È già trascorso un anno da quando è stato individuato il “paziente zero” a Codogno e la SARS COV-19 si è diffusa a macchia d’olio nel nostro paese. Al fine di evitare ancor più gravi conseguenze, ci hanno sottoposto a tante privazioni e tante parole sono state spese ma, una su tutte si è insinuata nelle coscienze di ogni essere umano. Sin dall’inizio di questo tragico periodo, quando ancora le notizie sul virus erano imprecise ma i contagi cominciavano rapidamente a diffondersi e a contarsi centinaia di morti, ciascuno, attuando la disposizione del Governo, ascoltando le informazioni dei virologi, nel chiuso delle proprie case e nel profondo della propria coscienza, per sé stessi o per i propri affetti, parenti e amici ha pensato alla “sopravvivenza”.
Oltre alle misure intraprese per limitare i danni, zone rosse, divieti e dispositivi individuali di protezione, i primi a contribuire non solo alla propria ma anche all’altrui sopravvivenza sono stati i medici, gli infermieri, il personale sanitario che in ogni modo e profondendo il massimo sforzo, hanno assistito i malati di Covid-19.
Mentre il personale sanitario combatteva in prima linea per salvare più vite possibile, il Governo si impegnava in uno sforzo senza precedenti per predisporre tutte le misure economiche possibili atte a far sì che i cittadini, chiusi in casa e senza possibilità di lavorare, potessero ricevere ristori economici che permettessero loro di acquistare i prodotti di prima necessità, dunque sopravvivere.
Le innumerevoli misure introdotte dovevano essere distribuite alla popolazione in maniera capillare e selettiva e gli unici intermediari in grado di dare supporto alla cittadinanza per permettere di accedervi, così come sempre accaduto e maggiormente in questo momento straordinario, sono stati i patronati. Gli operatori di patronato, alla stregua del personale sanitario, spesso a rischio della propria incolumità, cercando di applicare al meglio le misure di prevenzione, hanno tenuto aperti i propri uffici dando così la possibilità a milioni di cittadini di inviare altrettante domande per ottenere i ristori promessi. Il Governo, per agevolare l’attività straordinaria, attraverso una modifica normativa temporanea, ha rimosso i vincoli operativi previsti da una legge ormai vetusta, totalmente inappropriata rispetto all’evoluzione tecnologica, permettendo ai patronati di raccogliere la documentazione, non solo presso i propri uffici ma, con ogni mezzo telematico disponibile.
Ciò nonostante, ogni operatore, ogni ufficio e le strutture tutte, hanno dovuto sopportare una mole di lavoro eccezionale che li ha impegnati ben oltre i normali orari lavorativi. Ciascuno ha dato il proprio contributo, studiando ogni singolo DPCM per evitare che errori di interpretazione potessero arrecare ritardi o peggio blocchi nell’invio delle domande necessarie alla sopravvivenza della popolazione. I cittadini, particolarmente quelli appartenenti a fasce svantaggiate, in questa fase di ulteriore aggravio di difficoltà, hanno fatto esclusivo affidamento sui patronati sotto tanti aspetti, informativo, operativo, economico, psicologico e nonostante le limitazione agli spostamenti e la possibilità di recepire telematicamente la documentazione, si sono create file interminabili di persone in attesa di poter accedere agli uffici a riprova e testimonianza dell’importanza che questo istituto riveste per l’intera popolazione.
Sebbene da sempre, i patronati siano stati considerati Enti di secondo piano, su di essi il Governo, nel corso del tempo ed al fine di ridurre i costi delle proprie strutture e personale, ha trasferito tante funzioni e compiti, ad esempio gravandoli dell’onere di divenire di fatto gli sportelli al pubblico degli Enti previdenziali ed assistenziali. Nonostante ciò, nessun intervento normativo è stato messo in atto a riequilibrio e compensazione dell’aggravio di lavoro sopportato ma, al contrario, ancora oggi e nonostante l’informatizzazione, dato l’anacronistico sistema di controllo previsto dalla normativa, i patronati percepiscono i propri compensi con uno spaventoso ritardo che arriva fino a sette anni.
I governi succedutisi negli anni hanno professato la modernizzazione della pubblica amministrazione con l’adozione di tecnologie informatiche all’avanguardia già adottate per alcuni interlocutori, le assicurazione online permettono il riconoscimento e la firma della documentazione a distanza, le Società che rilasciano lo SPiD effettuano il riconoscimento online o tramite webcam dello smartphone, i CAF dialogano telematicamente con l’Agenzia delle Entrate adottando firma elettronica e conservazione sostitutiva dei documenti, ciò nonostante, salvo quanto previsto estemporaneamente nei DPCM per le necessità dettate dal Covid-19, per i patronati poco o nulla è stato fatto.
Così come per altri soggetti, anche per i patronati, sarà necessario che si intervenga sulla normativa ormai anacronistica e largamente superata per consentire l’utilizzo delle attuali tecnologie, ad esempio, rendendo strutturale la possibilità di raccolta telematica dei documenti, attraverso l’adozione del riconoscimento a distanza, della firma elettronica (FEA), della possibilità di utilizzare la conservazione documentale sostitutiva. Tutto ciò, oltre a ridurre le distanze fisiche tra utenti e patronati, permetterebbe di certo un maggior efficientamento della struttura territoriale ed organizzativa di tali Enti. L’adozione delle tecnologie, utilizzate comunemente dai cittadini e già presenti nella PA, garantirebbe altresì la riduzione di costi e dei tempi legati ai controlli effettuati dagli organi preposti così da permettere ai patronati di ottenere un più puntuale riconoscimento dei compensi maturati, e con essi la sopravvivenza.
Fabio Schirosi