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10 Ottobre 2024
Lavoro e Previdenza

Piccole manovre sulle pensioni

Si avvicina a legge di bilancio, ci saranno le elezioni europee il prossimo anno e si riapre il dibattito sulle pensioni (si fa per dire, è sempre aperto). Sta forse scritto nella nostra Costituzione che ogni anno si debbano apportare modifiche (sempre con aggravio dei conti pubblici) alle pensioni?

Non che la riforma del 2012 non avrebbe bisogno di un aggiornamento (eufemismo) ma finora una cosa buona in essa contenuta (la flessibilità in uscita, le cd penalizzazioni) è stata abrogata e le modifiche che sono state apportate nel corso degli anni sono state tutte “a vista”, e non per il bene delle pensioni ma per quello dei politici che le spendono in campagna elettorale e poi non le attuano o le attuano con ritardo come se, nel nostro secolo, tempo e distanza avessero lo stesso valore del secolo scorso (ognuno, nel suo piccolo, mette il suo granellino di sabbia nell’ingranaggio).

Mettiamo un punto fermo. Nel mondo delle pensioni (previdenza) tutto ciò che non è finanziato da un’aliquota contributiva è assistenza (fiscalità generale), cioè soldi di chi paga imposte e tasse varie e non riceve alcunché in cambio. La differenza fondamentale sta nel fatto che nella previdenza contribuente e beneficiario coincidono, nell’assistenza sono soggetti diversi.

Stabilito questo, ogni volta che in una disposizione di legge che impatta sul sistema pensionistico c’è scritto “L’autorizzazione di spesa è incrementata di xx milioni di euro per l’anno 2023, di xxx milioni di euro per l’anno 2024, di xxx milioni di euro per l’anno 2025, di xxx milioni di euro per l’anno 2026, di xxx milioni di euro per l’anno 2027 e di xxx milioni di euro per l’anno 2028” o più simpaticamente (per i palati più fini): “Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche”, non è previdenza. Quella della fiscalizzazione della quota a carico del lavoratore dell’aliquota di finanziamento delle pensioni è la più simpatica di tutte: scaricare sui contribuenti (onesti) una parte della contribuzione salvaguardando l’importo della pensione del lavoratore. Bene per il lavoratore ma non è previdenza.

Quanto all’intervento dello Stato nel sistema, per avere un’idea della proporzione fra finanziamento della “produzione” (datore di lavoro e lavoratore) e finanziamento a carico dello Stato, nell’anno 2022, le entrate contributive sono state 256.138 mln di euro, i trasferimenti a carico del bilancio statale sono stati 157.004. Di questi ultimi 18.625 milioni di euro sono andati alla copertura degli oneri della Gestione per l’erogazione delle pensioni, assegni ed indennità agli invalidi civili e 4.771 milioni alla copertura dei disavanzi di esercizio delle gestioni previdenziali. La domanda sorge spontanea: INPS (Istituto Nazionale Previdenza Sociale) o INAS (Istituto Nazionale Assistenza Sociale)?

Al dibattito che annualmente si svolge sulle pensioni si aggancia, in questo periodo, quello sullo stato demografico del Paese e l’impatto sulle pensioni future. Se ne sono accorti, finalmente. Peccato che, so di ripetermi, in Italia i NEET (giovani fra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in un percorso di formazione) siano 5.725.000 a maggio 2023 (4.259.000 nella fascia d’età 15-24 anni e 1.466.000 nella fascia d’età 25-34 anni). Siamo il Paese in cui ci sono più NEET rispetto a tutti gli altri Stati dell’UE. Il mio dramma è che penso (tanti lo pensano, pochi lo dicono): fra evasione fiscale, lavoro nero, sussidi pubblici vari e famiglia, a loro piace così. Sai che importa loro della pensione! Altro che “culle vuote e inverno demografico”, i problemi li abbiamo già oggi, ma al grido di “Allarme mancano i lavoratori!!!!!!” politici e sindacati continuano a proporre prepensionamenti, Quote varie, APE sociale, Opzione donna …!

Il processo di invecchiamento è, nei fatti, ancora sottovalutato mentre è destinato ad avere un forte e crescente impatto in vari settori della nostra società: certamente sul sistema pensionistico ma anche sulla domanda di servizi sanitari, in particolare prestazioni di lunga durata di carattere socio-sanitario (Long Term Care, LTC) di cui l’anziano necessita nell’eventualità di perdita, totale o parziale, della propria autonomia e che deve fornire loro protezione dai costi altissimi (e dall’impoverimento): attualmente la longevità è un costo, per lo Stato e per le famiglie. Pur essendo il bisogno di assistenza delle persone anziane una normale evoluzione della vita dell’individuo, in Italia il welfare poggia ancora in misura pressoché totale sulla famiglia. Risultato? Molte coppie aspettano che i genitori (i futuri nonni) vadano in pensione per fare i figli, molte donne non intendono rinunciare alla carriera e rinunciano ai figli. Le “cure di lungo periodo” sono anch’esse affidate alla famiglia, in particolare alle donne che abbandonano il lavoro o trasformano un contratto a tempo pieno in contratto part time (cd part time di servizio) o già in partenza scelgono un lavoro di basso profilo in previsione di figli, cure, ecc. Proprio per ragioni demografiche, quanto potrà funzionare ancora il nostro welfare famigliare?

Non mi sembra che questo aspetto del nostro futuro prossimo sia stato seriamente affrontato. Abbiamo volgarizzato un nuovo termine che non sappiamo nemmeno pronunciare (“caregiver”) che abbiamo aggiunto a “badante”. Del problema, oltre alle famiglie, se ne è accorto il mercato il quale lancia vari ausili della vecchiaia mentre della politica, mi ricordo la commissione Onofri “Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale”, nominata dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, che, credo, fosse del 1997, e niente di più (non sono aggiornato?).

Nel Quaderno di Approfondimento 2023 “Silver Economy, la grande economia del prossimo decennio”, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, si delineano le possibilità offerte da quella che viene definita la grande economia del prossimo decennio e considerato che attualmente la longevità è un costo, perché, invece di rinchiudere i “silver” nei centri anziani, non far diventare l’invecchiamento un’opportunità?

Antonio Chiaraluce

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