Parecchio è già stato scritto sui risultati delle elezioni tedesche che hanno visto primeggiare, come da previsioni, il partito socialdemocratico SPD, capeggiato dal candidato cancelliere e tuttora vicecancelliere Olaf Scholz. Accanto a questa affermazione, che solo pochi mesi fa sembrava impossibile, si è registrato l’altrettanto prevedibile buon successo dei Verdi e del partito liberale FDP e contemporaneamente la clamorosa débâcle dei cristiano democratici sociali dell’Unione (CDU+CSU) capeggiati da Armin Laschet, dopo quasi 20 anni di guida di Angela Merkel. I grafici corrispondenti ai risultati definitivi sono riportati nella Fig. 1a mentre la Fig. 1.b riporta le differenze con le elezioni del 2017.
Quindi, con questi risultati, la più probabile coalizione è quella rosso, giallo, verde (chiamata Ampel, cioè semaforo) a guida socialdemocratica, i rossi, di Olaf Scholz con la partecipazione dei Liberali, i gialli, e dei Verdi: per la prima volta di una coalizione tripartitica.
La gloriosa, e per certi versi clamorosa, uscita di scena della Cancelliera è stata contemporanea al più disastroso crollo elettorale del suo partito, che lei ha guidato anche più a lungo dei 16 anni di Cancellierato: Angela Merkel non sarà più Cancelliera per sua volontà, senza essere stata sconfitta alle elezioni o rimossa dall’incarico, e dopo un periodo di felice e grande crescita economica e sociale della Germania. Fiumi di inchiostro, forse anche troppi, sono stati versati per le biografie della Dr.ssa Angela Dorothea Merkel nata Kasner: il suo ruolo di eccellente politica sarà certamente ricordato a lungo ed i suoi successi passeranno alla storia. Il suo soprannome di “Mutti”, la mamma, raccoglie in sé stima ed affetto, e rappresenta bene un certo stile di governo. Tuttavia, la sua guida ferma del Paese e dell’Europa è stata recentemente celebrata, soprattutto da commentatori stranieri, come se in una democrazia evoluta e federale come la Germania contasse solo la figura del Cancelliere ed addirittura avesse un ruolo quasi “regale”. Quindi “il re è morto, viva il re”? Se l’antico detto francese significasse contemporaneamente un omaggio al passato ed un annuncio di continuità nel futuro, forse non si adatterebbe alla situazione tedesca attuale, anche solo perché, ad oggi, non abbiamo ancora il nome del nuovo “re”. Tanti analisti hanno fatto presente che il vincitore Scholz è in effetti quello più somigliante alla Cancelliera, è stato il suo vice nonché apprezzato Ministro delle Finanze, ha fatto di tutto per dare senso di continuità, tanto da usare per la sua campagna elettorale anche lo slogan “Er kann Kanzlerin” che vuol dire che lui può diventare e fare la “Cancelliera” (usato al femminile). La stima in Angela Merkel era così alta prima delle elezioni da giustificare sondaggi con gradimento oltre l’80%. Quindi cosa è successo al punto da far crollare di quasi il 9% il partito che lei fino a poco tempo fa guidava? Alcuni commentatori attribuiscono buona parte delle ragioni della sconfitta alla scelta di un candidato inadatto, Armin Laschet. Ci si deve a questo punto però chiedere come mai si sia arrivati a tale scelta: che non ci fossero candidati migliori? Che la classe dirigente del partito, come tanti dicono, sia stata distrutta dalla Cancelliera che volutamente non ha preparato la sua successione? Eppure, la scelta è stata meditata ed è arrivata solo pochi mesi prima del voto, dopo lunghe discussioni, varie consultazioni e votazioni interne, ma non ha funzionato. Possibile che con i mezzi demoscopici a disposizione non lo si potesse prevedere? Già da mesi il candidato Laschet riscuoteva poco successo tanto che gli elettori, nel caso avessero potuto votare direttamente il Cancelliere, cosa che la legge tedesca non prevede, gli avrebbero senz’altro preferito Olaf Scholz. Inoltre, la guida della CDU era già cambiata altre due volte nel breve periodo, passando da Angela Merkel a Annegret Kramp-Karrenbauer (chiamata AKK) e poi a Armin Laschet, cosa che avrebbe dovuto essere interpretato come un segnale di allarme lanciato dalla base. Ma di quale insoddisfazione stiamo parlando, vista la crescita del benessere, l’efficace integrazione dei migranti, la posizione strategica industriale e commerciale della Germania? Ebbene, da un sondaggio fatto a cavallo delle elezioni, i tedeschi intervistati ritengono che la Nazione sia per molti versi peggio preparata alle sfide future in confronto a 4 anni addietro, cioè alla data delle passate elezioni. Forse che l’uscita di scena dell’amata Cancelliera, che pressoché nessuno osava criticare visti gli ottimi risultati nel breve periodo, abbia dato la stura a ragionamenti sul lungo periodo ed a critiche mai espresse? Gli intervistati additavano come gravi problemi principalmente la transizione energetica e la protezione dell’ambiente, ma anche il welfare futuro, la politica sui migranti, la giustizia sociale e l’educazione delle nuove generazioni. Sono questi i problemi condivisi dal mondo dell’economia reale e degli analisti di politica economica? Certamente i manager tedeschi, come in tutto il mondo occidentale, raramente espongono sé stessi o le loro aziende con critiche al governo in carica o a quello futuro, tuttavia, nell’ultimo periodo sorgono sempre più interrogativi e discussioni sui temi essenziali, cioè la situazione demografica tedesca, il multilateralismo e la transizione energetica. L’uscita dal mondo lavorativo dei baby-boomers provocherà una decrescita del numero di potenziali lavoratori che si stima di qualche milione entro il 2030. Ciò significa a lungo termine favorire politiche familiari, mentre a breve l’unica alternativa per mantenere l’attuale livello occupazionale è una migrazione controllata di 250.000-300.000 persone anno. Il tutto comporta anche di rivisitare il welfare e ancor più urgentemente di colmare il già presente e gravissimo deficit di alloggi a prezzi accessibili. L’altro aspetto che ha colpito di sorpresa l’opinione pubblica con il caso Afghanistan è quello della caduta del multilateralismo “ancien régime”, cioè quello che ha protetto la sicurezza geopolitica dell’Europa ed i commerci internazionali che tanto hanno fruttato ad una nazione esportatrice come la Germania. Ma certamente la transizione energetica è qualcosa che colpisce sia la grande opinione pubblica che i circoli ristretti. Il suo impatto, e contemporaneamente l’ineluttabilità di qualche sostanziale azione, sono l’argomento che maggiormente infuoca le discussioni. Il primo aspetto riguarda l’approvvigionamento energetico: la Cancelliera Merkel, a seguito del disastro di Fukushima, ha deciso di spegnere, secondo un preciso calendario, tutte le centrali nucleari: l’ultimo atto avverrà nel 2022. Con che cosa si sostituiranno le centrali nucleari nel breve periodo? Con una maggiore dipendenza dalle fonti fossili e dalla Russia, principale fornitrice di gas? Il sentimento prevalente è quello che non si sia valutato appieno l’impatto su tutti i complessi aspetti che riguardano la transizione energetica. E l’incertezza sulla disponibilità di energia, il suo prezzo in termini economici e politici da pagare, non piace ad una popolazione abituata a credere che qualunque progetto di qualunque complessità possa essere scomposto in più semplici sotto-progetti e che essi siano stati esaustivamente esaminati ed abbiano un responsabile che ne ha determinato, e controlla, tempistiche e costi. Ecco perché all’elettore medio la preparazione in questo ambito appare lacunosa se non addirittura scadente. L’economia tedesca è fortemente condizionata, e grandemente dipendente, da quella che definirei l’industria della “mobilità”, cioè la fabbricazione delle auto con tutti i servizi che ne conseguono. Industria che assorbe milioni di lavoratori che temono anche per il loro posto di lavoro in caso di accelerata elettrificazione delle auto. Questa turbolenza, associata necessariamente ad una grande incertezza sul futuro, ha certamente pesato sulla scelta del partito politico cui affidarsi per evitare o contenere i possibili conflitti sociali: la preferenza da parte degli elettori dei socialdemocratici, certamente affidabili in questo senso, ne è la testimonianza. Quindi ora ci troviamo nella situazione in cui il grande partito dei cristiano democratici sociali (Unione), leader nell’ambito della famiglia dei Popolari anche in Europa, dovrà fare i conti con gli errori del suo passato recente e stabilire una strategia, anche valoriale, per il suo futuro, ed il Governo, che a meno di clamorose sorprese, sarà rosso-giallo-verde a guida Scholz, dovrà condurre la più grande economia, e di conseguenza l’Europa tutta, attraverso un grande momento di cambiamento: transizione energetica, demografia, welfare, nuovo multilateralismo. Il tripartito, novità assoluta per la Germania, contiene tante anime, certamente quella sociale, quella ambientalista ed anche quella liberista. Dovrà trovare durante la stesura del patto-contratto di coalizione la giusta sintesi politica, e non sarà facile. Tuttavia, quello che dovrà trovare ancora più urgentemente è uno spazio nel bilancio fiscale per mantenere le promesse di assistenza per la fine della pandemia, per la crisi degli alloggi, per la transizione energetica, per un nuovo welfare e per la sanità. Compito ingrato sia per il Cancelliere sia per il nuovo Ministro delle Finanze, che non si potranno permettere, se vogliono i liberali al Governo, di aumentare le tasse. I bei tempi delle entrate fiscali superiori alle uscite è finito, il momento richiede ulteriori spese e forti investimenti, ma il vincolo costituzionale “zero nuovo indebitamento statale” rimane e verrà perseguito. Alcuni analisti parlano della necessità di un fondo da 500 Miliardi. Come uscire da questo dilemma? Non sarà certamente un unico fondo l’unica soluzione, e non sarà cosa facile, ma se una persona in Germania conosce sia tutte le pieghe del bilancio che le possibili soluzioni, questo è Olaf Scholz, che tutti immaginano abbia già messo il suo team al lavoro. Secondo autorevoli commentatori di Handelsblatt, questo sentiero stretto porta a poche soluzioni, se non ad un uso riorganizzato dei fondi comunitari post-Covid, ad uno spostamento fuori bilancio statale di alcuni investimenti, per esempio gli alloggi di edilizia convenzionata, all’allargamento del perimetro di azione della banca pubblica per la ricostruzione KfW e forse alla creazione di fondi di investimento semi-pubblico da non caricare sul bilancio statale. Olaf Scholz ha promesso di tenere il discorso natalizio di auguri come nuovo Cancelliere: non manca molto tempo e quindi sapremo presto come il nuovo Governo, “semaforo” come molto probabile, scioglierà questi nodi. Ma abbiamo delle quasi certezze: il re è morto, ma non possiamo ancora dire viva il re, perché per ora possiamo solo supporre il nome del suo successore. Chiunque sarà, gli elettori gli hanno chiesto una discontinuità, anche se, per quanto già spiegato, forzatamente limitata, con la linea politica del suo predecessore e comunque, a scanso di equivoci, sempre in senso europeista.
Emanuele Gatti
Presidente della Camera di Commercio Italiana per la Germania (ITKAM)