissioni delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri di bambini/e di 0-3 parlano chiaro: su 42.377 casi nel 2020, il 77,4% riguarda donne. Le lavoratrici madri rappresentano il 77,2% (30.911) del complesso delle dimissioni volontarie, a fronte delle 9.110 dei padri e la motivazione principale è la difficoltà di conciliazione della vita professionale con le esigenze di cura dei figli. A conferma che, quando nei progetti di vita delle donne si fa strada l’idea di avere un figlio, spesso la loro carriera lavorativa si trova davanti ad un bivio. Questo perché le donne/future mamme vedono chiudersi molte porte e sono sfiduciate dalle poche opportunità che offre loro il mercato del lavoro in termini di autonomia, possibilità di affermazione professionale e di carriera, di aspirazioni. Ecco perché in siffatto contesto si arriva addirittura a rinunciare alla genitorialità: se la scelta di avere figli o meno è molto personale e dipende da numerose variabili, le condizioni di contesto, tra cui le politiche pubbliche e la disponibilità di servizi accessibili e di qualità, possono influenzarla considerevolmente. Le donne divenute madri, lo dimostrano i dati diffusi, patiscono un decremento del proprio reddito molto pronunciato nel breve periodo ma che si protrae anche a diversi anni di distanza dalla nascita del figlio. Con conseguenze di vario genere sia in tema di caduta del tasso di natalità che di crescita economica del nostro Paese perché se meno persone entrano ogni anno nel mercato del lavoro, c’è meno potenziale e meno capacità di produrre. Occorrono infrastrutture che consentano agli uomini e alle donne di affrontare la distribuzione ineguale del lavoro domestico. È fondamentale allora affrontare la sfida posta dai cambiamenti demografici per garantire l’effettiva messa in atto di politiche in materia di equilibrio tra attività professionale e vita familiare per il futuro dell’occupazione consentendo un aumento del numero di donne madri che accedono al mercato del lavoro o che mantengono un’occupazione. Oggi tante donne pagano ancora un tributo troppo alto per dover far fronte ad un carico di cura non retribuito ed una forte penalizzazione sul mercato del lavoro ove le iniziative ed i servizi non sono sufficienti per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. ‘Sacrificano’ il loro tempo libero o la loro carriera per dedicarsi alla famiglia: nelle nuove generazioni qualcosa sta migliorando, si riscontra un’inversione di tendenza con i carichi di cura che si riequilibrano all’interno della coppia. Ma tanto c’è ancora da fare.
Un nuovo welfare più attento ai figli e alla gravidanza, che prosegua negli anni, che dia un’iniezione di fiducia alle famiglie: le mamme hanno bisogno di adeguati economici e strutturali prima e dopo la nascita. La politica deve mettere al centro un articolato progetto di sostegno, mettendo a terra azioni urgenti ed effettive di sostegno alla genitorialità e alla maternità: le lavoratrici devono sentirsi concretamente supportate ad affrontare la nascita e la crescita dei figli. Il recente report della Commissione Europea (gennaio 2022) dedicato alla prima infanzia ‘Building a better understanding of the impact of Early Childhood Education and Care on medium- and long-term educational and labour market outcomes in Europe’ dimostra che “l’educazione nella prima infanzia può avere un effetto marcato sugli esiti della vita da adulti: migliori esiti scolastici, occupazionali, economici, miglior salute e benessere, maggior equità socio-economica, minor incidenza di devianza e dipendenza dai sussidi (…) Inoltre, la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia favorisce l’occupazione delle madri e questo, a sua volta, riduce il gap salariale di genere”. Devono essere migliorare le infrastrutture che le aiutino a entrare e rientrare nel mondo del lavoro, riequilibrando le responsabilità delle faccende domestiche, dell’assistenza all’infanzia e di altri lavori di cura non retribuiti. Ciò anche in termini di adeguamento degli orari scolastici e di lavoro, con programmi di reinserimento lavorativo delle donne che escono dal mondo del lavoro in seguito alla nascita dei figli, con l’introduzione di congedi ben pagati e diritto al ritorno al posto di lavoro per le donne che interrompono temporaneamente la carriera. Occorre estendere e aumentare la flessibilità dei servizi pubblici all’infanzia (maggiori asili nido) e la diffusione di strumenti di conciliazione e di bilanciamento bilanciano tra i sessi dei tempi di cura dei bambini; promuovere luoghi di lavoro child-friendly (nidi aziendali, spazi per l’allattamento…). Devono essere implementate le policy, creando pari opportunità e superando la prassi di promuovere gli uomini per il timore che assumendo una donna c’è il rischio che possa andare in maternità; cambiati i criteri di selezione, puntando sul merito e sulla messa in atto di agevolazioni per la maternità. Un’equa ripartizione del congedo tra donne e uomini consente di aumentare la presenza femminile nel mercato del lavoro così come la partecipazione degli uomini ai compiti familiari, inducendo ad assumere responsabilità di assistenza i padri con congedi di paternità che garantiscano un livello sufficientemente elevato di retribuzione. Una buona strategia aziendale non può trascurare la diversità ma deve costruire la giusta infrastruttura e creare la giusta cultura per una divisione paritaria del ‘lavoro non retribuito’. Affrontare i pregiudizi sottostanti che trattengono le donne aiuta, quindi, a superare le disuguaglianze e la mancanza di diversità che ostacolano una crescita economica sostenuta, l’innovazione e il progresso sociale.

Per far sì che le donne non debbano più scegliere tra la vita privata e il lavoro, tra essere mamma o dedicarsi alla carriera, bisogna emanare quanto prima i decreti attuativi del Family Act sul fronte dell’incentivazione dell’occupazione femminile e sulla conciliazione lavoro-famiglia. Le donne che vogliano fare carriera non devono essere discriminate o non devono guardare alla maternità come un sacrificio e non come un diritto.
Secondo il Rapporto 2022 ‘Le Equilibriste’ di Save The Children “le politiche e gli interventi per creare un ambiente più favorevole alle famiglie con bambini sono molte e coinvolgono molti settori dell’intervento pubblico, su vari livelli di governo; quindi, se non seguono una strategia organica possono rivelarsi inefficaci. Dal sostegno al reddito, alla protezione/prevenzione contro i rischi socio-sanitari, alle politiche fiscali, all’offerta di un’infrastruttura di servizi, alla qualità del sistema scolastico, alle misure di conciliazione, tutto influisce sul benessere del nucleo familiare e anche sul tasso di fertilità (…)”. Il 12 maggio è entrato in vigore il Family Act che “delinea un insieme di misure positive volte a sostenere la genitorialità e la funzione sociale ed educativa delle famiglie, contrastare la denatalità, valorizzare la crescita armoniosa e inclusiva dei bambini e dei giovani, sostenere l’indipendenza e l’autonomia finanziaria e favorire la conciliazione della vita familiare con il lavoro”. Le misure già operative sono l’assegno unico e universale, il sostegno alle spese per i percorsi educativi dei figli, la revisione dei congedi parentali con la conciliazione dei tempi di lavoro e di cura dei figli per entrambi i genitori. Per l’esercizio delle si va dal 12 maggio 2023 alla pari data del 2024. “Si auspica che vengano adottati in tempi brevi anche i decreti attuativi che queste misure necessitano, in particolare i decreti che riguardano il riordino della disciplina dei congedi parentali di paternità e di maternità e il riordino e il rafforzamento delle misure volte ad incentivare il lavoro femminile e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro (…) Si raccomanda altresì che venga ampliata e resa strutturale la riduzione dei contributi a carico delle lavoratrici dipendenti che rientrano dalla maternità. Occorrerebbe infatti introdurre uno sgravio contributivo totale, in favore del datore di lavoro e della lavoratrice, per i primi tempi di rientro dopo la maternità, così da aiutare le neomamme a permanere nel mercato del lavoro. Inoltre, al fine di garantire il riequilibrio nel carico di cura nelle coppie genitoriali è importante supportare un forte impegno a livello culturale, a partire da iniziative di sensibilizzazione culturale e di educazione rivolte a tutte le generazioni – dagli studenti fino a coloro che ricoprono ruoli di responsabilità – ad una visione più moderna e paritaria della condizione femminile e, all’interno di questa, della condizione materna. Cambiare la visione sociale del ruolo materno è ormai non più rinviabile, intraprendendo iniziative di sensibilizzazione culturale per ribaltare la prospettiva secondo cui la maternità è un ostacolo nel mondo del lavoro, e vederla invece come un’occasione di crescita sociale importante per tutti. Un reale cambiamento culturale permetterebbe a madri e bambini di esercitare realmente i propri diritti e usufruire di asili nido, sostegno genitoriale, servizi socio-sanitari adeguati e un ambiente favorevole alla crescita di bambini e bambine, così come positivo per i genitori e per il loro percorso professionale e di vita”. Secondo Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children, “la crisi da Covid-19 è stata un acceleratore di disuguaglianze sociali, economiche, educative. In Italia le donne, e le mamme in particolare, hanno pagato un prezzo altissimo. La recessione conseguente alla pandemia è stata giustamente definita una “shecession”, i dati ci dimostrano che è ancor di più una “momcession”. Anche la ripresa dell’occupazione del 2021 è connotata in larga parte dalla precarietà delle donne e delle mamme nel mondo del lavoro. Servono misure efficaci, organiche e ben mirate che consentano di bilanciare le esigenze dell’essere madri e quelle dell’accesso e della permanenza nel mondo del lavoro”. Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children ha sottolineato che “Gli SDGs dedicano l’obiettivo 5 alla parità di genere e il “traguardo” 5.4 dell’Agenda 2030 è focalizzato proprio sul tema della conciliazione e della condivisione. Per centrare questo traguardo, occorre incentivare il ruolo degli uomini nel lavoro di cura, anche introducendo un congedo di paternità obbligatorio significativamente più lungo dei dieci giorni previsti dalla legge di bilancio 2022 e dai provvedimenti collegati. Le riforme in atto, come il Family Act o la legge sulla parità salariale, sono passi avanti, ma occorre completare il quadro con investimenti consistenti: dal sostegno al reddito, alle politiche fiscali, all’offerta di un’infrastruttura di servizi, alla qualità del sistema scolastico, alle misure di conciliazione, tutto influisce sul benessere del nucleo familiare e anche sul tasso di fertilità che sta segnando picchi drammatici ormai in Italia (…) È necessario poi che i decreti attuativi del Family Act, scongiurino il rischio che tutto si risolva in misure transitorie o che non affrontano il problema in maniera strutturale senza il necessario rafforzamento dei servizi extrascolastici e di sostegno alla genitorialità”.

Paola Francesca Cavallero

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