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16 Gennaio 2025
Lavoro e Previdenza

Corte Costituzionale: confermato obbligo iscrizione Gestione separata INPS (nei casi in cui i professionisti non siano tenuti al versamento del contributo soggettivo alle Casse professionali)

L’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, infatti, discende dal principio di universalizzazione della copertura assicurativa, desumibile dagli articoli 35 e 38 della Costituzione, che obbliga lo Stato a prevedere che a ogni attività lavorativa, subordinata o autonoma, sia collegata un’effettiva tutela previdenziale.

Un principio astrattamente sacrosanto che realizza l’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria alle attività di lavoro autonomo rimaste escluse dai regimi pensionistici già operanti e, individuando i presupposti dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata attraverso il riferimento alle norme fiscali, ha consentito la progressiva realizzazione della vocazione universalistica del sistema previdenziale tutelando lavori altrimenti privi di protezione assicurativa.

Quale protezione? Un po’ di storia.

L’art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995 che ha istituito la Gestione separata presso l’INPS si è affiancato alla disciplina di due Decreti Legislativi.

Il D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, che ha individuato, a decorrere dal 1° gennaio 1995, i c.d. Enti di previdenza obbligatoria privatizzati, che potremmo definire “storici” (avvocati e procuratori legali, dottori commercialisti, geometri, ingegneri e architetti, notai, ragionieri e periti commerciali, consulenti del lavoro, medici, farmacisti, veterinari, giornalisti, …).

Il D.Lgs.10 febbraio 1996, n. 103, che ha esteso la tutela previdenziale obbligatoria ad altre categorie di soggetti che svolgono attività autonoma di libera professione e rappresenta la fonte di riferimento primario cui è seguito il riconoscimento dell’autonomia per numerose Casse previdenziali (biologi, infermieri, psicologi, periti industriali e il pluricategoriale dottori agronomi e dottori forestali, attuari, chimici fisici e geologi).

L’istituto introdotto con l’art. 2, c. 26, della legge n. 335/1995 ha, dunque, una funzione di chiusura del sistema e trova il suo fondamento nell’esigenza della “universalizzazione” della tutela previdenziale: una sorta di Gestione “residuale” per estendere la copertura assicurativa ai soggetti e alle attività non coperti da forme di assicurazione obbligatoria già realizzate o da realizzare nell’ambito della categoria professionale di riferimento.

All’inizio era la tutela pensionistica. Successivamente la tutela fu estesa alla maternità, agli assegni per il nucleo familiare alla degenza ospedaliera, alla malattia e, dal 1° luglio 2017 anche alla disoccupazione (DIS-COLL).

La contribuzione è dovuta nei limiti del massimale di cui all’art. 2, c. 18, della legge  n. 335/1995 (quello del regime contributivo, per intenderci) che, eliminando in radice la possibilità di pensioni d’importo troppo elevato, introduce un concetto che nel sistema previdenziale italiano non è ben accetto e, cioè, che le pensioni di base obbligatorie (primo pilastro) non totalizzano la previdenza obbligatoria che deve essere affiancata da altri due pilastri (pensione integrativa e pensione complementare).

C’è, tuttavia, un “ma”: proprio perché la Gestione ha chiuso un cerchio, ha unito due estremi, il più povero e il più ricco. L’iscrizione è basata sulla mera percezione di un reddito, e questo ha fatto sì che nell’anno di istituzione della Gestione ho incontrato l’estratto conto di una persona che in un unico versamento esaurì il massimale annuo di contribuzione (allora 136 milioni di lire). Negli anni successivi mi è capitato molte volte di vedere estratti conto di poche decine di euro e, comunque, d’importo tale che sicuramente non possiamo parlare di protezione sociale.

Nello stesso calderone sono finiti i grandi manager e i soggetti “deboli” rappresentati dai lavoratori dipendenti che le crisi hanno spinto sempre più in basso (contratto a tempo pieno e indeterminato, part-time, collaboratori, partite IVA) e coloro che, nonostante tutto, vorrebbero entrare nel mondo del lavoro e cercano di fare il percorso inverso.

Va, poi, sottolineato che la gestione è finanziata a capitalizzazione e costituisce parte integrante del bilancio dell’INPS che è solidaristico (i Fondi e le Gestioni in attivo soccorrono quelli deficitari) e le cui altre componenti sono in via di transizione dal sistema retributivo a quello contributivo. La Gestione separata, per ovvie ragioni “anagrafiche” è una Gestione in attivo (nel 2021, l’importo medio delle pensioni liquidate è stato di 303 euro) e, quindi, nel tempo è stata chiamata, per legge, a finanziare le Gestioni in passivo.

Il finanziamento a “capitalizzazione” non dovrebbe, per sua struttura, perseguire direttamente finalità redistributive, ma generare risorse finanziarie per attivare investimenti destinati ad alimentare i processi di produzione e sviluppo utili per il Paese e, conseguentemente, ottimizzare la redditività a vantaggio della stessa gestione interessata.

La Gestione, partita senza un carico pregresso da sanare, sarebbe stata potenzialmente in grado di condurre una gestione efficace ma prestare soldi a un debitore che già si sa sarà insolvente se nell’immediato “tampona” la situazione di dissesto, accresce tuttavia la dipendenza delle prestazioni dall’intervento dello Stato.

In parole povere le pensioni della Gestione separata sono già debito dello Stato.

Antonio Chiaraluce

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