Ci soffermiamo sui buoni postali che, com’è noto, offrivano un tempo rendimenti cospicui. Negli anni tali rendimenti vennero modificati unilateralmente, così riducendo i debiti di Poste verso i risparmiatori. La Cassazione aveva dichiarato l’illegittimità di tale comportamento, con la sentenza a Sezioni Unite n. 13979 dell’anno 2007. Tuttavia, nel corso dell’anno 2022 alcune pronunce a sezione semplice della Cassazione, discostandosi dall’orientamento delle Sezioni Unite, hanno affermando la legittimità di tali modifiche unilaterali. Si è trattato di sentenze criticabili, perché emesse in spregio di principi ovvi dell’ordinamento, a cominciare dall’art. 1372 del codice civile, secondo cui il contratto ha forza di legge tra le parti.
I giudici di merito però, cioè Tribunali e Corti di Appello, continuano ad emettere sentenze contro Poste Italiane. Da ultimo, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con pronuncia del 19.6.2023, ha dato ragione ad una risparmiatrice la quale negli anni ‘80 aveva investito in buoni postali ordinari della serie “P”, poi trasformati in buoni della successiva serie “Q”, che prevedeva rendimenti deteriori, a seguito del Decreto Ministeriale 13 giugno 1986. Il Giudice, ha fatto riferimento alla citata sentenza delle sezioni unite, secondo cui “Nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli (si forma e) si fonda sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne consegue, quanto al relativo saggio degli interessi, che l’eventuale contrasto tra le condizioni apposte sul titolo e quelle stabilite dal decreto ministeriale che ne aveva disposto l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali (destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori) che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano risultare, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del titolo”. In sostanza, vale il tasso di interesse scritto sul buono. Ciò anche in applicazione degli artt. 6 D.M. Ministero del Tesoro 19.12.2000 e il D.P.R. 14.3.2001 n. 144, che sanciscono gli obblighi di pubblicità e le comunicazioni ai risparmiatori.
Pertanto, in applicazione di tali principi, il Tribunale ha riconosciuto alla risparmiatrice il diritto alla maggior somma rispetto a quella già riscossa (nello stesso senso, recentemente, Tribunale di Brescia n. 1045/2023).
Francesco Salimbeni