La parità tra donne e uomini è una questione trasversale che involge aspetti sociali, economici, stereotipi culturali.
Spesso le donne non possono permettersi di scegliere tra il lavoro e l’avanzamento di carriera, subendo inevitabilmente anche una sorta di violenza economica.
Al fine di migliorare l’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, è opportuno contrastare pratiche discriminatorie come il persistente divario retributivo di genere e garantire così una maggiore equità nel mercato del lavoro. Secondo i dati forniti dalla Commissione europea c’è un gap occupazionale dell’11,3% nei Paesi dell’Unione, lavorano il 78,1% degli uomini e il 66,8% delle donne. Oggi le donne studiano più degli uomini, con performance migliori, sono in maggioranza anche negli studi post laurea: tuttavia ciò non basta per avere una posizione di parità sul mercato del lavoro. Non solo le donne hanno maggiori difficoltà a trovare e a mantenere un’occupazione e sono costrette più spesso a ripiegare su un lavoro a tempo parziale, ma hanno anche tassi di disoccupazione superiori a quelli degli uomini e faticano anche a ritagliarsi uno spazio nelle posizioni apicali.
Le donne che lavorano in Italia sono meno degli uomini e, soprattutto, difficilmente ricoprono incarichi di responsabilità; ed è sul piano della partecipazione femminile al mercato del lavoro che si dispiega il gender gap rispetto ai maschi e la distanza dagli altri Paesi. Le cause del divario salariale sono varie, quasi il 30% delle donne nell’UE lavora a tempo parziale rispetto all’8,4% degli uomini ed è molto più probabile che smettano di lavorare per prendersi cura dei figli e dei parenti. È come se si legittimasse il principio che sia giusto che la donna guadagni meno.
Il divario retributivo si allarga con l’età e potrebbe aumentare a causa delle interruzioni di carriera donne, anche se questi modelli variano da Paese a Paese. Secondo i dati del 2020 il divario è più alto nel privato nella maggior parte degli Stati membri. Le donne sono sovrarappresentate nei settori a retribuzione relativamente bassa e la sottorappresentazione nei settori a retribuzione più elevata, nelle posizioni apicali, ma tendono anche ad essere vittima di overeducation, ovverosia che svolgano lavori per cui sarebbe sufficiente un titolo di studio più basso di quello posseduto. Nel 2020 le donne hanno ricoperto il 34% delle posizioni manageriali nell’UE, il 41% delle posizioni nei settori della scienza, dell’ingegneria e sono maggiormente a rischio di povertà in età avanzata. I motivi del perdurante divario della situazione della donna nel mercato del lavoro e del riconoscimento di una parità di genere a livello normativo, ma non pratico, sono molteplici. È fondamentale continuare a promuovere e sostenere iniziative a qualsiasi livello in tema di parità: un percorso lungo per aiutare le donne a vedere ricompensati i loro sacrifici e poter essere economicamente indipendenti grazie al proprio lavoro. La Presidente von der Leyen aveva annunciato, nei suoi orientamenti politici, la presentazione da parte della Commissione europea di nuove misure vincolanti in materia di trasparenza retributiva, impegno è stato ribadito come priorità nella strategia per la parità di genere 2020-2025 della Commissione. Il Parlamento di Strasburgo ha chiesto ripetutamente azioni mirate a migliorare l’applicazione delle disposizioni in materia di parità retributiva: una revisione del piano d’azione sul divario retributivo di genere per garantire e rafforzare in tutti i settori la parità di trattamento e di opportunità tra uomini e donne. Un intervento su larga scala per colmare il gap sulla persistente differenza retributiva che ormai da troppo tempo esiste, e le cui conseguenze sono preoccupanti non solo sul piano economico ma soprattutto sul piano sociale, che si inserisce all’interno di un quadro normativo non solo europeo ma internazionale di tutela dei diritti umani.
Le azioni messe in campo dalle istituzioni europee per colmare il perdurante divario tra uomini e donne e nel contrasto al gender pay gap
L’articolo 157 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) sancisce il principio della parità di retribuzione. La norma ha carattere imperativo: al riguardo l’orientamento della Corte di Giustizia dell’UE è nel senso che il divieto di discriminazione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile non solo riguarda le pubbliche autorità ma vale del pari per tutte le convenzioni, che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato, nonché per i contratti fra singoli (sentenza dell’8 maggio 2019, Praxair MRC, C-486/18, EU). Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi e gli obiettivi raggiunti, non si può ancora parlare di una società in cui uomo e donna godono del medesimo trattamento perché perdurano notevoli disparità nella realtà politica, economia e sociale. In particolare, il diritto alla parità retributiva non è applicato in modo adeguato né attuato nella pratica, in molti Stati membri manca la trasparenza retributiva. Le differenze retributive sono un problema reale e di difficile soluzione: il divario retributivo delle donne rispetto agli uomini è in media del 14% per lo stesso lavoro, cui si aggiungono altri fattori quali la segregazione orizzontale e verticale del mercato del lavoro, il lavoro a tempo parziale rispetto al lavoro a tempo pieno così come gli impegni attinenti all’assistenza che non sono retribuiti. La disparità di stipendio incide anche sulle pensioni dove il divario cresce ancora di più e arriva al 33%.
Proposta di direttiva comunitaria per rafforzare l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi
La proposta di direttiva approvata il 5 aprile 2022 è in linea con l’impegno dell’UE nei confronti dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e contribuisce all’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, in particolare l’Obiettivo n. 5 sul conseguimento della parità di genere e dell’emancipazione di tutte le donne e le ragazze. Il testo sulla transparency introduce norme nuove e più dettagliate per garantire il rispetto del principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore “per contrastare il persistere di un’applicazione inadeguata del diritto fondamentale alla parità retributiva e a garantire il rispetto di tale diritto in tutta l’UE, stabilendo norme in materia di trasparenza retributiva per consentire ai lavoratori di rivendicare il loro diritto alla parità retributiva. La proposta di direttiva persegue tali obiettivi garantendo la trasparenza retributiva all’interno delle organizzazioni; agevolando l’applicazione dei concetti chiave relativi alla parità retributiva, compresi quelli di ‘retribuzione’ e ‘lavoro di pari valore’; rafforzando i meccanismi di applicazione”.
La trasparenza retributiva è uno strumento essenziale per fugare i dubbi sulla parità retributiva tra uomini e donne, per sostenere l’eliminazione dei pregiudizi di genere nelle pratiche retributive. Può costituire un incentivo per una revisione delle politiche in materia di parità di genere a livello di impresa privata e promuovere una più stretta collaborazione tra datori di lavoro e rappresentanti dei lavoratori.
La trasparenza della busta paga consente ai lavoratori di individuare e comprovare possibili discriminazioni basate sul sesso, mettendo in luce i pregiudizi di genere nei sistemi retributivi e di inquadramento professionale che non valorizzano il lavoro di donne e uomini in modo paritario e neutro sotto il profilo del genere, o che non valorizzano alcune competenze professionali che sono per lo più considerate qualità femminili. Può contribuire a sensibilizzare i datori di lavoro sulla questione e aiutarli a individuare disparità retributive discriminatorie basate sul genere che non possono essere spiegate da validi fattori discrezionali e che sono spesso involontarie. Può favorire un mutamento di atteggiamento nei confronti della retribuzione delle donne sensibilizzando e stimolando il dibattito sulle ragioni delle differenze strutturali di retribuzione con gli uomini.
L’iniziativa rientra in un approccio multidimensionale che comprende la direttiva sull’equilibrio tra attività professionale e vita familiare, iniziative settoriali per combattere gli stereotipi e migliorare l’equilibrio di genere e una proposta di direttiva sul miglioramento dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle grandi società quotate dell’Unione Europea.
Al via l’iter per una legge europea sulla trasparenza salariale che contribuirà a combattere l’attuale discriminazione retributiva sul lavoro e a colmare il divario retributivo di genere
Il Parlamento europeo è pronto ad avviare quanto prima i negoziati con i vari governi europei per la definitiva approvazione della direttiva sulla trasparenza salariale diretta ad “abolire il segreto salariare nelle clausole contrattuali”, nel pieno rispetto della normativa sulla privacy. Le aziende private con almeno 50 dipendenti dovrebbero essere obbligate a pubblicare i dati sulla retribuzione per genere e affrontare qualsiasi divario retributivo esistente: “nel testo adottato, i deputati affermano di voler abolire il segreto salariare nelle clausole contrattuali. Propongono infatti che le aziende UE con almeno 50 lavoratori dovrebbero vietare le condizioni contrattuali che impediscono ai lavoratori di divulgare informazioni sulla loro retribuzione, ed invece divulgare ogni divario retributivo di genere esistente al loro interno”, si legge nel comunicato stampa del Parlamento Europeo. Tale abolizione è diretta a rendere palese ogni divario retributivo di genere tra lavoratori e lavoratrici nelle buste paga: “gli strumenti per la valutazione e il confronto dei livelli retributivi e i sistemi di classificazione professionale devono basarsi su criteri neutrali sotto il profilo del genere”. Se all’interno delle imprese si dovesse riscontrare un divario retributivo pari o superiore il 2,5% “i datori di lavoro, in cooperazione con i rappresentanti dei lavoratori, dovrebbero condurre una valutazione delle retribuzioni ed elaborare un piano d’azione per garantire la parità”. La proposta di direttiva mira a cambiare anche il concetto dell’onere della prova, spostandolo dal lavoratore al datore di lavoro cui spetterà dimostrare che non è stata fatta alcuna differenza e che il principio della parità di retribuzione è stato applicato: “nei casi in cui un lavoratore ritiene che il principio della parità di retribuzione non sia stato applicato e porta il caso in tribunale, la legislazione nazionale dovrebbe obbligare il datore di lavoro a provare che non c’è stata discriminazione, piuttosto che il lavoratore”. “Oggi siamo più vicini a eliminare il divario retributivo di genere in Europa. In Parlamento, abbiamo cercato di trovare il giusto equilibrio tra la garanzia del diritto all’informazione per le lavoratrici e la limitazione degli oneri inutili per le aziende. In questo modo possiamo rendere la parità di retribuzione per uno stesso lavoro una realtà per le donne in Europa”, ha commentato la relatrice della Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere Samira Rafaela. Con la direttiva “stiamo compiendo un passo importante verso l’uguaglianza di genere e facendo luce sul problema della disparità di retribuzione. Affermare che non accetteremo più la discriminazione salariale basata sul genere non rappresenta solo un segnale forte, ma è anche uno strumento per aiutare i paesi Ue e i datori di lavoro a eliminare il divario retributivo tra i sessi” ha sottolineato Kira Marie Peter-Hansen, relatrice della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali.
Non si tratta solo di una questione di giustizia ma anche di un imperativo economico perchè il costo del divario di genere nell’occupazione impatta pesantemente sull’economia dei singoli Stati.
Paola Francesca Cavallero