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7 Ottobre 2024
Lavoro e Previdenza

Non dovrebbe essere il contrario? Le pensioni anticipate non dovrebbero essere le eccezioni rispetto a quelle di vecchiaia che dovrebbero essere la regola?

Riflessioni in ordine sparso

Limitandoci al Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti, cioè ai dipendenti privati:

INPS – Monitoraggio flussi di pensionamento anno 2021
Tipo Gestione Categoria Numero pensioni Importo medio € Età media
FPLD Vecchiaia 86.328 952,37 67,2
FPLD Anticipata 127.581 1.951,19 61,3
INPS – Monitoraggio flussi di pensionamento primi 3 trimestri 2022
Tipo Gestione Categoria Numero pensioni Importo medio € Età media
FPLD Vecchiaia 61.175 1.009,38 67,2
FPLD Anticipata 90.152 1.957,57 61,1

 

L’età effettiva di pensionamento è, forse, molto più bassa dell’età legale? Al lettore la risposta.

Leggo sul “Sole 24 Ore” del 9 novembre: “Anche per questo il neoministro del Lavoro Marina Calderone sta vagliando con molta attenzione l’introduzione di quota 41 (anni di contributi) per superare la sperimentazione vigente – magari solo rivista – ed evitare il ritorno ai requisiti della Fornero, che com’è noto prevede il pensionamento ai 67 anni di età.” Confusione ripetuta il 15 novembre 2022. Quando andavo a scuola l’insegnante d’italiano avrebbe detto: “hai mescolato le pere con le mele” (traduzione: che c’entra la pensione anticipata con la pensione di vecchiaia?)”.

Mi ripeto: a chi può interessare quota “X”? Quando i problemi sono l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro, la continuità del rapporto di lavoro, la tutela fra un contratto e l’altro, l’“Inverno demografico”, le “culle vuote”, il tuo problema è quota “X”? Non vedo molti dei nostri giovani interessati a quota 41 o simili.

Siamo sicuri che la gente sia così ansiosa di andare in pensione anticipata con la pensione ridotta, soprattutto in questo periodo così difficile? Quota 100 è andata in archivio lo scorso anno con una quota di uscite largamente inferiore alle attese, quota 102 solo settemila uscite nei primi sei mesi del 2022. È giustificato il dispendio di risorse pubbliche per togliere dal lavoro chi un lavoro lo ha (e non mi venite a dire che vengono sostituiti) per sfornare nuovi pensionati poveri (perché questo dicono i dati: 1.000 euro al mese)?

Altrimenti torniamo alla riforma Fornero! Ribadisco per la centesima volta che non capisco perché si chiami legge Fornero visto che è un decreto legge (n. 201/2011) convertito in legge dai due Rami del Parlamento dei quali non mi sembra che Fornero facesse parte), che il metodo contributivo fu introdotto dalla legge n. 335/1995 (se le vogliamo dare un nome: Dini) e l’adeguamento all’aspettativa di vita dalla legge n. 102/2009 (se vogliamo dare un nome anche a questa: Sacconi). Guardate bene gli anni e i nomi. Anzi, a pensarci bene, la c.d. Riforma Fornero ridusse l’età di pensionamento di vecchiaia per gli autonomi (maschi e femmine) da 66 anni e 6 mesi a 66 anni. Se poi vogliamo esagerare, fece quell’atto che nel 1995 non si ebbe il coraggio di fare e, cioè, scrivere: dal 1° gennaio 1996, con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere da tale data, la quota di pensione corrispondente a tali anzianità è calcolata secondo il sistema contributivo, come fu scritto nel 2011 con riferimento dal 1° gennaio 2012. Sorpresi?

Per tornare ai giorni nostri, ricordo il testo dell’art. 24, del DL n. 201/2011: “pensione di vecchiaia: 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018; pensione anticipata: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne a decorrere dal 1° gennaio 2019.”

Ricordo anche gli interventi (“salvaguardie”) per supportare gli “esodati”, l’abolizione delle “penalizzazioni” (unico accenno codificato di flessibilità in uscita), i prepensionamenti di lavoratori in aziende in stato di crisi, quota 100, poi quota 102 …, quante deroghe in questi dieci anni! Ho letto, non mi ricordo più dove, una frase che mi ha colpito: “Requisiti vaporizzati, come ora appare evidente, poco dopo la loro entrata in vigore.” Per tacer poi delle promesse elettorali più fantasiose. Tutto a carico “nostro”. Mi chiedo, visti i costi delle “riforme elettorali”, siamo proprio sicuri che chi non percepisce un importo di pensione adeguato ai contributi versati siano i vecchi pensionati del metodo retributivo?

Il sistema previdenziale, poi, non è un mondo a sé stante, viene “nutrito dallaproduzione” (tradotto contribuzione dei datori di lavoro e lavoratori). Nel pensionamento anticipato si scarica l’inefficienza del mercato del lavoro (in tutte le sue componenti: lavoratori, datori di lavoro, politiche attive, anche l’informazione), mentre la politica lo usa a fini elettorali (come se non ci fosse un domani). Leggo su “La Stampa” del 8 novembre sulla Relazione sull’evasione fiscale e contributiva allegata alla Nadef e pubblicata il 5 novembre dal ministero dell’Economia: “Il tax gap, cioè la distanza fra il gettito potenziale e quello reale, è salita nel 2020 al massimo storico del 68,7% fra i lavoratori autonomi e le imprese, e ha sottratto alle casse dello Stato 27,65 miliardi di euro. Risultati scoraggianti anche se si guardano i soli lavoratori dipendenti: sul lavoro nero (ma i dati sono fermi al 2019) l’imposta sfuggita al fisco sale, anche se di poco, a 4,6 miliardi dai 4,4 dell’anno precedente.” Dicono che il futuro è nel “risparmio previdenziale”. Qualcuno pensa che tra fisco e previdenza non c’è nessuna relazione?

Antonio Chiaraluce

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