Centrali nucleari in Italia: bilancio economico e stabilità energetica
La scelta di chiudere le centrali nucleari
La questione nucleare in Italia è una delle più emblematiche del nostro panorama energetico, segnata da decisioni che hanno inciso pesantemente sul bilancio economico e sulla stabilità energetica del Paese.
Il referendum del 1987, che sancì l’abbandono delle centrali nucleari in pieno clima di paura e incertezza dopo il disastro di Chernobyl, rappresenta oggi, a distanza di quarant’anni, una scelta che ha avuto costi enormi, economicamente e strategicamente.
Ora tocca alle rinnovabili e alla gestione decentralizzata dell’energia
Un danno epocale
È stato un danno epocale, difficile da stimare in termini di energia persa e di dipendenza che si è creata nei confronti di altre nazioni, un danno che oggi ci ha reso più vulnerabili e che avrebbe potuto essere evitato o, quantomeno, attenuato.
Il referendum del 1987 fu una scelta che ha portato alla nazione costi incalcolabili, in seguito all’incidente di Chernobyl e in un clima di allarme globale, l’Italia decise di chiudere le proprie centrali nucleari, interrompendo di fatto un percorso energetico che, se portato avanti, avrebbe potuto garantire al Paese una fonte stabile di energia.
Analisi dell’abbandono delle centrali nucleari in Italia e delle conseguenze
È stato un danno davvero incalcolabile considerando solo le centrali già attive – Trino Vercellese, Caorso, Garigliano e Latina – si può stimare che, nel corso degli anni, avrebbero potuto produrre decine di miliardi di kWh di energia, evitando che l’Italia dipendesse da costose importazioni e che le emissioni di gas serra legate ai combustibili fossili aumentassero.
Queste centrali erano operative e, se non fossero state chiuse, avrebbero potuto fornire un flusso costante di energia fino ai giorni nostri. In pratica, è come se avessimo deliberatamente rinunciato a un’intera infrastruttura che avrebbe potuto mitigare l’aumento dei costi energetici che ha afflitto il Paese.
E se in questi quarant’anni si fosse continuato a investire in nuovi impianti nucleari, come accaduto in Francia, oggi l’Italia sarebbe per nulla dipendente dalle oscillazioni dei prezzi dei combustibili fossili e dalle importazioni di elettricità dai Paesi vicini. Invece, ci siamo trovati a rincorrere, con evidenti difficoltà, alternative che si sono rivelate spesso più onerose e meno efficienti.
Quanto ci è costata la mancanza del nucleare?
Per comprendere l’impatto economico della decisione di chiudere le centrali nucleari, è necessario riflettere sull’energia che queste avrebbero potuto generare. Nel 1986, Caorso, la centrale più grande, era in grado di produrre circa 860 megawatt (MW). Considerando che una centrale di tale portata lavora per migliaia di ore l’anno, si può stimare che da sola avrebbe prodotto circa 7-8 miliardi di kilowattora (kWh) all’anno.
In quarant’anni, questa cifra si moltiplica: parliamo di circa 300 miliardi di kWh che avremmo potuto ottenere solo da Caorso. Aggiungendo le altre centrali, come Trino Vercellese e Latina, avremmo potuto coprire una parte consistente della domanda nazionale, riducendo di miliardi di euro la spesa per l’acquisto di energia estera.
In un contesto europeo, dove diversi Paesi, come la Francia, hanno consolidato la loro indipendenza energetica grazie al nucleare, l’Italia ha invece continuato ad importare elettricità, perdendo miliardi in potenziale valore aggiunto e affrontando una spesa energetica per famiglia tra le più alte del continente.
Non solo abbiamo perso il beneficio dell’energia nucleare, ma abbiamo anche subito un danno ecologico, poiché questa assenza ha favorito l’uso di centrali a gas e carbone, aumentando le emissioni e compromettendo gli impegni ambientali che avrebbero potuto essere molto più ambiziosi con il nucleare.
L’energia decentralizzata: una scelta strategica per oggi
Se il nucleare potrebbe tornare utile nel lungo termine, l’adozione di un modello decentralizzato basato sulle rinnovabili è già oggi una scelta più sostenibile e strategica per il Paese.
Le tecnologie solare, eolica e idroelettrica sono ormai mature e competitive, soprattutto in Italia, un Paese ricco di sole, con un buon potenziale per l’eolico ed enorme per l’idroelettrico.
Adottare un modello energetico decentralizzato significa produrre energia localmente, evitando le perdite di trasmissione e aumentando la resilienza della rete elettrica.
Le comunità energetiche rappresentano una delle evoluzioni più promettenti in questo contesto: gruppi di cittadini possono generare, consumare e scambiare energia, contribuendo alla sicurezza energetica delle proprie aree e riducendo la dipendenza da grandi fornitori e dalle fluttuazioni del mercato energetico globale.
Scegliere di costruire nuove centrali nucleari oggi sarebbe un ritorno al modello centralizzato e monolitico del passato, con un costo economico e ambientale elevatissimo e tempi di realizzazione che non rispondono alla crisi energetica attuale.
Per costruire una centrale nucleare occorrono almeno dieci anni e decine di miliardi di euro: un tempo e un costo che sarebbero meglio impiegati per ampliare l’infrastruttura rinnovabile e creare una rete decentralizzata e sostenibile.
Il futuro della gestione energetica
Un altro aspetto cruciale è la gestione intelligente dei flussi energetici, o time energy management.
Questa tecnologia permette di massimizzare l’uso delle energie rinnovabili, immagazzinando l’energia in eccesso direttamente nelle case degli utenti e rilasciandola quando serve alla rete.
In questo modo si risolve il problema dell’intermittenza tipico delle rinnovabili: grazie a sistemi di accumulo come le batterie agli ioni di litio e le batterie a stato solido, l’energia prodotta di giorno può essere utilizzata di sera, garantendo un flusso stabile e riducendo la necessità di fonti di backup fossili.
Le batterie domestiche sono già accessibili per famiglie e piccole imprese, e i grandi sistemi di accumulo a livello industriale consentono di bilanciare l’intera rete elettrica, migliorando la stabilità e abbattendo i picchi di domanda.
È questo il futuro della gestione energetica, in cui l’energia viene ottimizzata in modo intelligente per ridurre i costi, abbattere le emissioni e adattarsi rapidamente alle necessità delle reti locali.
Il modello delle rinnovabili decentralizzate con time energy management offre un’elasticità che il nucleare tradizionale non può eguagliare.
Una centrale nucleare richiede un funzionamento costante, incapace di rispondere in tempo reale alle variazioni di domanda, una rigidità che contrasta con la flessibilità delle rinnovabili.
Il nucleare del futuro: la promessa della fusione
Guardando avanti, è probabile che il nucleare tornerà a far parte del mix energetico, ma attraverso una tecnologia diversa: la fusione nucleare.
Diversa dalla fissione attualmente impiegata, la fusione promette energia più sicura, abbondante e priva di scorie radioattive a lungo termine. Replicando il processo del sole, la fusione nucleare rappresenta il “Santo Graal” dell’energia pulita, una soluzione che potrebbe davvero ridurre le emissioni e garantire un futuro sostenibile.
Ma, realisticamente, siamo ancora lontani da una sua applicazione pratica. I primi impianti pilota per la fusione sono in fase di sviluppo, ma ci vorranno anni, forse decenni, per vedere centrali di fusione operative.
Nel frattempo, puntare su nuove centrali a fissione – vecchia tecnologia con elevati costi e tempi di costruzione – sarebbe uno spreco di risorse che potrebbero essere investite nel potenziamento delle rinnovabili e nelle nuove tecnologie di accumulo energetico.
L’Italia ha già perso molto scegliendo di abbandonare il nucleare nel 1987, una decisione che ci ha reso più dipendenti dall’estero, aumentando la spesa pubblica e privandoci di un’importante fonte energetica.
Ma ripetere quell’errore oggi sarebbe un rischio ancora più grave.
Mentre attendiamo la maturazione della fusione nucleare, abbiamo la possibilità di costruire un sistema energetico basato sulle rinnovabili, sul time energy management e su una rete decentralizzata.
L’investimento nelle tecnologie rinnovabili, nei sistemi di accumulo e nelle comunità energetiche rappresenta un’alternativa concreta e vantaggiosa.
È tempo di guardare avanti, di investire nelle soluzioni del futuro, non di tornare al modello del passato.
Francesco Carbone