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11 Ottobre 2024
Lavoro e Previdenza

Bella Italia, tra caporalato e sfruttamento

“Quando un uomo ti dice che è diventato ricco grazie al duro lavoro, chiedigli: Di chi?”
(Don Marquis).

LEGGE29 ottobre 2016, n. 199

Disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo (G.U. Serie Generale n.257 del 03/11/2016). ENTRATA IN VIGORE DEL PROVVEDIMENTO 04/11/2016

Caporalato, sistema di sfruttamento sul lavoro diffuso in alcuni parti d’Italia, soprattutto in aree prettamente agricole.

Il “Sistema Caporalato” si verifica quando un “caporale”, che viene considerato come il capo di un gruppo di lavoratori, organizza e gestisce il lavoro di lavoratori migranti e oggi anche italiani (spesso, no anzi sempre in modo illegale) in condizioni di sfruttamento e abuso. Braccianti senza alcuna distinzione di sesso, età e forse anche senza identità, (praticamente inesistenti sulla nostra Bell’Italia) soggetti sottoposti a condizioni di lavoro precarie, con orari interminabili, salario basso (o meglio al di sotto del minimo legale, si può addirittura dare anche 20 euro per un giorno intero se ti va veramente bene) ma la cosa più in quietante è quella di non avere alcuna protezione sociale e infortunistica, in casi estremi, (come quello accaduto a Caltanissetta di recente) costretti anche a comprare gli attrezzi da lavoro e i guanti di protezione.

Si, è vero coma qualcuno fa notare che, l’uso di macchinari agricoli sempre più avanzati migliorano l’efficienza dell’agricoltura, ma può anche portare o meglio ancora ci conduce allo sfruttamento del lavoro.

Nel sud Italia, addirittura, è diffusa la pratica della costituzione di “finte cooperative sociali” dove i lavoratori sono apparentemente soci della cooperativa, ma in realtà sono lavoratori somministrati, privi di alcun potere decisionale e, ovviamente, gestiti dai “caporali” interni alla cooperativa. L’obiettivo di queste Cooperative (o meglio presumo cooperative malavitose) è quello di ridurre notevolmente il costo della manodopera a danno dei braccianti agricoli, il quale è privo di tutti i diritti riconosciuti dalla contrattazione collettiva, con la conseguente elusione fiscale.

Rammento che il reato di caporalato viene scisso in due ipotesi:

  • un’ipotesi base che punisce chi “recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori”;
  • un’ipotesi aggravata caratterizzata dall’utilizzo di “violenza o minaccia”.

L’ipotesi base viene punita con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 100 euro per ogni lavoratore reclutato.

L’ipotesi aggravata dall’utilizzo di violenza o minaccia, invece, viene sanzionata con le medesime pene previste dalla previgente disciplina: reclusione da cinque a otto anni e multa da 1.000 a 2.000 euro per ogni lavoratore reclutato.

Un segnale che “l’impianto repressivo della L.199/2016” conosciuta come legge anticaporalato, funziona e può dare risultati. Ma a mio avviso la pars costruens solo debolmente tratteggiata da tale norma, quella che avrebbe dovuto intervenire sugli squilibri di tutta la filiera, per rilanciare l’agricoltura pulita, resta non solo insufficiente ma pure inattuata.

Certo l’azione delle forze dell’ordine è di vitale importanza e sta dando i suoi frutti, ma il Sindacato si domanda: quale azione va affiancata da azioni di prevenzione e di contrasto a questo indegno fenomeno organizzato e sistemico del continuo sfruttamento?

Certo applicando la L. 199/2016 e costituendo le declinazioni territoriali della “Rete del lavoro agricolo di qualità” presso le sedi territoriali dell’INPS, si potrebbero istituire i luoghi in cui la domanda e l’offerta si incrociano in modo chiaro e trasparente, con un ruolo attivo dei Centri per l’impiego regionali.

In linea generale, vi è l’esigenza di supportare quei meccanismi virtuosi e quelle sperimentazioni che sono state avviate in molti contesti. Pensiamo alle varie forme di accoglienza, formazione e promozione sociale realizzato da realtà laiche e religiose, dai sindacati e da altre organizzazioni di volontariato. Bisogna sostenere i percorsi di economia solidale che guardano a quella filiera come strumento per raggiungere obiettivi di giustizia sociale.

Il Sindacato SILPA, ogni giorno si impegna su tutto il territorio nazionale e in ogni Sede Istituzionale, a far campagna di sensibilizzazione con l’opinione pubblica su questa problematica, promuovendo politiche volte a contrastare il caporalato. Ciò include l’applicazione rigorosa delle leggi esistenti, la creazione di meccanismi di controllo e monitoraggio efficaci, ma soprattutto la promozione di accordi tra le parti interessate per garantire condizioni di lavoro e di vita dignitose.

Inoltre, è cruciale fornire supporto ai tutti i lavoratori coinvolti, offrendo (come facciamo sempre in tutti i nostri uffici presenti in tutto il territorio nazionale) loro protezione, accesso ai servizi sociali e opportunità per migliorare le loro condizioni di vita.

Riflettiamo, che ad ogni modo la lotta contro il caporalato richiede un impegno collettivo a tutti i livelli, includendo Governi, Organizzazioni internazionali, Imprese e Società civile, ma cosa fondamentale a mio avviso, è il rinforzo dei meccanismi di controllo e sanzioni molto più severe per i responsabili. E’ altrettanto importante promuovere la consapevolezza, l’educazione e la protezione dei braccianti agricoli, garantendo loro accesso a canali di denuncia e soprattutto supporto legale.

La lotta contro il caporalato richiede un impegno costante per garantire dignità a tutti i nostri lavoratori, creando un ambiente di lavoro equo, sicuro e rispettoso.

Nicola Alberghina

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