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7 Ottobre 2024
Lavoro e Previdenza

Sono 30 anni che Penelope tesse la sua tela

Il cantiere delle riforme del welfare è sempre aperto: pensioni, reddito di cittadinanza, ammortizzatori sociali, bonus vari. Le elezioni sono vicine.
Il balletto delle pensioni ormai è diventato annuale. All’inizio era la misura “sperimentale per il triennio …”, ora siamo già alla misura “valida per un anno”, arriveremo alla “misura flash”? Le problematiche generate dal reddito di cittadinanza sono all’ordine del giorno. Gli ammortizzatori sociali stanno esplodendo. Leggo che la platea dei beneficiari del bonus antiinflazione da 200 euro è stimata in 31,5 milioni di persone: 31.500.000*200=6.300.000.000 euro per un mese.
Per le pensioni, ora le debuttanti al ballo sono “quota 41” per la pensione anticipata e 64 (63?) anni di età con 20 di contribuzione, con opzione per il sistema di calcolo contributivo, per la pensione di vecchiaia.
Si sentono già i primi “rumors” da parte degli organismi internazionali e (le bocciature) delle agenzie di rating: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) sottolinea che “Le diverse opzioni disponibili per andare in pensione prima dell’età pensionabile prevista dalla legge abbassano l’età media di uscita dal mercato del lavoro, pari mediamente a 61,8 anni contro i 63,1 anni della media Ocse”, bel al di sotto dell’età legale del pensionamento, oltre che dell’età media degli altri Paesi europei. L’Unione Europea, che sta sfornando soldi, tiene accesi i riflettori.
Tanti litigi nel Governo ma, nel concreto, a chi può interessare quota 41, quando si ha difficoltà a costruire carriere continuative per arrivare agli anni necessari per il pensionamento?
I problemi sono l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro, la continuità del rapporto di lavoro, la tutela fra un contratto e l’altro, l’“Inverno demografico”, le “culle vuote” e il tuo problema è quota 41? Che fra l’altro è un’ulteriore rigidità nel sistema quando ci sarebbe bisogno di più flessibilità. Tanto poi li mandiamo in pensione con l’Ape sociale con 30 anni di contributi con buona pace dei princìpi di equità e dei saldi di bilancio. Ultimo nato l’uscita anticipata dal lavoro, su base convenzionale, dei lavoratori dipendenti di piccole e medie imprese in crisi, che abbiano raggiunto un’età anagrafica di almeno 62 anni (ultima legge di bilancio), interamente a carico della fiscalità generale.
E a chi (uomo o donna) può interessare l’uscita a 64 anni con 20 anni di contribuzione con l’utilizzo per tutta la carriera lavorativa del sistema di calcolo contributivo? A parte che la disposizione esisterebbe già se non ci fosse una strana interpretazione dell’INPS che nega l’accesso a questo tipo di pensione con l’opzione per il sistema contributivo prevista dalla legge Dini, vogliamo ulteriori pensionati poveri? Quelli che ci sono non sono abbastanza?
E il gap pensionistico fra uomini e donne? E ai giovani, che quota 41 se la sognano (tranne pochi che non sono fuggiti all’estero), cosa offriamo, la pensione contributiva minima? Cioè l’integrazione al trattamento minimo. Un popolo di assistiti, a carico di?
Si levano di nuovo alte le voci che la separazione della previdenza dall’assistenza in Italia è impossibile “a causa della natura spesso ibrida della prestazione che rende complicata una distinzione delle fonti di finanziamento” (voci di corridoio da Commissione tecnica). E con l’evasione più alta fra i Paesi del G8 le spese chi le paga?
Il reddito di cittadinanza, a causa dell’alto numero di frodi registrate nei sui primi tre anni di vita e per la disincentivazione all’impiego per chi lo percepisce, è una commedia dell’arte che coinvolge gli elementi più ricchi della società (gli “attivi”) e gli strati più popolari (gli “sfruttati” che grazie ad esso possono rifiutare il lavoro). Mettere in concorrenza l’assistenza ed il lavoro è stato un errore macroscopico: una misura, in astratto assolutamente sacrosanta (perché è giusto aiutare chi vive in una condizione di disagio sociale e non può lavorare) calata in una società antimeritocratica, abituata a considerare lo Stato un nemico da sfruttare, assuefatta all’assistenzialismo e al nepotismo, è ottima per vincere le elezioni ma pessima per il sistema Italia. Bisogna anche avere il coraggio di dire che le persone devono essere concretamente occupabili ed in grado di generare un reddito adeguato (c’è una parola che dice tutto “competenze”) perché se le occupazioni che in concreto si offrono sono meno appetibili del reddito stesso perché la retribuzione è minore dell’assegno o perché, in ogni caso, il maggior guadagno non giustifica la fatica da affrontare per andare a lavorare ogni giorno e se l’occupabile non ha competenze per svolgere un proficuo lavoro il finale è ….. che l’assistenza finirà per sostituirsi alla previdenza. Per gli “occupabili” vanno messe in campo misure di politica attiva e non processi assistenziali!
Come si può, oggi, serenamente, consigliare ad un cittadino lavoratore di investire soldi nella Previdenza pubblica (prosecuzione volontaria, riscatti, …). Non so se ne valga la pena, visto che una pensione contributiva non ha l’integrazione al trattamento minimo, che se non ho 20 anni di contributi devo aspettare di compiere 71 anni (oggi): mi prendo l’assegno sociale a 67 anni. Di nuovo la concorrenza fra assistenza e previdenza.
Come si faranno quadrare i conti della copertura data dagli ammortizzatori sociali che, con la finanziaria del 2022 sta passando da sostenibile a universale? Costi sostenibili per le crisi temporanee e risolvibili, ma per le altre? Ammortizzatori in deroga? Prepensionamenti? Odio le deroghe, indeboliscono la certezza del diritto, sono inique (a te sì a me no, in Veneto sì e in Liguria no), costose perché dovrebbero essere preordinate a superare situazioni eccezionali e a operare nell’immediatezza ed invece sono utilizzate per estendere nel tempo trattamenti già vigenti deresponsabilizzando i datori di lavoro (e come sempre a carico della fiscalità generale).
Una visione di lungo periodo e interventi strutturali per disinnescare una bomba sociale, no?

Antonio Chiaraluce

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