27 Aprile 2025
La disparità tra competenze e opportunità lavorative
Costume e Società Lavoro e Previdenza

La disparità tra competenze e opportunità lavorative

La sovraqualificazione degli stranieri

Uno dei temi più dibattuti in ambito migratorio riguarda l’integrazione degli stranieri nei Paesi di accoglienza, un processo complesso e multidimensionale che rappresenta una sfida significativa per i vari Governi.

Nel rapporto Eurostat del 2020, l’integrazione è descritta attraverso quattro categorie principali: occupazione, istruzione, inclusione sociale e cittadinanza attiva.

In questo articolo, il focus sarà posto sulle condizioni lavorative degli immigrati, ritenute cruciali per il processo di integrazione.

L’Italia, come il resto d’Europa, sta affrontando una crisi demografica che sta causando una crescente carenza di manodopera e competenze in vari settori, con conseguenze negative per il mercato del lavoro.

Allo stesso tempo, crisi finanziarie, e conflitti economici e religiosi hanno spinto molte persone a cercare rifugio in Paesi più stabili.

Condizioni lavorative degli immigrati

I migranti, spesso costretti a partire in fretta, senza poter pianificare il loro percorso e con pochi beni, affrontano il viaggio con l’unico obiettivo di lavorare per sopravvivere.

Questo accade anche perché la società che li accoglie sembra concentrata solo sulla loro forza lavoro, sfruttandoli in occupazioni che gli autoctoni rifiutano, senza riconoscere il loro potenziale umano e professionale.

In questo contesto alienante, i migranti vengono deumanizzati, ridotti a semplici numeri e rappresentati dai media e dalla politica come una minaccia o un problema da risolvere.

Per questi motivi, gli stranieri non sono riconosciuti come parte integrante della nostra società, ma vengono considerati corpi estranei accusati di sottrarre lavoro agli autoctoni, ostacolando la loro integrazione attraverso la discriminazione nel mercato del lavoro.

Distribuzione % degli occupati per tipologia professionale e cittadinanza

Al 1° gennaio 2023, in Italia risultano 5.141.000 persone straniere regolarmente presenti.

Questi lavoratori hanno un tasso di occupazione leggermente superiore a quello degli italiani e rappresentano il 10,3% della forza lavoro nazionale.

Le mansioni che ricoprono rientrano nelle cosiddette “5P” (pesanti, pericolose, precarie, poco pagate e penalizzate socialmente).

Su 1.656.517 lavoratori extra-UE, il 32,4% svolge lavori manuali non qualificati, il 30,7% lavori manuali specializzati, il 30,3% è impiegato nei servizi, mentre il 6,7% rientra tra dirigenti e professionisti.

Questi dati contrastano nettamente con le occupazioni dei lavoratori nativi.

Distribuzione % degli occupati per tipologia professionale e cittadinanza. Anno 2022. fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali

Molti dei settori in cui i migranti sono maggiormente presenti, come la cura della persona, l’edilizia e l’agricoltura, sono anche quelli con il tasso più alto di irregolarità, dovuto alla diffusa presenza di lavoro nero.

Questo fenomeno non solo evade le normative fiscali, ma compromette anche i diritti dei lavoratori, limitando l’accesso a indennità di disoccupazione, malattia, infortunio, maternità e pensione.

Queste tipologie di occupazione hanno influenzato negativamente la percezione che le persone hanno dei migranti. Col tempo, si è radicata l’idea che essi siano destinati solo a lavori poco qualificati, uno stereotipo alimentato da pregiudizi razzisti e dalla superficialità con cui vengono interpretati i dati.

Un articolo del Corriere della Sera titola: “Migranti, in Italia il 67% è sovraqualificato: così si sprecano i talenti”. Il quotidiano sottolinea come in Italia ci siano poche opportunità per i lavoratori stranieri di esercitare professioni qualificate, come medici, ingegneri o insegnanti, nonostante il progressivo invecchiamento della popolazione richieda una maggiore inclusione di questi talenti nel mercato del lavoro qualificato.

Lavori non qualificati

Secondo i dati di Eurostat, il 67,1% dei lavoratori extracomunitari in Italia è impiegato in lavori non qualificati, una percentuale significativamente superiore alla media dell’UE, che si aggira attorno al 40%.

Limitandoci ai laureati in Italia, il 60,2% di coloro che hanno ottenuto il titolo in Paesi extra-UE è occupato in professioni a bassa o media qualificazione, rispetto al 42,5% degli immigrati comunitari e al 19,3% degli italiani.

Over – qualification rate in the EU, by citizenship, 2021 fonte: Eurostat
Over – qualification per gli occupati dai 20 ai 64 anni per cittadinanza, 2021 fonte: Fondazione Leone Moressa

Mancato riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero

Da una prima analisi emerge che una delle cause principali di questo dislivello tra le competenze possedute e il lavoro effettivamente svolto è il mancato riconoscimento dei titoli di studio acquisiti all’estero: circa l’80% dei titoli posseduti dagli stranieri non viene riconosciuto in Italia, e meno del 3% riesce ad ottenerlo.

Le motivazioni sono individuabili nella lunga e incerta procedura che dissuade molti laureati stranieri dall’avviare le pratiche.

Sebbene il mismatch tra competenze e occupazione riguardi anche gli italiani, per gli stranieri è più marcato, poiché la necessità di mantenere attivo il permesso di soggiorno li spinge ad accettare lavori non qualificati per non perdere la continuità lavorativa.

Secondo una ricerca della Direzione Studi e Ricerche di ANPAL Servizi, il 19,2% degli immigrati ritiene di svolgere un lavoro non adeguato alle proprie competenze, rispetto al 9,8% degli italiani.

Analizzando più da vicino le sfide affrontate dagli stranieri non occupati in Italia, emergono chiaramente le principali difficoltà legate all’inserimento lavorativo.

Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il mancato riconoscimento dei titoli di studio non è l’ostacolo principale. Infatti, il 30,9% dei lavoratori non comunitari segnala la scarsa padronanza della lingua italiana come principale impedimento, mentre solo il 7,3% cita il mancato riconoscimento del titolo di studio.

Competenza linguistica: determinante nell’integrazione lavorativa

A conferma di ciò, uno studio congiunto dell’Università di Roma La Sapienza e della Michigan State University ha analizzato l’immigrazione filippina in Italia e in Canada, evidenziando come la competenza linguistica sia determinante nell’integrazione lavorativa.

In Canada, molte immigrate filippine, inizialmente impiegate nel lavoro domestico, riescono a superare questa segregazione grazie alla padronanza della lingua inglese, fondamentale per l’ottenimento del visto e per l’accesso a migliori opportunità professionali. Inoltre, l’accesso più agevole alla cittadinanza favorisce una forte integrazione sociale.

In Italia, invece, le immigrate filippine non sono tenute a dimostrare competenza linguistica all’arrivo, il che comporta frequentemente difficoltà comunicative e limita le opportunità lavorative.

Le complesse procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana contribuiscono inoltre a mantenere molte di loro all’interno del lavoro domestico per lunghi periodi.

Questo scenario spinge molte a considerare il ritorno in patria, mentre in Canada tendono a stabilizzarsi con maggiore facilità.

Deficit di competenze

Quindi, sebbene in Italia esista un reale problema di deficit di competenze, i migranti che potrebbero contribuire a colmare, almeno in parte, questo gap rimangono confinati in settori a bassa qualificazione, lontani dalle loro reali potenzialità professionali.

Senza contare che i bassi salari e le poche opportunità lavorative offerte agli stranieri alimentano un tipo di immigrazione che, rispetto al resto d’Europa, presenta titoli e qualifiche inferiori, ponendo un serio freno al nostro stesso sviluppo.

Le strade da percorrere per un cambiamento significativo sono molteplici: semplificare e velocizzare il riconoscimento dei titoli di studio stranieri, promuovere corsi di lingua italiana agevolati, o anche seguire l’esempio di Paesi più virtuosi in questo campo, come il già citato Canada.

Fabio Spagnesi

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