Il doppio fardello degli immigrati in Italia
La sovraqualificazione che colpisce molti lavoratori stranieri in Italia, già affrontata nell’articolo precedente, contribuisce all’aumento dei cosiddetti working poor: persone occupate ma con salari così bassi da non superare la soglia di povertà.
Dopo la pandemia, sebbene l’occupazione degli stranieri sia cresciuta, è aumentata anche l’incidenza della povertà tra le famiglie composte esclusivamente da stranieri, passata dal 33,2% nel 2022 al 35,6% nel 2023.
Indicatori di povertà assoluta
Anche nelle famiglie miste la situazione è peggiorata, con un tasso di povertà salito dal 28,9% al 30,8% nello stesso periodo. Al contrario, per le famiglie composte solo da italiani, il tasso di povertà è rimasto stabile al 6,4% nel 2023.

Retribuzione media annua lorda
L’analisi delle retribuzioni per l’anno di imposta 2021 evidenzia una marcata disparità tra lavoratori italiani e stranieri.
La retribuzione media lorda annua di un lavoratore italiano è di 23.350 euro, mentre quella di un lavoratore straniero si ferma a 15.410 euro.
Le disparità sono ancora più accentuate sul piano di genere: le donne straniere guadagnano in media 12.030,96 euro all’anno, mentre gli uomini stranieri percepiscono 17.745,31 euro, una differenza significativa che incide direttamente sul bilancio familiare dei migranti.
A livello europeo, i dati Eurostat mostrano come l’Italia sia in una posizione particolarmente critica: mentre in Europa il 26% della popolazione extracomunitaria vive in condizioni di povertà, in Italia la percentuale sale al 31,2%.

Tasso di disoccupazione
Le disparità economiche si riflettono anche nei tassi di disoccupazione. Sebbene gli stranieri abbiano, in media, un tasso di occupazione più alto rispetto agli italiani, il loro tasso di disoccupazione resta superiore: 11,9% per i cittadini UE e 12% per i non UE, contro il 7,8% degli italiani.
Oltre alla nazionalità, anche il genere incide significativamente su queste differenze.
Le donne straniere affrontano una doppia sfida nel mercato del lavoro: oltre alla condizione di immigrate, subiscono un forte divario di genere. In alcune comunità extracomunitarie, i tassi di inattività femminile raggiungono l’80%, mentre tra le donne di origine egiziana, bengalese e pakistana arrivano persino al 90%.
Questi dati evidenziano le barriere strutturali che le donne immigrate devono superare per entrare e rimanere nel mercato del lavoro italiano, sottolineando l’urgenza di politiche mirate per favorire la loro integrazione e ridurre il divario occupazionale di genere.

Forme di discriminazione sul lavoro
Le differenze nei tassi di occupazione e disoccupazione dipendono anche dalle caratteristiche specifiche di ciascun gruppo nazionale, come età, genere e motivazioni migratorie, che influenzano significativamente la partecipazione al mercato del lavoro in Italia.
Alcune comunità, come quelle filippina, peruviana e cinese, registrano tassi di occupazione superiori al 60%, con le donne peruviane che raggiungono persino il 72,7%.
Inoltre, in questi gruppi le differenze di genere sono meno marcate e i tassi di disoccupazione restano bassi.
L’aumento della povertà tra le famiglie straniere è strettamente legato alle difficoltà e alla discriminazione che le donne immigrate incontrano nell’accesso al mercato del lavoro, una condizione che si è ulteriormente aggravata nel periodo post-pandemico.
Mentre le donne italiane e gli uomini stranieri hanno recuperato i livelli occupazionali del 2019, le donne straniere registrano ancora un deficit di 51.000 posti di lavoro rispetto al periodo pre-pandemia.
Tuttavia, questa discriminazione sul lavoro non riguarda solo le donne immigrate, ma anche gli uomini stranieri e, in parte, gli stessi italiani, seppure con motivazioni diverse.
Nel 2021, circa 835.000 lavoratori in Italia hanno dichiarato di aver subito discriminazioni: 722.000 erano italiani, 74.000 cittadini UE e 40.000 extracomunitari.
Percentualmente, il tasso di discriminazione più alto è stato segnalato dai cittadini UE (5,4%), seguiti dai non comunitari (4,8%) e dagli italiani (3,6%).

Discriminazione di genere
I dati mostrano come le forme di discriminazione sul lavoro varino notevolmente tra italiani e stranieri in Italia. Mentre l’11% degli italiani segnala discriminazione legata all’età, questa percentuale scende al 3,7% tra gli stranieri UE e all’1,3% tra i non UE, suggerendo che l’età rappresenti un ostacolo maggiore per i lavoratori italiani rispetto agli immigrati.
Anche la discriminazione di genere è più diffusa tra gli italiani: il 33,9% dichiara di averne fatto esperienza, contro il 3,3% degli stranieri comunitari e il 3,8% dei non comunitari.
Tuttavia, queste basse percentuali tra gli stranieri potrebbero derivare dal fatto che altre forme di discriminazione, come quelle legate all’origine straniera o alle convinzioni religiose, siano molto più diffuse. Infatti, la stragrande maggioranza degli stranieri non UE (91,2%) e UE (87%) ha riferito episodi di discriminazione legati alla propria origine o religione, mentre tra gli italiani questa percentuale si ferma al 5,6%.

Disincentivare l’immigrazione
I dati analizzati mostrano come le fasce più vulnerabili della società stiano rimanendo sempre più indietro.
La povertà tra gli immigrati è in aumento, così come il rischio di esclusione economica e sociale.
Di conseguenza, alle tradizionali disuguaglianze nei livelli di benessere si è aggiunto in Italia anche un fattore di natura etnica, evidenziando le difficoltà e i limiti dei processi di integrazione.
Come già evidenziato in altri articoli, queste dinamiche sembrano riflettere una precisa scelta politica volta a disincentivare l’immigrazione. Emblematico è il caso del reddito di cittadinanza: nel dicembre 2023, ultimo mese di erogazione del sussidio, solo 59.000 percettori non erano italiani, pari al 9,8% del totale. Eppure, secondo l’ISTAT, le famiglie straniere in condizioni di povertà erano 331.000, ovvero il 44,3% del totale.
Questo divario è il risultato di precise restrizioni imposte dallo Stato per l’accesso al beneficio, come l’obbligo di almeno 10 anni di residenza e le limitazioni per le famiglie più numerose, che ha colpito in particolare i nuclei familiari stranieri.
Questa strategia di disincentivare l’immigrazione, tuttavia, si scontra con gli stessi interessi del Paese.
Con un calo demografico sempre più accentuato, solo una forte immigrazione potrà contribuire a contrastare il declino della popolazione e sostenere il sistema economico e sociale italiano.
Fabio Spagnesi