I rapidi cambiamenti della nostra società conducono necessariamente e con grande rapidità alla costruzione di nuovi profili professionali, non inquadrati nei CCNL maggiormente rappresentativi che vengono utilizzati dalla gran parte delle aziende. Per affrontare questo problema dobbiamo, innanzitutto, chiederci cosa deve intendersi per figura professionale.
È necessario sapere che la “Figura professionale” non è sinonimo di “Professionista” e, quindi, non deve essere necessariamente essere associata alla figura di “Lavoratore autonomo”. In ambito manageriale, tale figura, è assimilabile a un lavoratore che ricopre una certa mansione, cioè una risorsa capace di svolgere una ben definita attività (o gruppo di attività). Deve possedere un insieme di competenze, hard e soft skills, necessarie a svolgere l’attività richiesta (Profilo professionale), può essere ricoperta sia da un libero professionista che da un lavoratore dipendente e, in alcuni casi, addirittura da una azienda (comunque composta da persone).
Ciascuna figura professionale viene definita in base alle competenze che possono essere suddivise in tre sottogruppi, ovvero: conoscenze (acquisite con titoli di studio ma anche in ambiti informali); abilità (la capacità di fare qualcosa di pratico e che deriva dalle esperienze acquisite “on job”); capacità personali (cultura, carattere, lingue straniere, ecc). A queste vanno aggiunti i requisiti di aggiornamento rappresentati da procedure, corsi formativi e quant’altro, attraverso i quali il lavoratore acquisisce le nuove competenze necessarie a rispondere ai bisogni che emergono nel proprio ambito di lavoro. Quindi, la definizione di uno specifico profilo professionale, permette di fornire un punto di riferimento e di incontro tra chi è in grado di offrire certe competenze e chi ne è in cerca.
Dal punto di vista del datore di lavoro, sapere che la risorsa che si ricerca per ricoprire una specifica necessità, risponde a un ben definito profilo professionale, garantisce che abbia le necessarie capacità per portare a termine il lavoro di cui si dovrà occupare.
Per il lavoratore, sia esso libero professionista o dipendente, poter essere assimilato ad una specifica figura professionale, permette di far riconoscere le proprie competenze e lo aiuta a comunicare all’esterno cosa è in grado di fare.
La definizione di una figura professionale, con particolare riguardo alle nuove figure professionali, porta con sé la necessità (sia in qualità di dipendenti sia che operino come liberi professionisti) che vengano chiariti anche ulteriori parametri, definizioni e concetti, attraverso i quali si possa concretizzare il loro lavoro.
Prendendo ad esempio la figura del DPO: per poter delimitare l’intero quadro operativo e i necessari parametri che definiscono l’ambito lavorativo di questa nuova figura professionale, è opportuno partire dall’analisi delle attività che tale risorsa deve svolgere a tutela dell’azienda e del datore di lavoro. Il responsabile della protezione dei dati (DPO) si occupa di verificare come i dati dei soggetti che vengono in contatto con l’azienda, devono essere trattati affinché l’impresa e quindi il datore di lavoro, possano operare nell’alveo normativo, ovvero secondo quanto previsto dalla legge sulla privacy (D. Lgs 196/2003) e dal Regolamento Europeo in materia di protezione dei dati (2016/679).
È necessario, a tal fine, che la risorsa possa interagire con ogni reparto aziendale verificando le procedure utilizzate per il trattamento dei dati, ed eventualmente, deve intervenire modificando tutto ciò che si rende necessario affinché ogni procedura sia conforme al dettato normativo. Ciò presuppone che, affinché possa apportare eventuali modifiche ai processi aziendali, il DPO abbia una grande preparazione di base che tocca molteplici aspetti, che spaziano dagli aspetti legali, alla conoscenza dei processi aziendali, ai sistemi informatici, alle funzioni del personale. Queste prerogative definiscono un profilo molto trasversale e di elevata competenza rispetto ad altri, contrattualmente e funzionalmente già ben individuati. Il DPO, per poter operare, deve godere del pieno supporto e della massima fiducia del board e degli Organismi di governo aziendali e, al contempo, deve lavorare con profonda autonomia rispetto alle componenti aziendali per le quali è tenuto ad operare. Analizzando poi gli aspetti legati all’inquadramento contrattuale, è possibile affermare che questa figura, non ha una propria collocazione e non è neanche assimilabile ad altre già presenti in alcun CCNL. Se questa funzione è poi operata da un professionista esterno all’azienda, per le responsabilità che comporta, le tutele professionali calano notevolmente. Facendo riferimento al rischio professionale, anche le polizze esistenti non contemplano tale figura e, difficilmente, si attagliano alle responsabilità ed ai conseguenti rischi, peraltro anche di carattere penale, nelle quali il professionista potrebbe, suo malgrado, incappare. Diversamente da altre categorie, per le quali le compagnie assicurative hanno previsto apposite polizze, per questa particolare tipologia di professionisti e per i rischi che corrono, non sono ancora state previste polizze ad hoc.
Come per qualsiasi altro settore privo di un proprio albo professionale che definisca parametri di professionalità ed economici, risulta difficile orientarsi tra un vero professionista ed uno improvvisato e destreggiarsi in base a criteri di economicità, senza alcun parametro definito, risulta spesso essere controproducente.
Da questa brevissima analisi delle attività svolte da una nuova figura professionale ed in particolare dal DPO, è facile comprendere quanto sia necessario che ogni figura professionale, a tutela del proprio lavoro e delle aziende per le quali opera, debba far capo ad un proprio albo di riferimento ed a precisi inquadramenti normativamente previsti all’interno dei CCNL e debba poter accedere alle tutele professionali già previste per altri ordini.
Fabio Schirosi