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14 Gennaio 2025
Una strage da fermare
Lavoro e Previdenza

Una strage da fermare

I dati INAIL recentemente pubblicati certificano che nel 2024, dall’inizio dell’anno fino a fine Ottobre, in Italia si sono verificati 890 infortuni mortali, un dato in crescita (+ 2,5%) rispetto alla stessa data dell’anno precedente, così come è in aumento l’incidenza delle morti sul lavoro rispetto al totale degli occupati (2024: 3,69 decessi per 100.000 occupati, pari al + 0,8% rispetto allo stesso periodo del 2023).

I decessi sul luogo di lavoro

Più nel dettaglio: calano – fortunatamente, ma con numeri comunque inaccettabili – i decessi sul luogo di lavoro (n. 657, rispetto ai n. 672 dello stesso periodo 2023), mentre crescono quelli “in itinere”, cioè nel tragitto casa-lavoro (233/196).

Sul lavoro muoiono in larga maggioranza gli uomini (91,57%), rispetto alle donne (8,43%), dato che risente anche, ovviamente, sia del maggiore tasso di occupazione maschile rispetto a quello femminile (70,4% / 52,5%), sia del maggior grado di pericolosità delle mansioni a cui gli uomini sono adibiti.

Diminuiscono i decessi dei lavoratori italiani (701), mentre aumentano quelli dei lavoratori extracomunitari (143) e degli stranieri comunitari (46).

Si muore in tutti i tipi di attività (costruzioni: 128 decessi; manifattura: 86; trasporto e magazzinaggio: 84; commercio: 48; servizi di supporto alle imprese: 35) e in tutte le aree del Paese (Nord Ovest: 242; Nord Est: 189; Centro: 173; Sud: 190; Isole: 96).

Gli incidenti mortali verificatisi nel 2024

Dati aggiornati, come dicevamo, a fine Ottobre e da attualizzare, purtroppo, con il triste bilancio di Novembre, mese in cui si sono verificate altre 47 morti sul lavoro (che portano la cifra complessiva a ben 937).

Altri osservatòri indipendenti e “non ufficiali”, conteggiano addirittura 966 decessi sul lavoro (per un totale di n. 1.379, compresi i casi ‘in itinere’) al 30 Novembre, comprendendo anche i lavoratori non assicurati all’INAIL.

E, purtroppo, anche il mese di Dicembre è già segnato da tragedie: si è cominciato con l’infortunio mortale di un operaio 48enne schiacciato da una catasta di legno a Padova, fino alla recente tragedia di Calenzano (PO), con i 5 lavoratori morti (oltre a 26 feriti, di cui alcuni gravi) nell’esplosione al deposito carburanti dell’ENI del 9 dicembre.

Negli ultimi mesi gli eventi mortali plurimi si sono moltiplicati

Questi ultimi mesi, peraltro, hanno visto moltiplicarsi gli eventi mortali plurimi: dall’incidente al cantiere ferroviario di Brandizzo (TO) che provocò 5 morti ad Agosto 2023, ai 5 lavoratori – 4 operai e un trasportatore – morti nel crollo di un architrave nel cantiere Esselunga a Firenze a febbraio di quest’anno o, ancora, alle altre 7 vite di lavoratori spezzate dall’esplosione avvenuta nei piani sotterranei della centrale idroelettrica di Suviana, a Bargi (BO) e dal successivo allagamento e crollo dei locali, lo scorso mese di aprile.

O, ancora, le 5 vittime del disastro di Casteldaccia (PA) a maggio scorso, uccisi dalle esalazioni dell’idrogeno solforato mentre effettuavano opere di manutenzione in un impianto di sollevamento delle acque reflue.

E poi i recentissimi (18 Novembre 2024) casi dei tre giovani (due ragazze ventiseienni, un ragazzo appena diciottenne, tutti, a quanto sembra, al primo giorno di lavoro) deceduti nell’esplosione della fabbrica abusiva di fuochi d’artificio in cui lavoravano – in nero – per poche centinaia di Euro al mese, a Ercolano (NA), che ha toccato la sensibilità di tutti per la giovanissima età di tutti i lavoratori deceduti, fino alla già citata tragedia di Calenzano, che ha richiamato analoghi incidenti mortali verificatisi sempre nel 2024 prima in un’azienda di Bolzano e poi in un capannone a Bologna.

Si muore a tutte le età, lavoratori esperti o alle prime armi

Di lavoro si muore a tutte le età, lavoratori esperti o alle prime armi (Agostino, 57 anni; Mohamed, 54; Samuel, 18; Luca, 69; Fatmir, 51; Emilio, 56; Giuseppe, 63; Taoufik, 43; Mohamed, 24; Vincenzo, 36; Mario, 73; Pavel, 45; Alessandro, 37; Luigi, 60; Giuseppe, 28; Roberto, 51; Aurora e Sara, 26; Epifanio, 70; Vincenzo, 68), in tutti i modi (per esalazione di sostanze tossiche, investiti da mezzi in movimento, travolti da una frana di terra, a causa di un’esplosione, schiacciati sotto un crollo o per il ribaltamento dei mezzi o travolti da lastre staccate dai macchinari) e in tutte le province d’Italia.

«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» recita, in maniera chiara, l’art. 1 della Costituzione Italiana, che riconosce, quindi, al lavoro un ruolo fondante della nostra società. L’art. 4 della Carta costituzionale, poi, riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto; e l’articolo 35 sancisce la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

Eppure, la sensazione è che in molti casi, anziché essere un valore, il lavoro diventi un “problema”, non solo quando – e perché – non c’è (i dati ISTAT certificano di un tasso di occupazione, per la fascia di popolazione tra 15 e 64 anni, in crescita al 62,5%, ma pur sempre fanalino di coda tra i Paesi UE, la cui media è del 70,2%) o è un lavoro precario o ‘povero’, ma anche quando c’è e genera un rischio.

Il danno biologico

In Italia, infatti, di lavoro si continua a morire e in troppi casi si compromette la salute o si perde l’integrità fisica, con le conseguenze che ne derivano, non solo dal punto di vista sanitario ed economico (per il lavoratore vittima di infortunio, per la sua famiglia che vede ridursi una fonte di sostentamento, per l’azienda, per i costi che ne derivano alla collettività), ma che impattano pesantemente anche sulla sfera psicologica e relazionale del lavoratore infortunato (c.d. “danno biologico”).

Gli infortuni mortali

Gli infortuni mortali sul lavoro assurgono di tanto in tanto agli “onori” della cronaca, soprattutto quando si verificano casi eclatanti, che commuovono e indignano, come la tristemente nota e mai dimenticata tragedia delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino del dicembre 2007 che causò la morte di 7 operai o, per restare all’attualità o come le troppe stragi plurime di questo 2024, prima ricordate.

Casi su cui i media si gettano per un po’ di tempo con un’attenzione quasi morbosa, salvo spengere i loro riflettori quando il caso non è più “caldo” e ormai tutti i risvolti della vita delle vittime – il loro rapporto con i familiari e con i figlioletti; le interviste ai genitori e ai parenti distrutti dal dolore; le passioni coltivate;  le foto felici e spensierate sui social, a fare da contrasto con la loro tragica fine; la “caccia” ai responsabili, spesso irreperibili, della tragedia; i gesti di altruismo o, addirittura, di eroismo compiuti dai lavoratori stessi – sono stati adeguatamente “esplorati” e “sfruttati”; e il tema della sicurezza sul lavoro, allora, torna nell’ombra, materia per i soli addetti ai lavori: magistrati, industriali, sindacati, ispettori del lavoro.

Le morti bianche

Ma, anche se molti di loro non conquistano la ribalta mediatica, i morti sul lavoro sono, purtroppo, una costante quotidiana: è scioccante fermarsi a pensare che, di tutti i lavoratori che ogni mattina nel nostro Paese escono per andare al lavoro, statisticamente ogni giorno 3 di loro non faranno più ritorno a casa.

Ma le c.d. “morti bianche” sono solo una parte del problema: nei primi dieci mesi del 2024 sono stati denunciati complessivamente n. 491.439 infortuni (+ 0,4% rispetto allo stesso periodo del 2023).

Numeri drammatici. Certo, molti di questi infortuni si risolvono, fortunatamente, con un periodo di inabilità temporanea più o meno lungo o con conseguenze permanenti di entità trascurabile.

Una parte, tuttavia – quelli di maggiore gravità – cambiano per sempre la vita delle persone che ne sono rimaste vittima e delle loro famiglie: un infortunio grave costituisce un vero e proprio dramma personale e familiare, che le garanzie e le prestazioni di tipo economico, sanitario, protesico, riabilitativo e di ricollocamento lavorativo, previste anch’esse dalla Costituzione (art.38), possono riuscire solo ad alleviare, ma non certo a sanare.

La carenza dei controlli ispettivi

La discussione su quali siano le possibili soluzioni per ridurre questo fenomeno è aperta da tempo, così come la ricerca delle relative responsabilità: di volta in volta, viene puntato l’indice su un impianto normativo inadeguato, su datori di lavoro negligenti o addirittura dipinti come cinici e votati solo al profitto e che non si interessano della sicurezza dei lavoratori, su lavoratori stressati da turni massacranti o imprudenti, sull’eccessiva confidenza con i macchinari e con i processi produttivi che fa abbassare il livello di attenzione, sulla mancanza di formazione, su un parco di macchinari non a norma o con apparati di sicurezza rimossi per esigenze produttive, su un insufficiente esercizio del potere di vigilanza da parte delle figure previste dalla legge (Responsabile dei Lavoratori per la Sicurezza in primis), sulla carenza dei controlli ispettivi.

Certo, adesso, forse, qualcosa si è mosso. A seguito, in particolare, dell’onda emotiva creatasi successivamente al crollo del cantiere di Firenze – con le polemiche che ne sono seguite in merito ai “subappalti” selvaggi e alla carenza di controlli sul rispetto delle norme in materia di sicurezza da parte delle imprese subappaltanti – è stata introdotta nell’edilizia la c.d. “Patente a punti”, in vigore dallo scorso 1° Ottobre.

Ci vorrà tempo per capire se e quanto la “patente” riuscirà ad incidere in maniera sostanziale sull’aumento della sicurezza in un settore produttivo con la più alta incidenza di infortuni gravi o se, sarà, invece, solo l’ennesimo tributo pagato alla burocrazia amministrativa in materia di lavoro…

Le malattie professionali

E poi, ci sono le malattie professionali, fenomeno in gran parte ancora sommerso a causa dei vincoli – non solo normativi, ma anche ‘culturali’ – che ne frenano la denuncia, il riconoscimento e, in definitiva, la piena emersione; e, nonostante questo, nei primi dieci mesi del 2024 l’INAIL ha ricevuto comunque ulteriori 73.922 denunce di patologie contratte a causa e nell’esercizio di una attività lavorativa (+ 22,3% rispetto allo stesso periodo del 2023).

Insomma: è bene che sui tavoli governativi, accanto alle altre questioni all’ordine del giorno – la riduzione della pressione fiscale e il sostegno ai redditi medio-bassi, il rilancio dell’economia e la crescita del PIL, il consolidamento dei conti pubblici – vi sia uno spazio adeguato anche per la materia della sicurezza in occasione di lavoro, con incentivi e misure sostanziali, che non si limitino, come purtroppo è stato in passato, ad aumentare solo la mole di adempimenti burocratici e formali a carico dei soggetti coinvolti.

Perché la vita e la salute sono diritti fondamentali che non possono essere subordinati a nessun altro diritto o interesse.

Luca Giustinelli

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