L’articolo 157 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) stabilisce l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, senza discriminazione fondata sul sesso tanto per quanto riguarda uno “stesso lavoro” quanto con riferimento a un “lavoro di pari valore”. La Corte aggiunge che quando le condizioni di retribuzione possono essere ricondotte a un’unica fonte, il lavoro e la retribuzione di tali lavoratori possono essere messi a confronto, anche qualora lavorino presso stabilimenti diversi. È il principio generale di uguaglianza che vieta di trattare in maniera diversa situazioni analoghe. L’articolo, come sottolinea la Corte, ha carattere imperativo, tuttavia, e questo lo dice lo stesso articolo 157, allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure che prevedano vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di un’attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali.
In Italia le donne che svolgono un lavoro retribuito sono ancora poche. Nella fascia fra i 15 e i 64 anni lavora solo il 50,1% delle donne, una su due, hanno interruzioni di carriera e prende decisioni professionali orientate dallo stereotipo femminile. Già all’inizio dell’attività lavorativa scelgono lavori più “adatti”, cioè più compatibili con la gestione delle responsabilità familiari (vicinanza a casa, orari di routine, possibilità di part time o di interruzione del lavoro e assenza di trasferte). Come dire che sono sovrarappresentate nei settori relativamente a basso salario come l’assistenza, le vendite o l’istruzione e sottorappresentate nei settori dove le retribuzioni sono più alte. Le donne occupano solo il 33% delle posizioni manageriale in Europa.
Non a caso quasi il 50% delle donne lavora part-time (Osservatorio dei consulenti del lavoro), di cui si dice che il 19,5% sia involontario. Un tempo era chiamato “part time di servizio”, ora sono i “caregivers” (suona tanto maschile). Non è una scelta ma la necessità di badare ai familiari in mancanza di servizi sociali e sanitari. Secondo una stima del Censis mogli e figlie garantiscono “care” diretto nei confronti di congiunti non autosufficienti in 7 casi su 10, fenomeno in crescita alla luce del progressivo invecchiamento del nostro Paese.
Tutto questo ha un costo elevato per le donne: godono di una minore autonomia finanziaria e con meno denaro da risparmiare e investire, i divari si accumulano e di conseguenza le donne sono a maggior rischio di povertà ed esclusione sociale. Con conseguenze che vanno oltre la vita lavorativa: meno retribuzione = meno contribuzione = meno pensione.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi basta si legga la relazione annuale per l’anno 2020, nella quale la Commissione di Vigilanza sui fondi Pensione (COVIP) ha reso noti i dati relativi alla previdenza complementare in Italia. Su 8,4 milioni di iscritti alla previdenza complementare alla fine del 2020, gli uomini sono il 61,7% e le donne il 38,3%, spiegata in primo luogo dalla loro minore presenza tra le forze di lavoro e, poi, per effetto di divari salariali e carriere più discontinue rispetto agli uomini (per quanto scritto sopra).
La politica riuscirà a capire che la condizione femminile è una priorità essenziale per il rilancio del nostro Paese? Mario Draghi ha evidenziato l’obiettivo del Governo di investire, entro il 2026, almeno 7 miliardi di euro per la promozione dell’uguaglianza di genere e la Commissione Lavoro della Camera ha appena approvato il disegno di legge sulla parità salariale. I sindacati hanno evidenziato la necessità di prevedere soglie contributive di accesso alla pensione compatibile con le condizioni delle donne, di valorizzare ai fini pensionistici il lavoro di cura di persone disabili o non-autosufficienti in ambito familiare, di prorogare ulteriormente opzione donna. Strano Paese l’Italia. Si ripete continuamente. Le proposte sono ancora le soglie di accesso alla pensione compatibile con le condizioni delle donne. Siamo ancora alla “condizione femminile”.
Antonio Chiaraluce