Se in alcuni casi le donne riescono ad allontanarsi da relazioni violente e a denunciarle, in molti altri non fuggono da uomini violenti, non si proteggono, non leggono segnali preliminari che c’erano stati e spesso estremamente chiari. Le donne che non si ribellano e accettano la compagnia di uomini violenti sviluppano non di rado nei loro confronti relazioni di dipendenza: in contesti socio-economici degradati, modesti e poveri di opportunità non può negarsi che le donne hanno a disposizione minori strumenti per ‘liberarsi’ di uomini violenti. Una donna senza lavoro, senza una retribuzione, che si occupa della casa e della famiglia, vittima di sofferenze, umiliazioni e violenza, molto spesso ha minori opportunità e risorse per combattere, per considerare quella storia non una storia buona, che potenzialmente la sta mettendo a rischio e che, quindi, va contrastata e chiusa. Per arginare questo drammatico fenomeno, in tutte le sue molteplici “sfaccettature”, ed affrontarlo in modo efficace e adeguato è necessario favorire una cultura che esalti e rispetti la differenza di genere. Realizzare percorsi dedicati all’educazione all’affettività e sessualità, alla sensibilizzazione e cura della parità uomini-donne; potenziare i centri anti violenza e di ascolto, aumentandone le risorse statali di supporto. Le donne non devono sentirsi sole, ma accompagnate, e devono sapere di poter pensare al dopo: “allo Stato spetta non solo la prossimità ma anche la presa in carico”, ha dichiarato la ministra Bonetti. A fine 2021, tuttavia, non è pensabile né tantomeno tollerabile che le donne siano costrette a subire la violenza degli uomini (compagni, mariti, padri) senza ribellarsi, perché da loro economicamente dipendenti. Le donne che subiscono violenza devono sentirsi sostenute e protette dalle Istituzioni (le tre P della Convenzione di Istanbul: Prevenire, Proteggere, Perseguire), devono essere aiutate a sviluppare autonomia e crescita personale, a prendersi cura di sé e dei figli, a lavorare, ad accedere a strutture e risorse pubbliche. Hanno bisogno di supporto legale, psicologico ed economico per uscire situazioni di violenza (anche psicologica, meno visibile), maltrattamenti o condizioni di temporanea difficoltà.
Il lavoro e l’indipendenza economica, dunque, quali opportunità per ‘andarsene’ da un uomo violento e interrompere una relazione malsana.
Occorre aiutare le vittime a (ri)costruirsi un’indipendenza economica, orientandole verso il mondo del lavoro o supportandole in una vera e propria formazione. Sviluppare e favorire la conciliazione tra la famiglia ed il lavoro, la cura dei parenti più anziani con iniziative a sostegno dell’empowerment femminile: percorsi di formazione economica per le vittime per prevenire e contrastare la violenza economica e, nel contempo, favorire l’autonomia, l’integrazione economica delle donne maltrattate.
Alla violenza fisica, sessuale, psicologica si aggiunge anche quella economica che si traduce in atteggiamenti del partner di svalutazione e umiliazione della persona, in comportamenti di controllo, privazione, limitazione nell’accesso alle proprie disponibilità economiche o della famiglia, intimidazione. Parliamo di donne che sono state private via via di qualsiasi forma di autonomia e, a volte, costrette a lasciare la loro occupazione lavorativa. La vittima è costretta a scegliere tra famiglia e lavoro; è spinta ad abbandonare o non cercare l’autonomia finanziaria, a intestare la casa e gli altri beni al compagno o al marito, non ha accesso alle finanze familiari ed è tenuta sotto controllo e sfruttamento con il ricatto del denaro. E questa è una forma di violenza silente, trasversale, difficile da riconoscere, tant’è che le donne ne hanno ancora una scarsa conoscenza e consapevolezza. La dipendenza economica viene spesso usata dagli uomini per impedire alle figlie, compagne, mogli di interrompere queste relazioni “malate”. Occorre, dunque, un radicale cambio di passo che coinvolga e responsabilizzi tutti, i decisori politici, le Istituzioni, le associazioni, la comunità, ciascuno per la propria parte. Lo scopo è fermare il fenomeno della violenza partendo da una rivoluzione socio-culturale, il cui principio ispiratore cardine deve essere il rispetto per la persona da ogni punto di vista. Perché, citando Charlotte Bunch, “la violenza sessuale, razziale, di genere e altre forme di discriminazione e violenza in una cultura non possono essere eliminate senza cambiare cultura”.
“Garantire alle vittime di violenza l’emancipazione, l’inserimento sociale, l’indipendenza economica per essere autonome e libere, anche dalla paura”
Investire sulle donne e sulla loro forza e determinazione, sull’empowerment femminile come principale driver di prevenzione della violenza: aumentare la parità di genere in modo trasversale, fornire gli strumenti per conciliare carriera e vita famigliare, applicare la legge sulla parità. Il welfare invisibile, che non è in carico alle Istituzioni, grava quasi per intero sulle donne costituendo un freno all’accesso al mondo del lavoro: un gap che impatta sulla vita quotidiana, sulla salute, sul lavoro, sull’accesso alle attività economiche, all’istruzione, un divario assolutamente da colmare per aumentare la platea delle persone (uomini e donne) che possono accedere alle professioni. In questo senso è fondamentale il superamento del gender gap: valorizzare cioè il plusvalore della componente di genere nella dimensione economica (ai vertici delle Istituzioni, degli organi di informazione, delle diverse organizzazioni, delle aziende), affrontando le problematiche professionali, di carriera, salariali tra uomo e donna e la limitata presenza delle donne nelle posizioni apicali degli apparati pubblici e privati per promuovere la democrazia e lo stato di diritto.
Il principio è quello del gender mainstreaming. Le donne, portatrici di un indiscusso valore nella sfera privata come in quella professionale, devono essere messe nelle condizioni di avere le stesse opportunità di accesso al lavoro, di sviluppo, crescita e di successo in termini quantitativi ma anche qualitativi. Occorre mettere in campo tutti gli strumenti per offrire sostegno e riparo a donne maltrattate, sole, disagiate, favorendone l’autonomia e l’inserimento sociale con attività di accompagnamento e di sostegno alla ricerca del lavoro, alla valorizzazione delle capacità della persona. Coinvolgere le donne per dare loro la possibilità di (ri)mettersi in gioco acquisendo e/o rafforzando le proprie competenze, abilità, professionalità, sviluppando l’autostima. Insegnare l’autonomia (sul lavoro, fuori dal lavoro, a casa, nella società); promuovere il diritto allo studio, all’indipendenza economica, alla realizzazione professionale; incentivare e supportare l’imprenditoria femminile attraverso programmi di finanziamento e consulenza; introdurre policy sulla genitorialità, inclusive della madre e del padre; raccogliere fondi per sostenere a livello territoriale le progettualità di particolare rilievo. Per la ministra Bonetti la soluzione passa attraverso il potenziamento di “strumenti come il reddito di libertà e il microcredito di libertà. Un assegno per sostenere la vita della donna e dei suoi figli lontano da compagno violento, ma anche accesso facilitato al credito, coperto al 100% dallo Stato, per consentirle di intraprendere percorsi lavorativi autonomi”. Incentivare l’occupazione delle donne, quindi, con azioni premianti per le imprese che le assumono, sì da consentire alle donne di poter concretamente decidere, in piena libertà ed autonomia, del proprio futuro e di essere libere di allontanarsi da situazioni di violenza e maltrattamenti. E ciò muove dalla consapevolezza che alle vittime viene spesso (o è stato) negato il diritto di lavorare, di svolgere delle attività al di fuori delle mura domestiche, di gestire le sostanze della famiglia, di avere un proprio conto corrente, di fare acquisti. Le donne vengono estromesse dal compagno dalla gestione delle proprie entrate e sono costrette a vivere in una condizione di sudditanza psicologica per i continui ricatti. Educare poi le bambine e ragazze verso le competenze scientifiche e STEM – che sembrano essere ancora un tabù per l’universo femminile – già a partire dalle scuole elementari e medie, diffondendo la conoscenza delle tecnologie, dei settori produttivi e delle professioni scientifiche, valorizzando la multidisciplinarità. Creare i profili giusti e le specializzazioni con competenze tecnologiche e skills adeguate è interesse di tutti, perché non ci sono lavori per donne e lavori per uomini, ci sono solo opportunità che possono (anzi devono) essere colte. Creare una società diversa fondata sul rispetto dei diritti e sull’uguaglianza sostanziale tra le persone deve diventare un traguardo per ognuno di noi: è una sfida necessaria, decisiva, qualificante per la nostra società civile, rispettosa delle persone, delle differenze e libera dalla violenza. L’affermazione di un ruolo diverso delle donne e dell’uguaglianza dei diritti e opportunità passa dall’alleanza di tutti. Come ha dichiarato il Prefetto di Milano, dott. Renato Saccone, in occasione del convegno “La violenza contro le donne tra ieri e oggi. Spunti per un dibattito nazionale e sovranazionale” svoltosi presso l’Università degli Studi di Milano, “(…) se è una sfida alla nostra democrazia costituzionale, allora per contrastare la violenza di genere ci vuole un’alleanza di genere”.
Paola Francesca Cavallero