La questione più importante del mercato del lavoro attualmente è legata al cosiddetto mismatch, definito come la mancata corrispondenza tra le competenze – tecniche, umane e sociali – acquisite dalle persone, specie dai giovani ancora in cerca di occupazione, e quelle richieste in ambito lavorativo dalle aziende. Si tratta di una vera e propria piaga economica e sociale che in base a recenti stime nel 2030 coinvolgerà 1,4 miliardi di persone a livello globale.
Accanto al mismatch si sovrappone un altro fenomeno iniziato alla fine del 2020 negli USA e poi approdato in Europa e in altri paesi OCDE che va sotto il nome di Big quit o Great resignation – in Italia le Grandi Dimissioni. Si tratta di un’ondata senza precedenti di lavoratori dimissionari: nei 6 mesi finali del 2021 circa 25 milioni di persone si sono dimesse dal lavoro negli USA. In Italia nel 2022 il Ministero del Lavoro ha contato circa 2 milioni di abbandoni volontari da parte di lavoratori dipendenti, il 33% in più rispetto agli anni precedenti. In questo quadro, sono le donne che stanno pagando il prezzo più alto, con maggiori tassi di uscita dal mercato del lavoro e decisamente minori re-ingressi. Al fenomeno delle grandi dimissioni si sta inserendo anche un nuovo fenomeno, il job hopping, letteralmente “saltare da un lavoro a un altro”, un fenomeno più diffuso tra i Millennials che lo utilizzano per assicurarsi stipendi più alti e un posto di lavoro che permette una migliore gestione del tempo.
Ma allora, il mismatch non è solo una questione di inadeguatezza nella formazione delle competenze. I numeri così alti probabilmente nascondono anche altro.
Alcuni studiosi in questi ultimi anni hanno cercato di capire di più sulle ragioni che sono dietro queste nuove ondate di fenomeni che interessano il mercato del lavoro e tra i fattori più ricorrenti vengono citati i seguenti.
- Il tempo
Sembra che oggi le persone, donne e uomini indifferentemente, siano meno propensi a sacrificare il proprio tempo. Spesso scappano da condizioni di lavoro definite insostenibili in cui l’attività professionale invade totalmente quella privata. Ci si dimette per riappropriarsi di una maggiore autonomia nella gestione del tempo, privilegiando lavori che consentono di svolgere l’attività a distanza. Alcuni sono arrivati a sostenere che il “sacrificio” non sia più un valore che appartiene all’etica del lavoro. Non si è più disposti a sacrificare il proprio tempo per attività che prendono tanto spazio nella propria esistenza e a cui si attribuisce uno scarso valore e che condizionano negativamente la qualità della vita.
- La carriera
Soprattutto i più giovani danno una grande priorità alle prospettive di crescita professionale nel lavoro, ossia la possibilità di inserirsi in un percorso stimolanti in cui apprendere sempre nuove abilità mentre si lavora. La realtà purtroppo spesso è molto diversa, la carriera è condizionata più dalle gerarchie che dalla crescita di capacità e competenze acquisite in corso d’opera. Sono i ruoli prestabiliti e le funzioni ripetitive a determinare i percorsi professionali con poco spazio per l’innovazione e la creatività.
- La famiglia
Molte dimissioni sono determinate proprio dalle difficoltà di trovare un equilibrio tra lavoro e gestione della vita famigliare. In questo caso non si tratta di dimissioni per cercare un altro lavoro, ma spesso portano ad una rinuncia all’occupazione per gestire in via esclusiva i figli e la famiglia. Una condizione che riguarda tuttora principalmente le donne, ma che sta timidamente crescendo anche tra gli uomini e i padri.
- Ambiente di lavoro tossico
Gli ambienti di lavoro non sono sempre ambienti sereni: scontri con i superiori; eccessiva pressione; mancanza di riconoscimento; assenza di comunicazione; assenza di meritocrazia. Per molte persone questi aspetti sono punti dolenti. Le persone non vogliono vivere in un ambiente di lavoro che mina le loro aspettative, che le impoverisce invece di arricchirle, dove in virtù di ambigue corsie preferenziali chi si impegna di meno a volte ottiene di più.
- I valori aziendali
Sempre più persone indipendentemente dalla posizione che occupano in azienda dicono di non voler scendere a compromessi tra i valori che considerano inviolabili e quelli dell’organizzazione per cui lavorano. I manager delle risorse umane confermano che le persone che si candidano ad una posizione professionale vogliono conoscere e condividere i valori aziendali e solo dopo si interessano alla retribuzione. Vogliono sapere in primo luogo se l’azienda adotta sistemi di produzione sostenibili, se da valore alle professionalità e alle persone, se è trasparente nelle comunicazioni.
- La retribuzione
Un ultimo aspetto che viene richiamato in queste analisi riguarda la retribuzione. In generale, questa viene percepita come inadeguata rispetto al proprio valore. In Italia questo aspetto è molto più sentito che altrove e si manifesta anche nella crescita del fenomeno della fuga dei laureati all’estero, alla ricerca di una migliore retribuzione, migliore posizionamento professionale e una migliore qualità di vita.
Intorno a queste dinamiche e fenomeni si è inserito anche il dibattito sempre più vivo sul significato della “felicità” su cui si sta riversando l’interesse da parte non solo di filosofi e sociologi, ma anche di economisti e studiosi del mercato del lavoro. Non è un caso che proprio dagli Stati Uniti si sia coniato un paio di anni fa un nuovo termine “YOLO Economy –You only live once”, ovvero l’economia del “si vive una volta sola”.
Siamo di fronte ad una grande trasformazione nelle aspettative e nei modelli di riferimento di vita e di lavoro delle persone. In questo quadro, il tempo è diventato il “fattore critico” e l’equilibrio vita lavoro che per decenni è stato considerato un affaire delle donne, sta assumendo una connotazione generalizzata. Su questa strada di recente si sta affermando una nuova definizione: sinergia tra lavoro e vita privata.
Mi sono chiesta se questo termine fosse motivato dal tentativo di dare nuova importanza ad una annosa questione che non trova soluzione. Da decenni mi occupo di (mancato) lavoro femminile e ho visto tante definizioni entrare e uscire dai documenti di programmazione nazionale e comunitaria: dalle “azioni positive” al mainstreaming; dalla conciliazione famiglia-lavoro all’equilibrio vita-lavoro, passando per la condivisione delle responsabilità di cura. E ora? La sinergia vita-lavoro. La cosa che mi ha incuriosito è che a differenza del passato, questa volta, i pochi autori che hanno usato questo termine, non si riferivano solo ad un “problema femminile” e questo ha acceso la mia curiosità e un interesse di approfondimento.
La sinergia, infatti, richiama un significato nuovo, ossia la ricerca di modalità in cui il lavoro e la vita personale possano interagire, cooperare, sovrapporsi creando una condizione di “armonia”. Significa, cioè, smettere di considerare il lavoro e la vita privata come due entità distinte, ma fare in modo che siano un tutt’uno. L’obiettivo, quindi, non è l’equilibrio tra due piatti della bilancia che contengono “cose diverse”, ma l‘unità delle due dimensioni. Ecco, quindi, ad esempio, che in questa ottica diventa centrale l’ambizione da parte delle giovani generazioni di realizzarsi professionalmente in ambiti che abbiano senso. Così si spiega in parte il rifiuto dell’idea del “posto di lavoro” in quanto tale, a favore di un impegno professionale e lavorativo per il quale si possa esprimere passione, entusiasmo, il proprio credere e che abbia utilità per sé e per altri. La sinergia spiega la ricerca di “unità” anche a livello pratico e si esprime con una grande domanda di flessibilità nel lavoro, negli orari e nel luogo in cui svolgerlo: il lavoro agile, lo smart working, il south working, la settimana corta, e così via. In generale, si ricercano modalità che offrano maggiori opportunità di avvicinare anche fisicamente la vita professionale a quella personale e famigliare, riducendo la distanza e gli oneri che la distanza comporta, primo tra tutti la “perdita” di tempo, basti pensare al pendolarismo per motivi di lavoro. La sinergia si esprime anche nella possibilità di sovrapporre lavoro e crescita personale e professionale, ossia la possibilità di combinare più opportunità ed esperienze di lavoro nel percorso di vita in modo da favorire un arricchimento esperienziale e formativo; oppure la possibilità di accedere a percorsi di formazione professionale qualificante mentre si lavora e questo anche a scapito di posizioni che offrano maggiore remunerazione, stabilità e sicurezza.
Ma che cosa succede dal lato aziendale? Anche il sistema produttivo è interessato da profondi cambiamenti, da una grande volatilità dei mercati anche a livello locale, dalla continua innovazione tecnologica, dalla ricerca di nuovi prodotti e servizi, da fenomeni globali imprevedibili di carattere sociale e sanitario, dalle sfide sul piano della sostenibilità ambientale e finanziaria. In questo dinamismo le aziende hanno una grande esigenza di creare valore per essere sostenibili.
L’istanza di trovare una sinergia vita-lavoro delle persone si deve combinare con le esigenze di flessibilità, produttività e redditività aziendale, per sviluppare modelli organizzativi e produttivi capaci di alimentare l’innovazione e la crescita di valore, per tutti.
La sfida è quella di creare le condizioni per un “gioco a somma positiva” in cui le persone possano crescere e impegnarsi personalmente e professionalmente, in cui le posizioni lavorative sono flessibili e adeguatamente remunerate; e, dall’altro lato, l’azienda possa contare sulle professionalità che servono, quando servono, in una dinamica di picchi e flessi produttivi non sempre prevedibili. Creare un mercato del lavoro inclusivo non si risolve solo in un’attenzione ad inserire in azienda categorie sociali “minoritarie. Bisogna tendere ad una inclusività sostanziale. Ossia, creare le condizioni per includere le aspettative e i bisogni delle persone indipendentemente dalle categorie sociali di appartenenza; includere le prospettive di sviluppo e di sostenibilità delle aziende; includere le necessità di salvaguardia delle risorse naturali e del territorio.
Nella mia esperienza decennale ho visto piccole e grandi aziende approdare a modelli organizzativi virtuosi in costante miglioramento. Non è mai stata la soluzione finale a contare, ma sempre il metodo utilizzato. L’adozione di modalità partecipative, il confronto diretto e trasparente tra la direzione aziendale e le persone ha portato a trovare soluzioni non pensabili inizialmente, sostenibili e flessibili, in cui è sempre presente un margine parziale di gestione del tempo da parte delle persone, ed è sempre garantita la presenza di professionalità utili alla produzione. In queste aziende, le soluzioni sono generalmente di tipo organizzativo e non individuali, e sono adattabili nel tempo. Inoltre, si è disposti a dedicare tempo alla ricerca di soluzioni, anche fermando la produzione per qualche ora per dare modo di incontrarsi, perché per “includere” e trovare le soluzioni ci vuole pazienza, bisogna lavorare di fino, non avere pregiudizi e aprire un versante di confronto che possa ammettere cambiamenti, correzioni e miglioramenti.
In questo momento ci sono diversi strumenti di carattere normativo che rappresentano un’occasione per avviare anche nelle piccole e medie imprese percorsi di cambiamento guidati da una modalità partecipative. Mi riferisco in primo luogo alla prassi UNI PdR 125:2022 che ha introdotto la Certificazione sulla parità di genere che prevede nelle modalità di attuazione e negli indicatori modalità inclusive “sostanziali” che non contemplano solo azioni specifiche rivolte alle donne, ma che proprio attraverso l’azione generalizzata possono portare nei risultati ad un aumento della partecipazione delle donne al lavoro e ad una maggiore equità retributiva. Un altro strumento è senza dubbio quello promosso dalla Direttiva Europea 2022/2464 del 14 dicembre 2022 in base alla quale sarà necessario adottare da parte delle imprese italiane il Bilancio di sostenibilità ESG – Environnement, Social, Governance – a partire dal 1° gennaio 2026. Qui le aziende sono sollecitate a valorizzare economicamente nei loro bilanci tutti gli aspetti che riguardano la sostenibilità ambientale, sociale e di governo aziendale. Come aspetti che interessano trasversalmente e sostanzialmente l’organizzazione e la produzione.
Quale migliore occasione per provare a costruire valore, proponendo modalità partecipative nelle aziende che permettano di trovare soluzioni capaci di includere in modo sostenibile le esigenze delle persone. Queste azioni non saranno sufficienti a risolvere il problema del mismatch, ma darebbero un grande contributo nel creare le condizioni per l’affermarsi di un concetto rinnovato di lavoro, come sinonimo di impegno e di realizzazione, per uomini e donne.
Emanuela Mastropietro
Esperta di politiche di genere e politiche del lavoro
Anpal Servizi/socia CREIS