È intervenuto il legislatore per ripristinare il diritto degli invalidi civili parziali, ossia di coloro che hanno riconosciuta un’invalidità civile compresa tra il 74 il 99%, a ricevere l’assegno di invalidità se, pur lavorando, non superano i limiti di reddito stabiliti.
L’ha fatto con la legge numero 215 del 17 dicembre 2021 all’Art. 12-ter (Requisiti ai fini dell’assegno di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118) stabilendo che: “Il requisito dell’inattività lavorativa previsto dall’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, deve intendersi soddisfatto qualora l’invalido parziale svolga un’attività lavorativa il cui reddito risulti inferiore al limite previsto dall’articolo 14-septies del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, per il riconoscimento dell’assegno mensile di cui al predetto articolo 13”.
Questo intervento si è reso necessario in quanto l’INPS, con il messaggio numero 3405 del 14 ottobre, aveva cancellato il diritto delle persone invalidi parziali a ricevere l’indennità se lavoravano e percepivano un reddito inferiore a quello previsto per il riconoscimento della prestazione.
L’INPS basava il suo provvedimento sul presupposto che la “Corte di Cassazione con diverse pronunce è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio La giurisprudenza di legittimità, quindi, è costante nel ritenere che lo svolgimento dell’attività lavorativa, a prescindere dalla misura del reddito ricavato, preclude il diritto al beneficio di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971 (cfr. Cass. n. 17388/2018; n. 18926/2019).
Alla luce di tale consolidato orientamento, a fare data dalla pubblicazione del presente messaggio, l’assegno mensile di assistenza di cui all’articolo 13 della legge n. 118/1971, sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario.”
Questa è la posizione dell’INPS. Per quanto ci riguarda, se per poter aver diritto ad una prestazione assistenziale, si abbina il requisito sanitario a quello del mancato svolgimento di un’attività lavorativa, si arriva ad un provvedimento semplicemente assurdo, perché non si può pensare che un invalido parziale non possa in alcun modo lavorare, pena la perdita o la conseguente revoca, se già lo percepisca, dell’indennità.
Ci sono i limiti di reddito e solo quelli possono rappresentare un paletto invalicabile. Inserire anche il lavoro è oggettivamente umiliante e francamente ignobile. Questa legge ha fatto chiarezza ed obbligato l’INPS a restituire gli assegni che non ha pagato nei mesi di novembre dicembre e ripristinare il diritto a favore di coloro a cui di fatto l’aveva cancellato. Lo ha fatto perché ha interpretato una legge già esistente, di conseguenza, tutti coloro che non riceveranno quanto gli spetta per loro sacrosanto diritto, hanno l’opportunità di rivolgersi all’autorità giudiziaria per vederselo riconoscerlo.
I limiti di reddito stabiliscono una differenza tra chi ha una invalidità compresa tra il 74 e il 99% e chi, purtroppo, ce l’ha al 100%.
La differenza è la seguente:
Esaminando questi dati, da un lato si comprende bene che c’è un’enorme differenza reddituale tra le due fasce di invalidi, per cui andare ad inserire anche il requisito lavorativo, non era altro che un pretesto per cercare di eliminare il diritto di coloro che hanno una parziale invalidità a ricevere una prestazione assistenziale.
Inoltre, ed anche in questo caso si è trattato di una vera e propria conquista, ottenuta dopo una lunga battaglia e grazie alla Sentenza della Corte Costituzionale n. 152 del 23 giugno 2020, coloro che hanno un’invalidità del 100% ed un reddito inferiore a 8.583,51 se singoli o ad euro 14.662,96 se coniugati hanno il diritto ad avere l’integrazione al famigerato “incremento al milione” in altri termini un’aggiunta di euro 368,58 che gli consente di avere un assegno di euro 660,27 mensili.
Carlo Fantozzi