Non sempre il riscatto dei contributi dà i risultati attesi, a volte determinano un abbattimento della misura della rendita
La Corte costituzionale (sentenza n. 112/2024), nel decidere in materia di neutralizzazione della contribuzione nel calcolo della pensione, ha precisato i limiti del principio già riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e affermato un principio in materia di riscatti.
La possibilità di neutralizzare, ossia di non considerare, nel computo del trattamento pensionistico, i periodi contributivi che possano compromettere la misura della prestazione spettante è stato uno strumento del nostro sistema pensionistico a tutela del lavoratore. La neutralizzazione della contribuzione nel calcolo della pensione, era importante prima della riforma Dini, quando la misura della pensione era calcolata con il sistema retributivo, veniva cioè calcolata sulla retribuzione media dei tre migliori anni negli ultimi cinque (divenuti, poi, dieci) per evitare che, ove in tale ultimo periodo lavorativo, si fossero registrate retribuzioni inferiori rispetto a quelle precedenti e, comunque, non necessarie alla maturazione del diritto alla pensione, il risultato fosse pregiudizievole per il pensionando. In parole semplici: dopo il perfezionamento del requisito minimo contributivo, l’ulteriore contribuzione (obbligatoria, volontaria e figurativa) mentre valeva ad incrementare il livello di pensione già calcolato, non doveva comunque compromettere la misura della prestazione calcolata sulla base della sola contribuzione precedente. Nella giurisprudenza della Corte, “è stato applicato, nell’ambito del sistema di computo retributivo del trattamento pensionistico, alla contribuzione accreditata successivamente alla maturazione del diritto alla pensione e sempre con riferimento alla sola retribuzione pensionabile, normalmente percepita nell’ultimo arco temporale – più o meno ampio – antecedente alla data del pensionamento”. Oggi Il passaggio al calcolo contributivo (importo della pensione calcolato sull’intera contribuzione), ha, di fatto, neutralizzato la neutralizzazione.
Nel nostro caso, un lavoratore, successivamente al 1/1/1996, aveva riscattato 145 settimane allo scopo di incrementare l’anzianità contributiva anteriore alla data del 31 dicembre 1995, fino ai diciotto anni richiesti dalla legge n. 335/1995 per il computo della futura pensione con il sistema interamente retributivo nell’aspettativa di maturare una pensione più elevata (il sistema contributivo è penalizzante, è il mantra da sempre ripetuto) di quanto avrebbe conseguito con il sistema misto.
Al momento del pensionamento, la rendita, calcolata con le regole interamente retributive, ammontava a 9.221 euro lordi al mese in luogo di 11.428 euro se calcolata con il sistema misto, qualora non avesse optato per il riscatto della laurea (il contributivo non è necessariamente penalizzante e su retribuzioni alte è più favorevole, dico io).
Il pensionato, nel ricorso, ha sostenuto che il diritto a pensione era stato maturato a prescindere dal riscatto e, quindi, ininfluente e che il principio della neutralizzazione della contribuzione non sarebbe affatto limitato ad alcune particolari ipotesi ma si applicherebbe ogniqualvolta alcuni periodi contributivi non rilevanti ai fini del trattamento pensionistico abbiano l’effetto di compromettere il livello del trattamento pensionistico.
Nella sentenza la Corte specifica che la contribuzione da riscatto non è stata acquisita dopo il perfezionamento del requisito di accesso a pensione, ma in un periodo antecedente, sicché essa non ha determinato alcuna riduzione della prestazione già virtualmente maturata. La neutralizzazione sarebbe stata richiesta, pertanto, non per eliminare gli effetti nocivi derivanti dal calcolo dei contributi da riscatto, ma allo scopo di transitare a un sistema di calcolo della pensione diverso, secondo una valutazione ex post del lavoratore, risultata più conveniente rispetto a quella originaria, evidentemente errata. Secondo la Corte la richiesta è una sostanziale “pretesa di scelta del sistema di calcolo del trattamento pensionistico in base a una valutazione ex post”.
Per la Corte, inoltre, il riscatto è inquadrabile “come una sorta di negozio aleatorio” che “può anche non assecondare, per vicende successive, i concreti interessi del riscattante, senza che ciò assurga a vizio d’illegittimità costituzionale delle norme che quegli effetti prevedono” (l’unico effetto certo dell’operazione è quello di aumentare l’anzianità contributiva, non necessariamente la rendita).
Antonio Chiaraluce