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10 Ottobre 2024
Lavoro e Previdenza

Come conseguire una “pensione adeguata”

Nel numero precedente abbiamo visto che bisogna superare il concetto di “pensione pagata dallo Stato attraverso l’INPS” e smetterla di considerare la contribuzione previdenziale una delle tante “tasse” che gravano sul costo del lavoro che il soggetto è obbligato a pagare senza avere la percezione della loro utilità sociale.

Le pensioni di Stato sono assistenza e si finanziano con la fiscalità generale mentre il momento che stiamo vivendo ci dice che, se possibile, occorre investire risorse proprie nella posizione previdenziale.
Per farlo bene bisogna conoscere il terreno sul quale ci si muove. Qualunque sistema previdenziale per essere credibile deve assicurare a tutti i partecipanti la sostenibilità nel tempo. Chi sono i partecipanti? La “produzione” rappresentata dai datori di lavoro, dai lavoratori dipendenti e dai lavoratori autonomi, i quali finanziano il sistema e beneficiano delle prestazioni erogate dall’Ente previdenziale che ha riscosso le contribuzioni. È di tutta evidenza che la contribuzione pensionistica versata oggi, sarà utilizzata dal beneficiario dopo molti anni e con la speranza di ricevere la pensione per molti anni ancora.
Poiché l’interesse dei partecipanti al sistema è sul lunghissimo periodo, altro fattore importante è la certezza delle regole, che possono sì variare, ma solo per adeguarsi ai mutamenti del sistema Paese che deve fare i conti con l’andamento demografico, la globalizzazione, i tassi di crescita economica, i rischi socio-sanitari, la pressione fiscale e contributiva e non certo con variazioni ad ogni tornata elettorale, provvedimenti sperimentali limitatissimi nel tempo che poi vengono prorogati per anni con la conseguenza di creare le più varie discriminazioni (anagrafiche, sessuali, di settore economico …).

Dal 1992 è in atto la riforma del sistema previdenziale, basata sulle eccezioni e sulla ricerca del facile consenso, di cui non si vede la fine. Ancora si parla di scaloni, scalini, esodati, anticipi pensionistici, prepensionamenti, sopensioni … Ma non è ovvio che al termine di un periodo sperimentale che non vada a regime si crei una discriminazione? Ed allora ecco pronta l’eccezione!
Siamo alla nona salvaguardia dal 2012.
Il nostro sistema previdenziale, nonostante l’art. 1 c. 3 della legge n. 88/1989, di ristrutturazione dell’INPS e dell’INAIL, è articolato in due pilastri (previdenza integrativa e previdenza complementare sono diventati sinonimi), il sistema pubblico obbligatorio e la previdenza “complementare”, anziché in tre dei quali il primo, pubblico, per garantire il minimo esistenziale, il secondo, anch’esso pubblico ma in contabilità separata dal primo, per sostenere il tenore di vita abituale nella terza età, il terzo, privato e facoltativo, per completare il reddito dopo il pensionamento (rendita, capitale, rendita/capitale). In questo modo il sistema pubblico drena risorse che potrebbero essere indirizzate verso la previdenza integrativa e complementare (parti integranti di un sistema a capitalizzazione qual è ormai il nostro) per riversarle in un sistema che, a detta di tutti, confonde previdenza e assistenza (annoso problema mai risolto quello della separazione) anziché assicurare la corrispondenza fra contributi versati e prestazioni attese che è la ragione di vita di un sistema previdenziale. Con l’articolazione in due pilastri bisogna investire dei soldi che, oggi, si possono immettere o nella previdenza obbligatoria o nella previdenza complementare.

Se non si è aderito alla previdenza complementare l’onere può finire solo nel Fondo di previdenza obbligatoria a cui si è iscritti e, nel breve periodo, con l’obiettivo di raggiungere o anticipare il pensionamento e aumentare l’importo della pensione. Nel lungo periodo, non si ha più la disponibilità del capitale che è andato ad alimentare un sistema che già oggi pone seri dubbi sull’età di pensionamento e sull’adeguatezza delle future pensioni e non mette al riparo da prelievi estemporanei spesso a ragioni estranee alla previdenza (ridotta perequazione, contributi di solidarietà).

Se si è aderito alla previdenza complementare, versando la stessa somma, non si anticipa la data di pensionamento ma si incrementa la pensione e si ha la facoltà di richiedere, prima che siano maturati i requisiti di pensionamento l’anticipazione di parte della posizione individuale maturata per soddisfare specifiche esigenze (spese sanitarie, acquisto della prima casa …). È meglio l’Inps o il proprio Fondo o FIP?

Antonio Chiaraluce

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