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17 Gennaio 2025
Lavoro e Previdenza

Stiamo per rivedere un film già visto

Titolo dell’originale: Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 51, comma 3.

Remake: Legge 30 dicembre 2023, n. 213, art. 1, commi da 157 a 163.

Nell’originale la trama si svolge fra il 1989 e il 2024. In estrema sintesi: una storia che nasce nel 1989, quando un accordo sindacale definì l’importo della maggiorazione della Retribuzione Individuale di Anzianità (RIA) in favore dei lavoratori del pubblico impiego sulla base dell’anzianità di servizio maturata entro il 31 dicembre 1990. L’accordo, ultimo contratto di lavoro non regolato dal diritto privato (all’epoca il rapporto di pubblico impiego era regolato dal diritto pubblico), fu recepito nel DPR n. 44/1990 e così divenne legge. Con il decreto legge n. 384/1992 i contenuti del DPR n. 44/1990 furono prorogati, anche per il triennio 1991 – 1993, ma le Amministrazioni mantennero il 31 dicembre 1990 quale termine utile per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA.

Sulla data (31 dicembre 1990-31 dicembre 1993) si creò un ampio contenzioso sul quale intervenne l’articolo 51, comma 3, della legge 388/2000, interpretazione autentica del DPR n. 44/1990, che, con il chiaro intento di risparmiare soldi, interpretò la volontà del legislatore nel senso di attribuire la maggiorazione solo a coloro che avevano maturato i requisiti entro il 31/12/1990.

Nella Gazzetta Ufficiale, 1a Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 3 del 17/1/2024, è stata pubblicata la Sentenza n. 4/2024, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della Legge 23 dicembre 2000, n. 388, interpretazione autentica del DPR n. 44/1990, perché, sostanzialmente, fu intervento legislativo retroattivo (che ha inciso su giudizi in corso). In parole povere una norma innovativa ad efficacia retroattiva.

E il remake?

Nel remake la trama ha origine nella legge di bilancio 2024. L’art. 1, commi da 157 a 163, modifica, a decorrere dal 1° gennaio 2024, i criteri di calcolo delle quote retributive per anzianità inferiori a 15 anni al 31 dicembre 1995 delle pensioni liquidate agli iscritti alle gestioni pensionistiche ex INPDAP relative a medici, enti locali, maestri (CPDEL, CPS, CPI) e ufficiali giudiziari (CPUG). In particolare il comma 157: “Le quote di pensione a favore degli iscritti alla Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali (CPDEL), alla Cassa per le pensioni ai sanitari (CPS) e alla Cassa per le pensioni agli insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate (CPI), liquidate a decorrere dal 1° gennaio 2024, secondo il sistema retributivo per anzianità inferiori a quindici anni, sono calcolate con l’applicazione dell’aliquota prevista nella tabella di cui all’allegato II alla presente legge. Per le anzianità superiori a quindici anni continua a trovare applicazione la tabella di cui all’allegato A della legge 26 luglio 1965, n. 965W.

Senza entrare nel merito (ovviamente le materie del contendere sono diverse) non trovate che, a distanza di tantissimi anni, sia la ripetizione di una norma innovativa ad efficacia retroattiva, un intervento a posteriori per risparmiare? Il film è in lavorazione e il finale non è stato ancora scritto.

La storia, comunque, prosegue con il comma 161 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2024, il quale recita: “Al fine di assicurare un efficace assolvimento dei compiti primari di tutela della salute e di garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, per gli iscritti alla CPS nonché per gli iscritti alla CPDEL che cessano l’ultimo rapporto di lavoro da infermieri la riduzione del trattamento pensionistico di cui al primo periodo (le nuove tabelle) è a sua volta ridotta in misura pari a un trentaseiesimo per ogni mese di posticipo dell’accesso al pensionamento rispetto alla prima decorrenza utile”.

… Mah! …

Passi che i nuovi criteri di calcolo si applichino ai soli casi di pensioni anticipate i cui requisiti siano maturati dopo il 31 dicembre 2023, che si escludano coloro che abbiano maturato i requisiti nel 2023 e anche nei casi di raggiungimento del limite ordinamentale per il collocamento a riposo d’ufficio ma due considerazioni le voglio scrivere. Perché gli infermieri lavorando 3 anni in più possono azzerare l’eventuale penalizzazione e gli altri no? Sarò sempre grato agli infermieri per il loro lavoro (faticoso, pericoloso e coinvolgente psicologicamente), dovrebbero essere considerati e pagati di più, ma non è una discriminazione per le altre categorie interessate? e, comunque, è un beneficio farli lavorare tre anni in più?

Fuori dal contesto particolare di queste due vicende, quale insegnamento ne possiamo trarre? Che i nostri governanti, al pari del popolo, pensano che le pensioni le paghi lo Stato. E invece no! le pensioni sono un flusso di soldi in uscita finanziato da un flusso di soldi in entrata al quale partecipano la produzione (datore di lavoro e lavoratore) e lo Stato (in misura e maniera certa e determinata).

La legge di bilancio è diventata il mezzo d’intervento nel sistema previdenziale, assistiamo a interventi pesanti nelle uscite (anticipi pensionistici, quasi sempre a fini elettorali che poi devono trovare una copertura dalla fiscalità generale) e nelle entrate (agevolazioni contributive che poi devono trovare una copertura dalla fiscalità generale). Sempre una copertura dalla fiscalità generale. A nessuno interessa la sostenibilità del sistema alla quale la fiscalità generale può concorrere ma non divenire la forma di finanziamento maggioritaria.

Antonio Chiaraluce

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