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21 Gennaio 2025
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Accesso all’acqua per tutti. L’Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco

Serve un nuovo modello di giustizia rivolto anche alle future generazioni che ascolti “tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”.

Con la Lettera Enciclica Laudato Sì Papa Francesco nel 2015 proponeva di “entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” nella ricerca di uno sviluppo sostenibile integrale, perché tutto nel mondo è intimamente connesso. “L’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza. L’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani”, ribadisce Papa Francesco. Un obbligo degli Stati da non delegare a logiche di mercato: “questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità. Questo debito si salda in parte con maggiori contributi economici per fornire acqua pulita e servizi di depurazione tra le popolazioni più povere. Però si riscontra uno spreco di acqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo che possiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità”. “La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune”, prosegue Papa Francesco, “comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo”. Nel rivolgere il suo appello il Papa non manca di sottolineare come “i giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli altri (…). L’esistenza di leggi e norme non è sufficiente a lungo termine per limitare i cattivi comportamenti, anche quando esista un valido controllo. Affinché la norma giuridica produca effetti rilevanti e duraturi è necessario che la maggior parte dei membri della società l’abbia accettata a partire da motivazioni adeguate, e reagisca secondo una trasformazione personale. (…). L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente”. Per Papa Francesco il cambiamento è qualcosa di auspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte dell’umanità gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Occorre puntare su un altro stile di vita: l’educazione e la formazione sono sfide centrali: “ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo”, il che coinvolge la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione.
L’Enciclica è stato coralmente riconosciuto un documento dalla portata innovatrice sul quale costruire una proposta politica e sociale per la salvaguardia della vita umana e del nostro pianeta rimasta, purtroppo, ancora inattuata a livello della comunità internazionale.

L’acqua è fonte di vita. L’uomo, la natura, lo sviluppo sono legati indissolubilmente all’acqua, ma ancora troppe sono le persone e i luoghi che non vi hanno accesso.
Il 30 marzo 2020 la Chiesa cattolica attraverso il Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale è tornata sul tema con la pubblicazione de Aqua fons vitae. Orientations on Water, symbol of the cry of the poor and the cry of the Earth. Un documento dedicato al tema dell’acqua e alle diverse sfide per la famiglia umana legate a questa risorsa: 1) l’acqua per l’uso umano, 2) l’acqua come risorsa utilizzata in molte attività umane (in particolare agricoltura e industria) e 3) l’acqua come superficie, cioè fiumi, falde acquifere sotterranee, laghi e soprattutto oceani e mari. Nel suggerire proposte operative per accrescere la consapevolezza della questione e per l’impegno a livello locale globale, la Chiesa propone una riflessione importante sulla responsabilità di tutti verso la casa comune. Una sfida e una responsabilità globale condivisa perché, come sottolinea Papa Bergoglio, nella progettazione del nostro futuro ora più che mai “abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti”.

I passi compiuti nella distribuzione della risorsa idrica sono stati fatti ma il riconoscimento internazionale del diritto umano all’acqua è rimasto ancora oggi un riconoscimento formale sulla Carta.
Una proiezione verso il domani del diritto umano all’acqua.
Lo scenario reale è lontano dagli obiettivi. Non sono stati riscontrati cambiamenti significativi né nella legislazione dei vari Paesi né in termini di miglioramento della disponibilità e qualità di questa indispensabile risorsa. Secondo gli studi non è possibile calcolare quanti Paesi riusciranno effettivamente a raggiungere l’Obiettivo 6 dell’Agenda ONU 2030. Gli studi dimostrano che la Risoluzione ONU 64/292 ha contribuito nel tempo a rafforzare le posizioni di quei Paesi che avevano già inserito il diritto all’acqua all’interno del proprio quadro giuridico senza portare con sé un cambiamento radicale nella legislazione dei vari Paesi né un miglioramento sensibile nella condizione di coloro che non hanno ancora accesso all’acqua. Di fatto ha fornito un utilissimo strumento di dibattito politico in difesa del diritto umano all’acqua, anche a livello europeo: occorre che gli Stati si adoperino per la sua effettiva entrata in vigore in modo che tutti possano usufruirne, perché l’acqua è un diritto umano universale oltre che una risorsa strategica per molti Paesi. In Europa, in particolare, si è attivata una campagna per il riconoscimento del Diritto umano all’acqua da parte dei Paesi Europei sotto forma di Iniziativa cittadina europea. Nel marzo 2011 il sindacato europeo dei servizi pubblici (Epsu) con l’appoggio di numerose Ong, aziende pubbliche e associazioni di altro genere ha promosso una Iniziativa cittadina europea intitolata “Water is a human right!”. L’iniziativa cittadina europea nel chiedere che l’Europa promuova “la realizzazione, a livello nazionale, di questo diritto umano, definendo obiettivi vincolanti per tutti gli Stati membri” e che cambi la sua logica di mercato nei confronti dell’acqua, orientandosi piuttosto verso un approccio orientato alla tutela dei diritti e all’importanza di garantire il servizio pubblico, fa esplicito ed inequivocabile riferimento alla citata Risoluzione delle Nazioni Unite.

Il riconoscimento concreto del diritto all’acqua è un obiettivo imprescindibile del prossimo futuro, occorre essere determinati a perseguirlo.
Il diritto umano all’acqua non ha avuto un pieno riconoscimento nei trattati internazionali e nelle costituzioni dei singoli Stati, seppur non mancano raccomandazioni rivolte agli Stati e alla comunità internazionale per Realization of the right to drinking water and sanitation, come indicate nei vari Report degli Special Rapporteur dell’ONU. L’accesso all’acqua potabile ed è un diritto fondamentale per ogni essere umano perché dalla potabilità dell’acqua dipende la sopravvivenza delle persone. Tuttavia, allo stato attuale, il diritto all’acqua non è riconosciuto dall’ordinamento internazionale e comunitario come diritto dell’uomo in quanto non è mai stato direttamente. Manca una normativa, anche a livello costituzionale, che codifichi il diritto all’acqua in termini di diritto fondamentale, trattandosi di un diritto per lo più rivendicato dalle organizzazioni non governative. È in atto un processo di giurisdizionalizzazione del diritto all’acqua come diritto umano fondamentale, con interventi che hanno riconosciuto forme di tutela più o meno esplicite di diritto all’acqua. L’obiettivo è di codificare un Water Law, quale vero e proprio costituzionalismo dell’acqua, che diffonda la cultura giuridica del diritto fondamentale ad accedere a tale risorsa, del diritto sociale a fruirne a condizioni eque e del diritto ecologico alla sua integrale conservazione.

L’acqua è un diritto umano fondamentale, ma trova affermazione nelle costituzioni nazionali? Una domanda che rimane aperta, come la questione inerente la sua tutela.
Il diritto all’acqua non è riconosciuto e protetto dall’ordinamento internazionale come diritto dell’uomo: né come diritto soggettivo da rivendicare all’interno di una comunità politica, né come diritto collettivo da far valere nei rapporti internazionali. Sul diritto all’acqua nulla dice neppure la Carta dei diritti fondamentali europei, nonostante disciplini un catalogo di cd. nuovi diritti rispetto a quelli fondamentali già previsti nelle costituzioni nazionali. La legislazione internazionale è al più incerta, poiché nasce dal rapporto di forze tra soggetti di varia natura e con diverso orientamento. All’intero dei singoli Paesi come a livello internazionale non si è ancora realizzato di fatto il riconoscimento di un vero e proprio diritto all’acqua, un sistema di gestione e regolamentazione della risorsa non si è ancora realizzato. Ciò è dovuto a molteplici fattori che spaziano dalla relativa della risorsa idrica, alla sua distribuzione ineguale, alla continua crescita della popolazione mondiale (triplicata nel corso dell’ultimo secolo), con un conseguente incremento esponenziale della domanda, al degradamento della qualità dell’acqua, sia per mancanza di diffusi sistemi di depurazione che per l’uso intensivo in agricoltura e industria che favorisce salinizzazione e inquinamento, e infine alla perdurante impossibilità per gran parte della popolazione mondiale di avere accesso a risorse idriche pure e potabili. A distanza di oltre un decennio dal riconoscimento da parte della Comunità internazionale, dunque, quale Stato applica all’acqua la logica del diritto? Le forme di tutela giurisdizionale interessano non tanto il diritto all’acqua ma piuttosto il diritto sull’acqua. Si utilizza il ragionamento interpretativo per estrapolare diritti dalle norme costituzionali che si riferiscono alla tutela dell’ambiente nelle sue varie declinazioni. Le forme di tutela giurisdizionale di Corti internazionali, arbitrali e statali attengono per la maggior parte il diritto sull’acqua (non all’acqua), intervengono nei conflitti che insorgono tra utente e gestore nell’ambito dell’esecuzione del servizio idrico pubblico per la distribuzione dell’acqua potabile e dei servizi di depurazione. Non esiste purtroppo una normativa chiara e cogente che riconosca l’esistenza di un diritto all’acqua sia in qualità di diritto individuale, rivendicabile da ogni cittadino nei confronti delle proprie autorità, sia come diritto collettivo, invocabile nell’ambito della sfera internazionale dai soggetti giuridici legalmente rappresentanti di determinate comunità. È una grave lacuna a livello internazionale che non fa che aumentare le differenze e disuguaglianze socio-culturali, ambientali e umanitarie nella gestione di una risorsa che essenziale per l’essere umano ma è anche strutturalmente globale e interconnesse. Al fine di rendere effettivo il diritto all’acqua e la sua protezione occorre la messa in atto di azioni positive degli Stati attraverso gli organi politico-amministrativi che rendano meno indeterminato il contenuto del diritto all’acqua e individuino meccanismi giuridici attraverso i quali dare applicazione a tale diritto. Bisogna avviare un processo condiviso e coordinato per sviluppare una normativa a livello di accordi internazionali che porti all’adozione di un Protocollo di regolazione multilaterale, che verrà poi declinato negli Stati membri. Un approccio integrato e uniforme per l’adozione di uno strumento giuridico interconnesso diretto alla massimizzazione dell’accessibilità del bene e la determinazione normativa della sua destinazione funzionale.

Paola Francesca Cavallero

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