Nell’anno 2023, l’INPS festeggia il suo centoventicinquesimo anno di attività.
L’anno di nascita della Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e per la vecchiaia degli operai è, infatti, il 1898.
All’inizio era un’assicurazione volontaria a capitalizzazione (quello che oggi chiamiamo sistema contributivo) incoraggiata dallo Stato che concedeva un contributo agli operai. Nel 1919 venne istituita la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali (CNAS) con l’introduzione dell’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione e nel 1927 l’assicurazione contro la tubercolosi; nel 1933 la CNAS assunse la denominazione di Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale e, dal 1944, divenne definitivamente Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
È importante evidenziare la parola operai. L’INPS, infatti, nasce per gli operai e tutto il sistema è stato basato su questa figura. L’unità di misura della contribuzione è la settimana, il sabato nella contribuzione è fondamentale: settimanale era la retribuzione dell’operaio, sabato era il giorno di paga. Gli impiegati erano assoggettati all’assicurazione solo nel caso in cui la retribuzione mensile fosse inferiore a determinati limiti, 350 lire dal 2019, 800 lire dal 2022, 1.500 lire dal 1939 fino al 31 agosto 1950. Solo dal 1° settembre 1950 si può dire che tutti coloro che lavorano alle dipendenze altrui sono soggetti all’obbligo assicurativo.
L’INPS nasce per la tutela del lavoro dipendente, solo nel secondo dopoguerra le assicurazioni sociali sono state estese al lavoro autonomo (così definito in senso storico): nel 1957 ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni, nel 1959 agli artigiani e nel 1966 agli esercenti attività commerciali. La tutela previdenziale obbligatoria delle altre categorie di soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione sarà riconosciuta solo nel 1996 (cd “Casse professionali”).
Nel 1978 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale. Sono affidati all’INPS la riscossione dei contributi di malattia e il pagamento delle relative indennità.
Nel 1996, a seguito della liberalizzazione della contrattualistica del rapporto di lavoro, nasce la Gestione separata, con funzione di chiusura del sistema e “universalizzazione” della tutela previdenziale.
Nel 2011 vengono soppressi INPDAP (Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica) ed ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e di Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo) e viene disposto, al 31 marzo 2012, il trasferimento all’INPS di tutte le competenze dei due enti.
Nel 2022 viene affidata all’INPS la gestione della previdenza dei giornalisti dipendenti fino ad allora gestita in maniera sostitutiva dall’INPGI. E, con questo accorpamento, l’INPS diventa l’unico gestore della previdenza pubblica del lavoro dipendente.
Nella narrazione ho tralasciato le prestazioni assistenziali che sono aumentate in misura esponenziale nel corso degli anni (siamo passati dalla pensione/assegno sociale ad un mondo di provvidenze vieppiù aumentato con lo Stato sociale e il susseguirsi delle crisi mondiali). Non certamente una brutta cosa, tuttavia un minimo di chiarezza e separazione (vera) nei conti sarebbe gradita.
Gli iscritti inizialmente alla Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia furono 978, saliti a circa 660.000 nel 1919.
Nel 2021 sono stati un totale di 25.774.103 lavoratori, fra cui dipendenti privati 15.570.350, pubblici 3.452.380, lavoratori autonomi 3.834.653, iscritti alla Gestione separata 1.082.046, operai agricoli 898.326, domestici 877.220. Un bell’incremento.
Abbiamo attraversato un buon lungo periodo, la domanda è: durerà?
La sostenibilità del sistema previdenziale italiano, con particolare riferimento alle pensioni, non può prescindere dalla sostenibilità del sistema Italia, a sua volta condizionata:
- dal debito pubblico (a fine 2022, 2.775 miliardi di euro);
- dal rapporto attivi/pensionati (1,41 lavoratori attivi ogni pensionato, con il Nord a 1,6 e il Centro e Sud sotto 1,2). Un grazie a tutti i partiti;
- dall’uso “disinvolto” dell’età pensionabile. Si sono inventati di tutto e l’età media delle uscite anticipate è scesa a 61 anni e 8 mesi per i maschi e 61,3 per le femmine; per i prepensionamenti e le invalidità a 59,7 e 55,2 per i maschi e 58 e 54,2 per le femmine. Le pensioni anticipate erogate dall’INPS a tutto il 1° gennaio 2023 ammontano a 121,6 miliardi di euro (il 53% del totale di circa 231 miliardi per prestazioni pensionistiche);
- dal mantra dell’”importo basso delle pensioni” (se i redditi e le contribuzioni sono bassi e le carriere instabili, le pensioni possono essere alte?).
Della necessità della sostenibilità del sistema previdenziale non solo per ragioni sociali di equità ma anche economico-finanziarie se ne è accorto anche Macron in Francia. I nostri cuginetti non sembrano, però, gradire.
Antonio Chiaraluce