Si è riacceso in questi giorni il dibattito sulle sorti dell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani (INPGI). Il 30 giugno è, infatti, scaduto il secondo termine perentorio previsto dalla legge n. 178/2020 (il primo era quello previsto dal DL n. 34/2019) entro il quale l’INPGI avrebbe dovuto adottare le misure di riforma per la forte crisi (240 milioni di passivo nell’ultimo bilancio) della gestione sostitutiva dell’AGO (regime previdenziale dei giornalisti dipendenti).
Nel corso del tempo, oltre all’INPS, sono esistiti Enti, Fondi, Gestioni e Casse per la gestione della previdenza dei lavoratori dipendenti: le c.d. “forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’A.G.O.”, gestite dallo stesso INPS e da altri Enti. Ogni qualvolta uno di queste forme è arrivata al capolinea è confluita nell’INPS il quale, oggi, gestisce l’intero sistema pensionistico italiano del lavoro dipendente, ad eccezione, appunto, dei giornalisti.
Ora è la volta dell’unico altro ente rimasto a gestire la previdenza del lavoro dipendente, l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), al bilancio del quale le modifiche sui requisiti di accesso alla pensione, l’aumento delle aliquote contributive e l’introduzione del metodo contributivo di calcolo delle pensioni non hanno portato giovamento.
Le proposte messe in campo per la soluzione delle crisi dell’INPGI non differiscono da quelle adottate in passato. Nel nostro caso si sintetizzano in: ampliamento della platea degli iscritti (lavoratori, non giornalisti, che si occupano di comunicazione o del comparto editoriale) praticamente un ossimoro; aumento del prelievo contributivo, con le conseguenze ben note (aumento dell’evasione/elusione) o confluenza nell’INPS (che vedrebbe salire a 51 i bilancini che compongono il proprio bilancio), un privato che ha gestito la previdenza con regole proprie che chiede aiuto al sistema pubblico. Sì, perché l’INPGI è una Cassa di previdenza privatizzata. Un po’ particolare per la sua storia ma una Cassa di previdenza privata al pari di tutte quelle professionali (ingegneri, avvocati, geometri, ragionieri, ecc.) e una sua eventuale confluenza nell’INPS potrebbe rappresentare un precedente molto pericoloso.
Saranno sicuramente contenti i giornalisti in attività il cui contributo straordinario dell’1% contribuirà ad aumentare la futura pensione ed orgogliosi i soggetti che dovrebbero allargare la platea definiti “l’unica soluzione strutturale in grado di ripristinare l’equilibrio economico finanziario della gestione” i quali si troverebbero a finanziare, oggi, un soggetto già in difficoltà che dovrebbe, nel futuro, garantire loro una vecchiaia serena (adempimento costituzionale) e sarà contenta l’INPS che vedrà devolvere parte delle proprie entrate ad un soggetto privato (ho usato devolvere in senso proprio).
Una delle caratteristiche peculiari di un sistema previdenziale è l’equilibrio di bilancio per la sostenibilità nel tempo e noi siamo ancora a tappare i buchi di bilancio con le entrate correnti (con l’aggravante che i maggiori incassi di oggi saranno le pensioni di domani e più alto è il prelievo contributivo più alte saranno le pensioni). E da dove verranno i soldi per pagarle visto che le entrate servono a pagare i debiti e non a fare investimenti? Dalla fiscalità generale dal momento che, nel caso concreto, si prevede nel 2025 l’azzeramento del patrimonio dell’ente? Se nell’immediato si “tampona” la situazione di dissesto di un Cassa, dall’altro si accresce la dipendenza delle prestazioni dall’intervento dello Stato. Il sistema previdenziale, in particolare quello a capitalizzazione, non dovrebbe, per sua struttura, perseguire finalità redistributive quanto generare risorse finanziarie per attivare investimenti destinati ad alimentare i processi di produzione e sviluppo utili per il Paese e, conseguentemente, ottimizzare la redditività a vantaggio dello stesso sistema. Non lo dico io, lo scrisse nel 2008 la Corte dei Conti nella relazione annuale sul bilancio dell’INPS.
C’è una proposta o solo critiche? Per il singolo problema INPGI, non ho una proposta. Ho, però, un sogno: la riforma dell’intero sistema previdenziale per adeguarlo alle mutate condizioni socio-economiche mondiali. Sistema che, dal 1992, fra misure sperimentali, scaloni, scalini, non sembra trovare pace. Sono un convinto sostenitore del sistema previdenziale articolato nei tre pilastri, con l’INPS nel ruolo di Ente gestore della previdenza obbligatoria (art. 1, c. 3, della legge n. 88/1989, “Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro”): il primo pilastro obbligatorio (obbligo dello Stato nei confronti della società) costituito dall’INPS; il secondo pilastro obbligatorio (previdenza integrativa, quella che gli svizzeri chiamano previdenza professionale), che nel caso dei giornalisti, potrebbe anche essere costituito dall’INPGI, o meglio ancora dall’intero sistema delle Casse professionali per gestire le risorse dei professionisti mentre il terzo pilastro facoltativo (previdenza complementare), per colmare eventuali lacune previdenziali o aumentare la propria pensione, una scelta del lavoratore. Contrariamente a quanto si pensa comunemente, gli aggettivi integrativa e complementare non sono sinonimi.
Antonio Chiaraluce