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7 Ottobre 2024
Lavoro e Previdenza

Quando il figlio inabile ha diritto alla pensione ai superstiti?

Mentre i figli o equiparati di età inferiore a 18 anni sono considerati a priori a carico del dante causa, il diritto alla pensione ai superstiti in favore dei figli ed equiparati di età superiore ai 18 anni è subordinato, oltre al requisito sanitario dell’inabilità, alla sussistenza in capo ad essi, alla data del decesso del genitore, del requisito della vivenza a carico del deceduto. La vivenza a carico richiede il possesso congiunto di due condizioni: la non autosufficienza economica del superstite e il mantenimento abituale del superstite da parte del genitore defunto.

Il concetto d’invalidità totale è dato dall’art. 2 della legge n. 222/1984: “Si considera inabile, ai fini del conseguimento del diritto a pensione nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti ed autonomi gestita dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, l’assicurato o il titolare di assegno d’invalidità con decorrenza successiva alla data di entrata in vigore della presente legge il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”.

L’inabilità deve sussistere al momento della morte del lavoratore o pensionato, a nulla rilevando eventuali aggravamenti dello stato di salute del superstite che siano intervenuti dopo la morte del familiare (e al venir meno dello stato d’inabilità si perde il diritto alla pensione ai superstiti). L’inabilità deve riferirsi all’impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, sia di natura subordinata che autonoma. Perché questa sottolineatura? Per evitare confusione con l’invalidità civile che fa riferimento a minorazioni congenite od acquisite (fisiche, psichiche e sensoriali) che comportino una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo. L’impossibilità deve essere assoluta perché lo svolgimento di attività lavorativa fa presumere, comunque, l’inesistenza della inabilità totale. Esiste un’unica eccezione, contenuta nell’art. 8, c. 1 della medesima legge n. 222/1984, che consente al figlio inabile di percepire un reddito cumulabile con la pensione: “L’attività svolta con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, … con orario non superiore alle 25 ore settimanali, presso le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o presso datori di lavoro che assumono i predetti soggetti con convenzioni di integrazione lavorativa, di cui all’articolo 11 della legge 12 marzo 1999, n. 68, con contratti di formazione e lavoro, con contratti di apprendistato o con le agevolazioni previste per le assunzioni di disoccupati di lunga durata …”.

Quanto alla non autosufficienza economica, sono considerati a carico i figli maggiorenni inabili che abbiano un reddito non superiore a quello richiesto dalla legge per il diritto alla pensione di invalido civile totale (17.050,42 euro per l’anno 2022), maggiorato, per i figli inabili che si trovino nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognino di un’assistenza continua, dell’importo dell’indennità di accompagnamento (6.302,04 euro per l’anno 2022). Ai fini dell’accertamento dei limiti di reddito, devono essere presi in considerazione i soli redditi assoggettati all’IRPEF, con esclusione dei redditi esenti (pensioni di guerra, provvidenze economiche in favore di minorati civili) o comunque non computabili agli effetti dell’IRPEF (rendite INAIL). Nel caso di figlio inabile coniugato, il diritto alla pensione in favore del medesimo è subordinato alla circostanza che il figlio inabile, non disponendo il coniuge di mezzi sufficienti al suo mantenimento, risulti a carico del genitore alla data del decesso di quest’ultimo. Quindi, in tale ipotesi ai fini della verifica del requisito del carico devono essere anche valutati gli eventuali redditi del coniuge.

Se il figlio inabile conviveva con il genitore defunto (effettiva comunione di tetto e di mensa) si prescinde, di norma, dall’accertamento del mantenimento abituale che deve, invece, essere accertato nel caso di non convivenza. Se il figlio non conviveva bisogna accertare, anche mediante un esame comparativo dei redditi del genitore defunto e del superstite, se il primo concorreva effettivamente in maniera rilevante e continuativa al mantenimento del superstite. Come? Lo spiega l’INPS nella circolare n. 185/2015.

Ai fini del mantenimento abituale occorre accertare che il dante causa concorreva in maniera rilevante e continuativa al mantenimento del superstite.

A tal fine risulta necessario accertare, anche mediante un esame comparativo dei redditi del dante causa e del superstite, se il primo concorreva effettivamente in maniera rilevante e continuativa al mantenimento del figlio non convivente.

Non è richiesto che l’assicurato o pensionato provvedesse in via esclusiva al mantenimento del figlio non convivente. Una ipotesi particolare di concorso al mantenimento si ha in caso di ricovero del superstite in un istituto di cura o di assistenza con retta di degenza a carico di ente o persona diversa dal lavoratore deceduto, il quale tuttavia forniva al medesimo, con carattere di continuità, i mezzi di sussistenza. In tal caso il requisito del carico sussiste purché il superstite non possa procurarsi altri mezzi di sussistenza.”

Antonio Chiaraluce

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