27 Aprile 2025
Pensioni e Previdenza: cosa cambia nel 2025
Lavoro e Previdenza Primo Piano

Pensioni e Previdenza: cosa cambia nel 2025

Ogni anno, la Legge di Bilancio porta novità, più o meno significative, in materia previdenziale e il dibattito pubblico che ne precede l’approvazione si anima di discussioni accese e di proposte, alcune meritevoli di attenzione, altre fantasiose e/o non sostenibili dal punto di vista finanziario e, forse, avanzate per pura propaganda e convenienza politica.

Quest’anno, tuttavia, il Ministero dell’Economia ha ‘giocato d’anticipo’, mettendo in chiaro già da alcuni mesi (quando la manovra era ancora al suo stato embrionale) che non ci sarebbero state le risorse necessarie per immaginare una riforma strutturale del sistema previdenziale.

In virtù anche di questa consapevolezza, pertanto, a differenza di quanto era avvenuto gli scorsi anni, non abbiamo visto fiorire ambiziosi progetti di riforma, né assistito a grandi proclami o dichiarazioni di bandiera in merito al superamento dell’attuale sistema pensionistico e delle norme della famigerata “Monti-Fornero”.

Così, le misure varate per il 2025 riguardano, per lo più, proroghe e conferme delle misure già in essere.

Benché la finalità dichiarata di tali misure fosse quella di garantire una maggiore flessibilità nell’uscita dal mondo del lavoro, rispondendo così alle esigenze delle categorie di lavoratori maggiormente disagiate, vedremo come il contenuto di tali norme finisca per avere un effetto per lo più disincentivante o come le condizioni di accesso limitino il ricorso a queste misure ad una platea molto limitata di lavoratori.

Principali novità 2025 in materia di previdenza

Opzione Donna

La possibilità di avvalersi dell’Opzione Donna viene confermata anche per il 2025 con le restrizioni già introdotte dalla Legge di Bilancio 2024: ne potranno usufruire – a condizione che abbiano maturato 61 anni di età e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2024 – non più la generalità delle lavoratrici, bensì solo le “caregivers” (cioè coloro che assistono un familiare con handicap grave da almeno 6 mesi), le titolari di una invalidità riconosciuta uguale o superiore al 74% e le disoccupate.

Restano le riduzioni di un anno del requisito contributivo per ogni figlio sino ad un massimo di due anni, nonché le “finestre mobili” (cioè l’intervallo previsto tra la maturazione del diritto e l’effettivo accesso a pensione): 12 mesi per le dipendenti e 18 mesi per le autonome.

Pensione Anticipata Flessibile Quota 103

Viene confermata anche la “Pensione Anticipata Flessibile” (meglio conosciuta come “Quota 103”) nella sua versione “contributiva” già introdotta dalla Legge di Bilancio 2024, i cui requisiti (62 anni d’età e 41 anni di contributi) potranno essere maturati entro il 31 dicembre 2025.

Rispetto al 2024 sono stati mantenuti inalterati sia il metodo di calcolo (interamente contributivo) di Quota 103, sia la misura massima dell’assegno, che non potrà essere superiore a quattro volte il trattamento minimo INPS (per il 2025: euro 2.413,60 complessivi) fino al raggiungimento dell’età di 67 anni, età superata la quale verrà messa in pagamento l’intera pensione maturata.

Peraltro, un lavoratore che, pur accedendo alla pensione anticipata flessibile nel 2025, ne avesse maturato i requisiti entro il 31 dicembre 2023, mantiene invece le condizioni più favorevoli previgenti (in particolare: il calcolo con il sistema misto).

Confermate anche le finestre mobili: sette mesi dalla maturazione dei requisiti per i lavoratori del settore privato; nove mesi i lavoratori appartenenti al settore pubblico.

Resta ferma anche la regola dell’incumulabilità del trattamento pensionistico Quota 103 con i redditi da lavoro, dipendente o autonomo (con la sola eccezione del lavoro autonomo occasionale entro 5.000euro annui).

In caso di percezione di un reddito da lavoro, il pensionato con Quota 103 è obbligato a restituire l’intero importo della pensione percepita nell’anno/i in cui ha percepito questo reddito, indipendentemente dall’importo (magari, del tutto trascurabile) del reddito da lavoro percepito; tale interpretazione penalizzante per i pensionati è stata recentemente confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 30994 del 4/12/2024, seppure formalmente relativa a “Quota100”), che ha riformato una sentenza emessa dal Tribunale di Lucca che aveva ritenuto che l’incumulabilità operasse solo fino a concorrenza del reddito da lavoro percepito dal pensionato.

Insomma, tutto l’impianto (calcolo con il sistema interamente contributivo; limite massimo di importo; finestra di accesso; incumulabilità totale con i redditi da lavoro) sembra pensato per disincentivare il potenziale pensionato dall’accesso a questo trattamento pensionistico, piuttosto che per invogliarlo ad accedere a questa misura.

Ed infatti, le domande di accesso a Quota 103 nel 2024 risultano essere state poche migliaia, ben al di sotto delle stime – peraltro anch’esse già molto prudenziali – che erano state avanzate.

Quota 103, infatti, si rivela scarsamente attrattiva, se paragonata alla pensione anticipata “ordinaria”, che, con l’attesa di soli pochi mesi aggiuntivi di lavoro (requisito di 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, indipendentemente dall’età anagrafica), consente di accedere ad una prestazione senza le limitazioni ed i vincoli che caratterizzano la “pensione anticipata flessibile”.

La consapevole volontà, da parte del Legislatore e del Governo, di disincentivare dal pensionamento anticipato rispetto all’età della pensione di Vecchiaia, sembra avvalorata anche dalla conferma – e, anzi, dal potenziamento ed allargamento – di un altro strumento di ‘dilazione’ del pensionamento, ovvero il c.d. “Incentivo al posticipo del pensionamento”.

Incentivo al posticipo al pensionamento

Per coloro che maturano entro il 2025 i requisiti di Quota 103 viene confermato l’incentivo al posticipo del pensionamento già previsto da precedenti norme, cioè la facoltà per il lavoratore che abbia maturato i requisiti per questo trattamento pensionistico di rinunciare al pensionamento optando per la corresponsione in busta paga della quota di contribuzione previdenziale a suo carico.

Gli effetti dell’esercizio della facoltà di avvalersi dell’incentivo decorrono dalla prima scadenza utile per il pensionamento (dopo la durata temporale della finestra) successiva alla data di esercizio dell’opzione per l’incentivo.

L’ammontare dell’incentivo è pari al 9,19% della retribuzione lorda per i lavoratori del settore privato, all’8,80% per i dipendenti pubblici del comparto Stato e all’’8,85% della retribuzione per gli altri lavoratori pubblici.

Tuttavia, la legge 207/2024 ha aumentato l’appetibilità di questa misura. Infatti, in primo luogo, a differenza della versione precedentemente vigente, l’incentivo viene escluso dalla base imponibile IRPEF e, pertanto, non costituisce reddito da lavoro dipendente; insomma, un’ulteriore spinta economica a rimanere al lavoro, rimandando la data del pensionamento.

Benché non espressamente previsto dalla norma, si deve ritenere che l’esenzione IRPEF dell’incentivo si applichi – a partire da febbraio 2025 – anche ai lavoratori che avevano già precedentemente richiesto l’incentivo sulla base delle norme previgenti e che ne stanno ancora usufruendo.

In secondo luogo, l’incentivo viene esteso anche a coloro che maturano entro il 2025 i requisiti per la pensione anticipata ‘ordinaria’ (42 anni +10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni +10 mesi di contributi per le donne + finestra di 3 mesi), con un ampliamento quindi della platea dei potenziali beneficiari rispetto al passato.

Un altro segnale inequivocabile lanciato ai lavoratori di rimandare il momento del pensionamento, senza usufruire dell’opportunità non solo di Quota 103 (sempre che Quota 103 possa realmente definirsi un’opportunità), ma neanche della pensione anticipata, rimanendo al lavoro fino al pensionamento di Vecchiaia…
E a tale proposito…

Norme per il Pubblico Impiego

Viene operato un innalzamento dei limiti ordinamentali per il pensionamento di Vecchiaia nel Pubblico Impiego, che, a partire dal 2025, dai 65 anni di età (validi per la generalità dei dipendenti pubblici) vengono agganciati all’età pensionabile prevista per la generalità dei lavoratori, cioè 67 anni, con la contestuale abrogazione delle precedenti norme che prevedevano il collocamento a riposo ad un’età inferiore, che costituiva un limite non superabile.

È stata inoltre introdotta la possibilità per le Pubbliche Amministrazioni (con esclusione delle magistrature, avvocati e procuratori dello Stato, nonché Forze Armate, Forze di Polizia e Vigili del Fuoco) di trattenere in servizio, non oltre il compimento del 70° anno di età, previa disponibilità dell’interessato e nei limiti del 10% delle facoltà assunzionali autorizzate a legislazione vigente, il personale per lo svolgimento di attività di tutoraggio e di affiancamento ai neoassunti e per esigenze funzionali non diversamente assolvibili.

Infine, è stata approvata una norma specifica per il settore sanitario, prevedendo la facoltà di trattenimento in servizio per tutte le professioni sanitarie.

Ma nella manovra di Bilancio ci sono anche misure per i “giovani” (da intendersi, qui, in senso lato, cioè coloro che sono entrati nel modo del lavoro dopo il 1995)? Sì, qualcosa c’è.

Incremento del montante contributivo

Dal 1° gennaio 2025 viene introdotta la possibilità, per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, di incrementare il proprio montante contributivo versando all’INPS una maggiorazione della quota di aliquota contributiva pensionistica a proprio carico fino ad un massimo di due punti percentuali.

La quota del trattamento pensionistico derivante da tale maggiorazione non concorre al computo ai fini della maturazione degli “Importi soglia” previsti per alcune tipologie di pensionamento ed è corrisposta al pensionato, a domanda, successivamente alla maturazione dei requisiti anagrafici per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Inoltre, i contributi versati dal lavoratore a titolo di maggiorazione della quota di aliquota contributiva sono deducibili dal reddito complessivo per il 50% dell’importo versato.

Insomma, viene data a questi soggetti un’opportunità di incrementare la propria pensione futura, ma sempre con il freno a mano tirato: posticipando la sua fruizione solo a partire dall’età prevista per la pensione di vecchiaia (che, per i più giovani, potrebbe andare ben oltre il 70° anno di età) e, per di più, a domanda (chissà: confidando, magari, che l’età avanzata faccia loro dimenticare di dover richiedere queste ulteriori somme accantonate, che, a quel punto, andrebbero a beneficio delle casse INPS).

Ma soprattutto, c’è da capire quanti lavoratori potranno e vorranno effettivamente attivare questa opzione, trovando, a fronte delle attuali difficoltà e ristrettezze (lavori precari, discontinui e/o scarsamente retribuiti) le risorse e la lungimiranza – nonché la fiducia nel “sistema”, necessaria per stipulare questo ulteriore ‘contratto’ con lo Stato – per investire in un beneficio futuro.

Utilizzo del valore delle rendite di previdenza complementare ai fini del raggiungimento dell’importo soglia

Ormai da alcuni anni, ad alcune forme di pensionamento anticipato si può accedere solo a condizione che il trattamento pensionistico raggiunga un determinato livello di importo minimo, detto “Importo soglia”.
Così, ad esempio, per la pensione di vecchiaia contributiva è previsto un importo soglia pari a 1,0 volte l’importo dell’Assegno Sociale, mentre per la pensione anticipata nel sistema contributivo l’importo soglia è di 3,0 volte l’importo dell’Assegno Sociale.

Questa ulteriore condizione impedisce a molti lavoratori – che pure hanno raggiunto i requisiti contributivi richiesti – di accedere a queste forme di pensionamento anticipato, costringendoli a continuare l’attività lavorativa per maturare ulteriore contribuzione necessaria a raggiungere l’importo soglia o, nel peggiore dei casi, ad attendere il pensionamento di Vecchiaia.

Ebbene, la Legge di Bilancio ha previsto che dal 1° gennaio 2025, ai fini del raggiungimento dell’importo soglia, i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995 possono computare – a domanda – unitamente all’importo della prima rata della pensione di base, anche il valore teorico di una o più prestazioni di rendita di forme pensionistiche di previdenza complementare.

Questa misura va vista con favore, anche perché serve ad aumentare l’attenzione delle giovani generazioni sull’importanza della Previdenza Complementare, che dovrà necessariamente costituire una componente strutturale della loro futura pensione.

Tuttavia, anche in questo caso, la legge mette subito un freno, neutralizzando o limitando i benefici di questa opzione. Per i lavoratori che si avvalgono di tale facoltà, infatti:

– il requisito contributivo necessario per l’accesso alla prestazione viene aumentato di 5 anni dal 2025 (da 20 a 25 anni) e di ulteriori 5 anni dal 2030 (da 25 a 30 anni);

– la prestazione non sarà cumulabile, dal primo giorno di decorrenza fino alla data di maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, ad eccezione del lavoro autonomo occasionale nei limiti di euro 5.000 annui.

E ancora: qualora dall’attività di monitoraggio INPS dovessero emergere maggiori oneri rispetto a quelli preventivati, un decreto potrà stabilire un limite percentuale minimo mensile che la pensione pubblica deve assumere rispetto al valore della rendita integrativa (cioè, potrà stabilire che, fatto 100 il valore dell’importo soglia, l’importo della pensione obbligatoria dovrà coprirne, ad esempio, almeno 60 o 70, ecc.) e l’elevazione degli importi soglia, oppure potrà disporre un ampliamento ulteriore della finestra mobile per il pensionamento anticipato.

Insomma: l’opportunità ve la diamo. Ma siamo sicuri che vi conviene davvero?!?

E, a proposito, di “Importo soglia”, la Legge di Bilancio dispone anche l’incremento dell’importo soglia, che, dal 1° gennaio 2030 salirà ulteriormente – per tutti i lavoratori – passando da 3,0 a 3,2 volte l’importo dell’Assegno Sociale, fermo restando il valore ridotto di 2,8/2,6 volte per le lavoratrici madri.

Anticipo di età per la pensione di Vecchiaia per lavoratrici con 4 o più figli

Viene ulteriormente valorizzato il ruolo delle lavoratrici madri: l’anticipo di età di 4 mesi per figlio rispetto al requisito di accesso alla pensione di vecchiaia per le lavoratrici i cui trattamenti sono determinati esclusivamente con il sistema contributivo viene riconosciuto entro un limite massimo elevato a 16 mesi nel caso di quattro o più figli (finora, la legge prevedeva invece un limite massimo di 12 mesi).

Non è stato invece corrispondentemente innalzato il requisito previsto in alternativa ai mesi di anticipo della pensione: l’applicazione di un coefficiente più elevato (cioè, relativo a un’età più alta) per il calcolo della pensione. Resta di un anno in caso di uno o due figli e di due anni in caso di tre o più figli.

Tra le altre misure – oltre alla proroga dell’APe Sociale con le stesse regole precedentemente previste e con il requisito di anagrafico di 63 anni e 5 mesi – troviamo anche l’Aumento Pensioni minime: per contrastare gli effetti dell’aumento del costo della vita verificatosi negli anni passati, è stato previsto un aumento straordinario delle pensioni minime per i pensionati il cui trattamento è inferiore al trattamento minimo.

L’aumento sarà del 2,2% per l’anno 2025 e dell’1,3% per l’anno 2026.

Luca Giustinelli

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